Numero 45

Morgengabe

di Sonia Aggio

 

“Fino a togliere peso” di Ilaria Cerutti

Un filo di foschia si alza dai campi, i contadini tornano con le zappe sulle spalle, cantando le loro canzoni. Masane sente l’aria fresca dei boschi sul viso. Walprand è fermo sulla soglia, rivolto verso l’interno. Lei lo guarda e nota sulla sua faccia un riflesso dorato che diventa sempre più largo e intenso. Dalla casa escono quattro uomini e una serva che regge una lanterna. Il primo uomo consegna un rotolo a Walprand. Gli altri tre osservano lo scambio. Masane nota che la luce ondeggia: le braccia della serva tremano.
— Moglie — dice Walprand, prendendole la mano — questo è il mio dono del mattino. Leggete il testo davanti a questi uomini: ci saranno testimoni. Domani, alle prime luci, le disposizioni avranno effetto.
Masane prende il rotolo.
Memoratorio che faccio io Walprand. A te, mia amatissima moglie Masane, come morganicaput, un mantello di dieci solidi, orecchini per venti solidi, un cavallo addestrato per settanta solidi, e per duecento solidi la casa di Farra; e il giorno dopo il morganicaput quattro fra servi e ancelle, e questi sono i loro nomi, prima Arochis e sua moglie Austreconda, Orso e l’ancella Gradane.
Walprand annuisce gravemente.
Masane china il capo. — Siete generoso — sussurra. Si accorge che la serva ha alzato gli occhi. Si scambiano uno sguardo, poi lei rientra in casa, tenendo la lanterna alta sopra la testa, e i quattro testimoni la seguono.
Marito e moglie restano soli. Il vento freddo della sera corre giù dai monti.

Masane siede davanti a casa, guarda le montagne farsi azzurre e poi blu e poi scomparire nel buio. Riesce a contare ventidue stelle, prima di sentire i passi di Gradane.
— Mia signora — dice la serva — mi sono svegliata e non vi ho trovata. State male?
— Ho fatto un sogno — replica Masane, senza voltarsi — e ho visto delle nuvole scorrere sulle montagne, una bella giornata di sole. Ho sentito i cavalli al galoppo. Credo che Walprand non tornerà.

Una civetta vola sul tetto, il suo canto rotondo cade tra loro.

— Ma… io non so dove sia vostro marito. Dov’è andato?

Masane si alza. — Torno a letto. Ho freddo.

Sogna Walprand nella vasca da bagno, una lanterna che illumina tutto il suo corpo, dal collo alle dita dei piedi. Masane si sente dire guarda, sei tutto sporco e ferito, lascia che ti lavi e prova a immergere le mani nell’acqua, ma non riesce a toccare il corpo del marito, le dita annaspano, urtano il fondo della vasca, frullano impazzite. Walprand tiene la testa bassa.
Masane fa una risata isterica. Ma guarda, cos’hai combinato? Aiutami, fatti pulire! Poi si lascia cadere a terra, la schiena appoggiata alla vasca, e a occhi chiusi ride e piange.

Da lontano è una macchia scura, da vicino è un cavaliere con la faccia stravolta, con un elmo ammaccato sulla tempia e una macchia di sangue secco sulla guancia. Masane attraversa il cortile correndo, avverte un dolore piccolo come una puntura di zanzara.
Fa un cenno all’uomo e lui spinge il cavallo attraverso i campi, contorcendo la bocca come se la fatica fosse sua.
Il cavallo scarta, stanco e irritato; l’uomo perde la presa e cade sulla terra rossa.
— Gradane, dell’acqua! — grida Masane.
Lei arriva di corsa, gli si inginocchia accanto, gli toglie l’elmo e gli sciacqua la testa. Lui tiene gli occhi chiusi per un po’, poi si mette a sedere. Gradane gli offre la brocca. Lui beve, dopo un po’ alza la mano, allontana la brocca e guarda Masane.
— Non so se sapete… — comincia, con una strana fatica nella voce.
Masane non risponde. Lo sa. L’ha sempre saputo.

