Io, Messradona
di Mattia Rutilensi

DOMENICA
“Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”. Giancarlo non era il tipo da porsi grandi interrogativi sull’esistenza, era suo fratello l’intellettuale. Lui invece dopo la scuola era andato a lavorare, l’ultimo libro lo aveva aperto per l’esame di maturità e poi aveva detto addio a quelle pagine piene di lettere e alle domande che ne potevano venir fuori. Eppure quella domenica mattina, guardandosi allo specchio, si chiedeva proprio: “Chi sono io?”. Sentiva una gran confusione in testa, non riusciva a dare un’identità al suo volto riflesso. Sapeva che non apparteneva ad un’altra persona, era sempre lui, ma “lui” chi era? Il nucleo della sua identità gli sfuggiva. Cercò di concentrarsi, di ricordare cosa aveva fatto il giorno prima, ma non gli venne in mente niente. Non si ricordò che nel sabato appena passato era andato allo stadio, a vedere una partita fondamentale per la sua squadra. Infatti l’Interlan, per cui Giancarlo tifava, quel giorno aveva sfidato il Minter in un derby che doveva decidere le sorti del campionato. Giancarlo era un tifoso che definire appassionato è dire poco: conosceva a memoria le formazioni della sua squadra degli ultimi vent’anni, aveva l’abbonamento allo stadio fin da ragazzo e prima e dopo ogni partita seguiva le trasmissioni sportive, i commenti degli opinionisti e le interviste ai giocatori e all’allenatore. Di tutti i componenti della sua squadra uno in particolare lo affascinava: Messradona, un sudamericano entrato di recente nell’organico, ma che si era già fatto amare da tutti i tifosi, Giancarlo compreso. Per lui era diventato più di uno sportivo da seguire, era il suo modello di stile e di vita. Lo seguiva su Facebook fin da quando la squadra l’aveva acquistato e dopo la prima partita, in cui aveva segnato, aveva creato una fan page dedicata a lui: Noi, pazzi per Messradona. Il contenuto della pagina era lo stesso della sua camera, con foto del calciatore ripreso sul campo da gioco in tutte le pose: rovesciate, calci di rigore, entrate in scivolata, ma anche ritagli di interviste e istantanee del gesto di esultanza tipico. Giancarlo cercava l’identificazione con il suo mito anche nell’abbigliamento: aveva comprato tutte le maglie ufficiali indossate da Messradona e le utilizzava per le settimanali partite di calcetto con gli amici. Oltre all’abbigliamento, pur non potendo permettersi un fisico scolpito come quello del calciatore, andava in palestra tre volte a settimana. Quanto al taglio di capelli non c’era molto da dire: rasati ai lati e con una piccola cresta al centro. Proprio come Messradona.
Eccolo lì quindi, Giancarlo che si guardava allo specchio e non si ricordava chi era. Eppure quel viso che gli sta di fronte gli sembrava familiare, gli ricordava qualcuno. Qualcuno con il suo stesso taglio di capelli, con il suo stesso sguardo…
Perso nei suoi pensieri, cercando di afferrare quell’intuizione che gli si stava affacciando alla mente, sentì squillare il cellulare: “Giorgio”, diceva la scritta sullo schermo. Giancarlo rispose subito, non aveva la minima idea di chi fosse questo Giorgio, ma pensò che così facendo avrebbe trovato qualche indizio.
«Pronto…»
«Ciao Giancarlo come va? Tutto bene?»
«Sì, sì, tutto a posto… ma, chi parla?»
«Come “chi parla”? Sono Giorgio, tuo fratello. Che c’è, hai perso la memoria?»
«Ahah certo, sì, scusa mi ero distratto un attimo». Giancarlo non si ricordava di avere un fratello, né che il suo nome fosse Giorgio, ma memorizzò subito questa informazione. Adesso aveva un punto di partenza.
«Dev’essere stata una gran festa ieri sera, eh? Come minimo ti gira ancora la testa»
«Serata? Festa grande?»
«Ahah ecco appunto, non ti ricordi già più niente, è segno che ti sei divertito molto. Spero che almeno non ti sia dimenticato cosa dobbiamo fare oggi. Ti passo a prendere alle due allora, va bene?»
A quelle parole Giancarlo si fece prendere dal panico. Cosa dobbiamo fare oggi alle due? E perché mi viene a prendere lui? Potrei farmi spiegare qualcosa, chiedere dettagli… no, non è il caso, gli sembrerei un cretino. Già non l’ho riconosciuto, se continuo così chissà che pensa…
«Ci sei? Hai sentito cos’ho detto?»
«Ah sì sì, scusa ero soprappensiero. Va bene ci vediamo dopo, alle due, ciao».
A fine telefonata Giancarlo non aveva più informazioni di prima, ma sapeva di doversi dare una mossa. Doveva scoprire chi era, o come fingere di essere qualcun altro, prima che arrivasse suo fratello.
Uscì immediatamente dal bagno per cercare altri indizi in camera sua: una sua foto con gli amici, con la ragazza, con i genitori o anche solo un suo primo piano.
Ma non trovò nulla di tutto ciò, attaccate ai muri c’erano solo foto di Messradona. Giancarlo controllò più volte la piccola superficie, andando avanti e indietro per cercare dettagli che potevano essergli sfuggiti. Dopo l’ennesima ispezione si fermò e la sua mente diede vita ad un banale sillogismo: quella era camera sua, appese alle pareti si hanno le proprie foto, dunque quello ritratto sul campo da gioco era lui. Lui era Messradona! Certo, il volto ritratto non corrispondeva alla perfezione a quello riflesso dallo specchio, ma non ci pensò su due volte, si fece suggestionare e si convinse presto.
