Numero 45

La spesa

Clelia Attanasio

 

“Shopping” di Alexas_Fotos

Ogni lunedì vado al supermercato a fare la spesa. Latte, pane, pasta, yogurt, frutta e petto di pollo, poi se a lei viene in mente qualche altra cosa da comprare mi chiama mentre sono ancora tra gli scaffali e mi dice cosa aggiungere. Arrivo alla cassa sempre una mezz’ora dopo essere entrato, pago circa venti euro ogni lunedì, ringrazio la cassiera che è sempre la stessa tutti i lunedì, poi esco e me ne torno a casa.

Il martedì invece va lei a fare la spesa. Carne rossa, biscotti, verdura da bollire, formaggio e prosciutto. Se poi ti venisse voglia di qualcosa chiamami subito, dice lei mentre apre la porta per andarsene. E io ogni martedì le dico che va bene. Lei va, compra quello che deve comprare e la mia telefonata non arriva mai, io chiamo il giovedì. Paga la cassiera, sempre la stessa il martedì, sorride e se ne va. Ci mette quindici minuti esatti a tornare con le buste della spesa a casa. In totale, impiega esattamente quarantacinque minuti. Io nel frattempo sono uscito per andare a lavoro, ma so che ci mette quel tempo preciso perché ogni volta mi invia un messaggio sul cellulare per dirmi che è tornata. Così si conclude ogni comunicazione, tutto il resto viene detto la sera a cena. Io mi conservo tutti gli avvenimenti della giornata per quelle due ore di contatto con lei, anche perché altrimenti non saprei cosa riferirle. Detesto cenare in silenzio, questa è la verità. E poi lei ha quel brutto vizio che hanno le persone insicure: quando nota che la conversazione comincia a calare, attacca a parlare anche di cose inutili, pur di riempire il silenzio, e non la smette fino a che l’altro non interviene nel monologo. Allora si ferma, come pacificata, e ascolta sorridente. Ma io proprio non ho voglia di sentirla blaterare, neanche per cinque minuti. Questa cosa mette a disagio me, ma mette a disagio anche lei, lo so per certo. Arrossisce ogni volta che succede, quando nota che introduco forzatamente un discorso solo per bloccarla, e allora abbassa lo sguardo e lì, sì, si ammutolisce definitivamente. Non amo ferirla.

Il mercoledì non si va a fare la spesa, c’è già abbastanza cibo in casa. A volte, in realtà, a lei viene in mente di prendere il mangime per il gatto, ma spesso si annoia e allora fa finta di dimenticarsene. Mi manda un messaggio mentre siamo a lavoro: “ho dimenticato il mangime per Frida, lo compro domani”. E io neanche rispondo, perché è sempre così il mercoledì. Poi ci vediamo la sera e io le racconto che in negozio hanno commissionato delle composizioni floreali complicate, o che ho ricevuto un carico che non mi piaceva, e così passa la serata.

Il giovedì, insomma, lei va a comprare il mangime per gatti e poi prende di nuovo il latte, il pane, gli spaghetti, la mozzarella e il salame. Io allora la chiamo sempre per dirle di ricordarsi di comprare l’insalata, perché non riesco proprio a mangiare la mozzarella senza un po’ di insalata condita. Allora lei me la prende, ma è sempre troppo poca. Poi mi ricordo che a lei l’insalata non piace, e mi convinco a mangiarla tutta io. La sera, prima di andare a dormire, mi sorprendo del fatto che dimentico sempre certi dettagli, tipo l’insalata. Come se non la conoscessi, come se me la volessi dimenticare. Poi però mi sveglio, ed è venerdì, e tocca a me fare la spesa.

Il venerdì vado io a fare la spesa, e lei non chiama mai, perché è la stessa tipologia di spesa che fa lei il martedì. Impiego sempre quasi venti minuti in più rispetto al resto della settimana, perché c’è molta più fila e perché so che lei il venerdì non lavora ed è a casa con il suo amante. Allora cerco di attardarmi quanto più possibile. Spesso mi ritrovo a vagare con delle buste pesantissime, faccio anche il giro del paese. Di solito il mio giro è questo: esco dal supermercato, vado in direzione opposta alla casa, vado al bar dove un mio amico fa un caffè decente, lo prendo, lo pago, esco, mi dirigo verso la cartoleria e compro una Settimana Enigmistica, poi mi ricordo che sono senza la matita e metto la rivista nella busta della spesa. In casa c’è un angolo del mio studio che custodisce una pila altissima di Settimana Enigmistica nuove, mai usate. Le ho contate, sono esattamente cinquantotto, con questa di venerdì sono cinquantanove. Sono cinquantanove settimane che mia moglie mi tradisce.