Accompagnano il cavaliere in casa. Lui continua a farfugliare.
Il re si è chiuso in Pavia, ma le truppe franche stanno circondando la città e infuria la pestilenza. Molti sono fuggiti verso sud per sottomettersi al papa. Adelchi, con pochi fedeli, si è diretto a Verona e lui, Paolo, ora si dirige a Treviso, poi in Friuli. Gli eserciti devono sapere, devono prepararsi.
Le donne si guardano negli occhi, angosciate.
— E Walprand?
Paolo scuote la testa. — Il cavallo l’ha disarcionato. Per un attimo l’ho visto in piedi, ma aveva un braccio rotto e molte ferite. Poi i cavalieri franchi sono arrivati su di noi.
Gradane lo aiuta a stendersi su una panca. Lui si volta verso Masane. — Le Chiuse — comincia a ripetere — le Chiuse non hanno retto. Ci hanno presi alle spalle.

— Riposate, manderò un servo a Treviso — replica lei, poi esce.

Guarda la strada con una sorpresa stupida, cieca. Le Chiuse. Pensa alle nuvole che strisciano sui fianchi della montagna, all’odore caldo dei cavalli, alle spade sguainate. Passa alle spalle di Walprand, osserva i capelli che sbucano dall’elmo, sa che la calotta lascerà un segno rosso attorno alla sua fronte. Poi un suono, un richiamo da guerra. Walprand gira il cavallo, gli occhi larghi per lo stupore.

Masane si volta a guardare le montagne e la paura le arriva addosso. La casa è scoperta, troppo vicina alla strada, troppo ricca. Devono spostarsi in un posto più sicuro. — La laguna — dice qualcuno. Gradane viene avanti torcendosi le mani. — La laguna — ripete, una luce febbrile negli occhi.

Masane scopre che Gradane non è Gradane. Gradane è Zoe, che è nata sulle rive della laguna, è cresciuta raccogliendo conchiglie durante la bassa marea — le mostra le piccole cicatrici che le velano i piedi —, con un cagnetto bianco e magro come un agnello. È stata portata lì, ai piedi delle montagne, e il vecchio Lupo le ha cambiato nome, ancora pieno di rancore e scherno verso i Greci.
Per la prima volta, Masane la guarda con attenzione. — E sia. Fa’ preparare i bagagli, va’ alla ricerca del notaio, gli affari vanno sistemati prima della fuga.

Masane si inginocchia davanti alla cassa. Appoggia le mani sul coperchio, poi tende l’orecchio. La servitù è frenetica, la casa somiglia a un formicaio, ma nessuno cammina davanti alla camera da letto.
Ciò nonostante, Masane si muove in fretta. Afferra i pezzi di metallo, che scintillano al sole, e li mette sul fondo. Poi afferra i mantelli di Walprand e li butta dentro, premendo perché coprano ogni riflesso. Corre al letto, prende gli abiti che ha selezionato e comincia a riempire il baule con vesti, mantelli, calzature, il pettine d’osso con cui Gradane le acconciava i capelli in tempi più felici.
Lo rigira tra le mani, poi si alza e prende uno specchio. Comincia a pettinarsi, osserva come la luce faccia somigliare i suoi capelli a oro pallido. Ogni colpo rende i suoi pensieri più lucidi, la sua idea si fa più chiara, trasparente.
Un colpo discreto sulla porta. — Mia signora?
Masane torna alla cassa, vi getta il pettine e abbassa pesantemente il coperchio.
— Prendete anche questo — dice aprendo la porta. — Contiene i miei abiti.