Così la trasformazione fu completa: Giancarlo voleva essere Messradona, credeva di essere Messradona, Giancarlo era Messradona. A quel punto non aveva bisogno di sapere più niente, del calciatore conosceva tutto ciò che era stato reso pubblico: gli orari di allenamento, la routine, persino i gusti musicali! Smise all’istante di agitarsi, una grande calma era entrata in lui. Ora doveva soltanto scoprire cosa voleva da lui suo fratello, ma per quello poteva sempre improvvisare una volta che si fossero incontrati. E dopotutto lui era Messradona, aveva segnato 20 gol in serie A superando le più agguerrite difese, lo spaventava forse un tranquillo pomeriggio in famiglia? Perciò passò le restanti ore a prepararsi: doccia, vestiti e pranzo. Alle 14 in punto scese sotto casa.
Ad aspettarlo c’era suo fratello con il figlio, Giacomo, un ragazzino di tredici anni, appassionato di calcio, che quel giorno avrebbe giocato la sua prima partita nel campo grande. Per questo suo padre aveva chiamato anche lo zio Giancarlo, serviva un sostegno morale e il parere di un vero esperto per l’occasione importante.
E infatti Giacomo appena vide lo zio lo tempestò di domande: «Sei venuto a vedermi zio? Oggi è la mia prima partita, lo sai? Ma io sono pronto eh, sarò forte come Messradona, anzi, di più!». Al sentire queste ultime parole Giancarlo sorrise: «Eh Messradona è troppo forte, magari tu diventassi come lui… Lui sì che è un vero campione, in campo e fuori». Il ragazzino ci rimase un po’ male a sentire la risposta dello zio e allora Giancarlo aggiustò il tiro «Però, chissà… ancora sei piccolo, hai talento e tanto tempo per migliorare».
Durante il resto del viaggio e anche mentre la partita si svolgeva Giancarlo non disse una parola. Il suo comportamento risultò sospetto a Giorgio: suo fratello non era mai stato il tipo taciturno e tranquillo, semmai il suo opposto, quello sguaiato e chiacchierone, in particolare allo stadio. Non aveva però molto tempo per concentrarsi su di lui, la sua attenzione era tutta per il figlio.
Neanche nel viaggio di ritorno Giancarlo disse una parola, rispondendo a monosillabi alle domande del nipote «Sono stato bravo zio? Hai visto che scivolata gli ho fatto? E quel tunnel a centrocampo? Certo che l’arbitro poteva stare un po’ più attento eh… ci davano certi calci quelli… vero zio?» e mantenne sempre un’aria assente, con lo sguardo perso al di là del finestrino, sognando chissà cosa.
Non si fece riaccompagnare fino a casa, chiese di essere lasciato a metà strada, e una volta sceso lungo i viali della città si incamminò in direzione del centro. La visione della partita aveva risvegliato in lui la voglia di essere protagonista allo stadio, come d’altronde gli competeva, essendo lui Messradona, l’attaccante di punta dell’Interlan. Non vedeva l’ora che arrivasse la settimana successiva, aveva fretta di tornare in campo.
Mentre camminava controllò il cellulare: ogni nome in rubrica gli rievocava un compagno di squadra, un giornalista sportivo che l’aveva intervistato, una velina con cui aveva avuto una storia.
Arrivato nella piazza principale entrò in un bar, occupò un tavolo e ordinò da bere. Le partite di Serie A erano appena finite e tutti gli avventori stavano tirando le somme di questo campionato, discutendo anche di lui, Messradona. Origliò ogni tipo di discorsi, dagli elogi per le sue giocate alle critiche per alcune sue prestazioni non proprio eccellenti, passando per il discorso ricorrente dei calciatori troppo pagati. Si sforzò di non mostrarsi interessato né di lasciar trasparire alcuna emozione dal viso, ma dentro di sé inorgogliva sempre di più ogni volta che lo nominavano, fosse anche per offenderlo.
In serata si incamminò di nuovo verso casa, era molto stanco e dopo cena si addormentò quasi subito.
LUNEDÌ
Alle 07:00, puntuale come sempre, la sveglia di Giancarlo suonò e lo costrinse ad alzarsi. Il ragazzo non ci pensò due volte a eseguire i gesti meccanici di ogni mattina: lavarsi fare colazione vestirsi e uscire. Agì senza riflettere e si incamminò verso la fabbrica.
Lungo il marciapiede, davanti ad un bar, c’era una lattina di vuota, qualcuno l’aveva gettata lì per incuria o aveva provato a centrare il cestino, poco distante, senza riuscirci. Giancarlo appoggiò a terra lo zaino con il pranzo, prese la lattina e la mise sopra il piede, come fosse un pallone, fece qualche palleggio e poi con un lancio la spedì dove doveva finire. Il barista intanto si era affacciato ad osservarlo e quando la lattina era finita dritta nella spazzatura aveva esclamato: «Wow, come Messradona!». A quelle parole Giancarlo si girò e per un attimo il suo viso si illuminò di un’espressione di grande gioia e consapevolezza, come chi avesse appena realizzato qualcosa di molto importante per la propria esistenza. Ma fu solo un attimo, dopodiché riprese a camminare per la sua solita strada.