Quel venerdì cruciale ero tornato in orario e avevo una busta pesante e anche una cassa d’acqua che portavo in spalla. Lei non credo mi abbia visto, perché era fuori il cancello di casa con le braccia attaccate al collo di uno qualsiasi che non conosco neanche. Non ho mai avuto la curiosità di sapere di chi fosse, anche se all’inizio ho pensato che lo avrei ammazzato, quello stronzo, gli avrei fracassato il cranio con la cassa d’acqua e poi avrei infierito sul cadavere a suon di calci; sì, avrei proprio voluto farlo. Poi ho pensato che in fondo non ne valeva la pena, che non era giusto nei confronti di lei farle assistere a quello scempio; non ci amavamo da talmente tanto tempo che non sarebbe stato corretto scatenarmi in un gesto così plateale senza un vero motivo. Allora me ne andai, quel primo venerdì, e mi diressi al bar, presi un caffè per allungare il tempo, poi andai in cartoleria a comprare la Settimana Enigmistica e mi ricordai che non avevo la matita. Pensai un secondo: Ora torno a casa a prenderla, e mi faccio la Settimana Enigmistica su questa panchina qui. Poi mi ricordai che mia moglie era con l’amante e lasciai correre, misi la rivista nella busta della spesa e non ci pensai più.

Da allora, dopo aver comprato la Settimana Enigmistica, vado avanti per il paese fino alla chiesa, non mi faccio mai il segno della croce ma entro dentro e guardo l’altare vuoto e penso a quando mi sono sposato. Ricordo ogni scena, non so come mai, considerando che io dimentico sempre tutto. Però mi ricordo il viso raggiante di mia moglie attraversare la navata, guardarmi con gli occhi lucidi e non riuscire poi a mettermi l’anello al dito, tanto tremava dall’emozione. E ricordo d’essere stato innamorato così tanto anche io, quando ci sposammo. Mi innamorai di lei tanto tempo fa, se devo dire quando non lo ricordo. Ma mi piace ricordare di quando eravamo felici, una felicità che non so dire quando sia finita, ma adesso che è finita mi manca, riconosco chiaramente che non tornerà mai più.

Dopo essere andato in chiesa esco e torno indietro. In totale, impiego un’ora circa per fare tutto questo giro, se poi la spesa pesa molto posso impiegare anche fino a venti minuti in più. La prima volta, con quella cassa d’acqua, impiegai quasi mezz’ora in più e alla fine neanche la portai a casa: mi arresi prima, la abbandonai ai piedi della chiesa e me ne tornai quasi correndo, ero tutto sudato e sembrava stessi scappando. In effetti, ricordo di aver pensato che dovevo scappare da quella cassa d’acqua, mi faceva ribrezzo portarmela dietro. Quando tornai dissi che me l’ero scordata.

Non so perché quel venerdì mia moglie fu così incosciente da chiamare il suo amante mentre io ero a fare la spesa. In realtà, dopo averci pensato sopra in modo più tranquillo, credo che sia stato lui a farle una sorpresa; lei non l’aveva invitato a entrare, si era anzi sporta fuori al portone nel tentativo di baciarlo fugacemente, lo ricordo. Da quel momento, però, sarà sicuramente cambiato qualcosa: lei avrà capito che io ho capito, e in quell’ora e mezzo in cui io sono a fare la spesa chissà cosa accade.

Per precauzione, non compro più l’acqua il venerdì. Qualche settimana dopo il primo venerdì ci provai anche, dico la verità. Ma mentre la trascinavo per le strade assolate, non riuscivo a resistere all’idea di tornare indietro e sfracellare la faccia di quella merda con quella cassa che reggevo e che mi faceva stancare terribilmente. Perché devo stancarmi così tanto mentre quello stronzo si scopa mia moglie?, pensavo camminando e mi faceva tanto male la schiena. Allora abbandonai anche quella cassa e decisi che, per il bene mio e di mia moglie, non avrei più comprato acqua.