Per una notte si fermano nella casa di Musano. Masane fa nascondere il carro nella stalla, e ordina ai servi rimasti — Orso e Gradane — di non accendere luci. Paolo si inginocchia davanti a lei e le bacia entrambe le mani. — Vi sono debitore — mormora. Masane si abbassa.
— Quando avrò bisogno di voi, dove potrò trovarvi? — gli sussurra all’orecchio.
— Il duca di Vicenza è il mio signore. Mi troverete presso la sua corte.
Gli lascia il cavallo grigio, il più veloce, e resta a guardare mentre si allontana lungo la strada buia.
Rientrando sente un fruscio. Arriva dalla stanza in cui dormono i servitori. Masane si affaccia e intravede una sagoma scura che gattona verso la porta ed emette un ansito continuo. Per un secondo lei pensa di scappare urlando, poi crede che sia Walprand, tornato dalle Chiuse, poi si rende conto che si tratta di Gradane. Con un mezzo sorriso di sollievo, la chiama. Lei alza la testa.
— Oh, mia signora! Non vi trovavo più, mi sono spaventata! Vi stavo venendo a cercare ma ho perso l’equilibrio! — dice la sua voce preoccupata. Masane sorride, commossa. — Quanto mi sei fedele — sussurra, chinandosi sull’ancella per aiutarla ad alzarsi.
La bontà del suo piano le riempie di nuovo la mente, come un singolo raggio di luce.

Nella mano destra ha uno specchietto e il pettine d’osso, nella sinistra due bracciali d’oro, una collana, un paio di orecchini. Nascosta dietro l’angolo della stalla, osserva Gradane che siede sotto il sole — i capelli scuri, con una goccia di rosso, gli occhi allungati, verde acqua.
Si sforza di sorridere, e viene avanti.
— Gradane, facciamo un gioco! — dice con voce allegra, mostrando i gioielli. Lei si raddrizza e mette le mani sulle ginocchia. Sembra nervosa. Masane le si siede accanto, posandosi gli oggetti in grembo. Ridendo, le fa indossare i gioielli, le stringe i bracciali sui polsi, le fissa gli orecchini, la pettina spingendo i capelli dietro le spalle.
— Guardati, sei splendida! — esulta, battendo le mani. Lei rivolge un sorriso minuscolo alle proprie ginocchia, un velo rosso sulle guance. Masane la prende per le braccia, costringendola ad alzarsi. — Fa’ come me, raddrizza la schiena, solleva il mento… ecco, così!
Fa un passo indietro, e guarda.
All’inizio Gradane è imbarazzata, cincischia con la gonna verde, poi prende coraggio, si tocca delicatamente i lobi, la pietra azzurra degli orecchini, gira su se stessa, il sole la prende e la fa risplendere, la sua testa assomiglia a una fiamma. Tutto d’un tratto si volta verso di lei, e le sorride. — Mi sento così bella — farfuglia, le guance rosse, gli occhi languidi.
Masane sente un pezzo di ghiaccio attraversarle lo sterno. Non ha mai visto un sorriso simile sul viso di Gradane — un sorriso senza riserve, pieno di gioia e affetto. Masane allunga le mani, si riprenderà i gioielli e il pettine, così impara, quella stupida. Poi lei solleva l’orlo della gonna, sotto la polvere appaiono le cicatrici bianche. Non è Gradane, non lo è mai stata, ma è venuta a cercarmi quando mi sono allontanata, mi ha obbedito sempre, mi ha aiutato a fuggire… pensa Masane, e la abbraccia.

— E questo?
Un gatto bianco e nero attraversa la strada, a pancia bassa, e scompare nell’erba. Orso conduce il cavallo piano, attento alle buche. Masane guarda le case attorno a loro, le porte e le finestre simili a bocche nere spalancate. I fiori crescono nelle pareti, alberi giovani stritolano i tetti. Gradane si guarda attorno, il volto duro e attento. — Questa era Altino — dice.
Masane si volta, seguendo un fruscio, e intravede una donna pallida affacciata a una finestra.
— Cos’è successo? — chiede, stringendosi nel mantello.
Gradane scrolla le spalle. — La guerra, credo. La laguna non è un posto sano. Queste sono paludi.
Passano davanti a tombe coperte di muschio e canne, girano intorno a pozze di acqua ferma in cui nuotano i girini. Le macchie scure si susseguono fino all’orizzonte tremolante.
Una ruota finisce in un buco e i bagagli sbattono. Dal suo baule arriva un tintinnio metallico, Masane sgrana gli occhi, ma gli altri non sembrano aver notato nulla.