Il martedì, quando è lei che va a fare la spesa, da un po’ di tempo anche io mi dedico alla mia amante. Me ne sono scelta una raggiungibile, la mia assistente al lavoro, così che mia moglie non debba mai tornare dalla spesa e avere una sorpresa come quella che ebbi io cinquantanove venerdì fa. Lo faccio per dispetto, non ne ricavo neanche chissà che piacere; lei è bruttina ma brava e silenziosa, non dice mai una parola e questo mi rincuora perché così non devo far finta di provare nulla nemmeno io.

No, sto mentendo: ho un’assistente bruttina che non parla mai, ma non ho mai avuto il coraggio di proporle nulla del genere. Vorrei, lo giuro, perché forse mi sentirei meno stupido, ma non ce la faccio. Mi sono dimenticato quand’è stata l’ultima volta che ho fatto sesso con qualcuno, con mia moglie per l’esattezza. Non ho mai fatto sesso con nessuno che non fosse lei, e adesso mi sono anche dimenticato com’è fatta sotto i vestiti. Mi dispiace tanto, vorrei dirglielo che mi dispiace ma non riesco a fare neanche quello.

Però giuro di stare perdendo la pazienza. Ogni venerdì io lo so che lei è in casa che usa il nostro letto con un altro uomo che io non conosco, e vorrei avere il coraggio di tornare prima e coglierla sul fatto ma non lo faccio mai, perché un po’ la capisco e un po’ non voglio farmi del male. Vorrei sapere almeno perché.

Il venerdì è un giorno di merda, davvero. Non compro l’acqua ma questo non basta ad alleggerirmi del peso delle corna che porto addosso da cinquantanove venerdì. Non sto dicendo di uccidere quel pezzo di merda, anche se giuro che a volte ho una voglia irrefrenabile che – mio dio – sento montare dalle dita dei piedi fino alle orecchie e ho un formicolio diffuso ovunque se solo ci penso, però almeno voglio una spiegazione. Sto esplodendo, non credo riuscirò a comprare la prossima Settimana Enigmistica.

E infatti, il sessantesimo venerdì non compro nessuna rivista, non bevo caffè e torno direttamente a casa con le buste della spesa. Mi sorprendo di me stesso, per un coraggio così fulmineo che non ho mai avuto, mai, neanche in altri momenti di massima ingiustizia.

Entro in casa e sento qualche rumore strozzato, percepisco chiaramente dei passi veloci ma ormai sono entrato e non posso mica tornarmene indietro e dire: “scusate il disturbo, ora esco e vi lascio stare”. Anche se, istintivamente, mi verrebbe da uscire, forse ho interrotto un momento cruciale. Ci penso sopra una frazione di secondo, ma se facessi così sembrerei ancora più patetico di quanto non sia apparso in questi sessanta venerdì.

Salendo le scale, sento la voce di lei che sussurra qualcosa, ma non capisco esattamente cosa. Mi è sembrato: “fermo, resta qui”. Ma potrei anche sbagliarmi.

Finalmente entro nella camera da letto, alla destra delle scale, e la vedo: sul letto tutto sfatto, che stringe le mani di un uomo mezzo nudo che mi guarda con imbarazzo e vergogna. Li guardo attentamente per un attimo e mi sembra che questo ragazzo non sia neanche il tizio che vidi quel preciso venerdì, ma forse è la memoria che mi gioca brutti scherzi: io non ricordo mai niente. Non mi interessa; voglio sapere una cosa e poi voglio uscire di casa.

“È perché mi dimentico sempre che non ti piace l’insalata?”, le chiedo in fretta e poi arrossisco, come un bambino che chiede un giocattolo che sa non avrà mai. Sento lo sguardo di quell’uomo nudo farsi tenero nei miei confronti. Un uomo nudo, col membro all’aria che guarda con pietà. Mi sento così piccolo. Mi guardo i piedi e penso che invece sono cresciuto tanto, che sono quasi vecchio, perché mi gira leggermente la testa se guardo in basso, invece da bambino questo non succedeva. Penso che vorrei tornare indietro, spero che lei non risponda. E invece lo fa: “non c’è un perché”, mi dice e mi viene vicino, mi bacia una guancia e mi guarda mentre esco di casa. La motivazione è che non ci amiamo più, non c’è motivo, continua mentre mi chiude la porta alle spalle di casa mia.

Quando sono fuori vado a comprare dell’acqua, ho solo una genuina voglia di bere.



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