Il viaggio finisce accanto a un monastero, in un villaggio minuscolo. Gradane fa fermare il carro e salta giù. Masane e Orso la guardano correre verso una macchia grigia-blu. Impiegano qualche secondo per comprendere che è la laguna. Gradane, ormai un pupazzetto vestito di rosso, salta nell’acqua e balla a braccia larghe. Quando torna ha il vestito bagnato, le guance rosse e una ciocca appiccicata alla bocca.
— Vedete, mia signora? Questo, questo… — le mostra le mani. Masane si avvicina: inizialmente vede un mucchio di fango scuro, poi distingue delle conchiglie bianche e marroni. — Questa era la mia vita — conclude Gradane.
Questa era la mia vita.
— Gradane, puoi portarci in un posto coperto? E poi andiamo in chiesa.

Masane si inginocchia davanti alla cassa. Appoggia le mani sul coperchio, poi tende l’orecchio. Intorno alla capanna fischia il vento, un cavallo nitrisce. Fa scattare la serratura, ma aspetta, accarezzando il legno tiepido.
Ricorda la sua bella casa con le mura di pietra, il letto, le montagne fuori dalla finestra, la nebbia serale, i contadini che tornavano cantando.
Ricorda la lanterna posata sul bordo della vasca, il corpo di Walprand illuminato sott’acqua, le mani di Gradane quando la pettinava sul portico.
Questa era la mia vita.
Immagina Walprand che corre incontro al nemico, alle Chiuse. Chissà dov’è finito il suo corpo, chissà se l’hanno seppellito o se l’hanno mangiato i lupi. Ricorda il suo sogno, le nubi che strisciano sui fianchi delle Alpi.
Spinge il coperchio, che cade con uno schiocco.
Masane si spoglia, respira l’aria fredda, e si riveste.

Quando la vede, Gradane lancia un grido e afferra il braccio di Orso. Masane le va incontro con il fiato corto, stupita dal peso della giacca imbottita. Le sue armi risplendono della luce morbida delle candele.
Chiama il prete come testimone, poi libera i due servitori. Orso è sorpreso e felice, Gradane la guarda con angoscia, le mani abbandonate nei suoi guanti di metallo. Masane sorride, le stringe con delicatezza.
— Torno indietro — le spiega. — Non c’è nulla per me in laguna. Ti lascio i miei averi, i miei gioielli e tutti i miei vestiti. Abbiamo visto che sai portarli.
Le accarezza il viso, Gradane insegue la sua mano come un cucciolo, le lacrime cominciano a scorrere.
Masane fa un passo indietro, si inchina all’altare, ed esce dalla chiesa, stringendo l’elsa della spada.

Altrove, un anno dopo.

Zoe si siede sul letto, le mani fra i capelli. Guarda il bracciale che ha in grembo aspettando di piangere, ma il dolore trova vie strane e si annida sotto lo sterno. Il Friuli e il Veneto si sono sollevati, i duchi si sono rivoltati come serpenti e hanno morso la mano di Carlo. I due eserciti si sono scontrati sul Livenza.
Dicono che al primo segnale un cavaliere si è staccato dalla linea longobarda e si è spinto avanti come la punta di una freccia. Il sole brillava sulla punta della sua spada.
Si è sentito un grido di donna, si è vista una lunga chioma, simile a una cortina di oro pallido.
Masane! pensa Zoe, alzando la testa di scatto. Fissa la parete, ma vede la sua padrona che cavalca e si dissolve nella luce dorata del tramonto.



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