Anatomia di Jane
di Sonia Aggio
Durante la lettura si consiglia l’ascolto della playlist Anatomia di Jane.
Nel 1505, in una tenuta del Norfolk, Alice st John dà alla luce una bambina. L’iniziale delusione data dal sesso della nascitura è bilanciata dal sollievo per la salute della madre, che riesce ad alzarsi dal letto in una settimana. La servitù si occupa allegramente della neonata, battezzata Jane, mentre i genitori provano di nuovo, con impegno, a concepire un erede.
L’infanzia di Jane non è né migliore né peggiore di quella vissuta dai coetanei. A quattordici anni la ragazzina è spedita a corte, per imparare le arti femminili nel seguito della regina Mary.
La giovane, attraente damigella è una delle molte condotte in Francia; hanno scelto ragazze diverse, molte e formose bionde e pienotte, poche scure e sottili. Jane non vuole spiccare: le piace guardare i cavalieri e il re, commentare con le sue amiche gli abiti delle dame francesi. Tornata in Inghilterra, viene scelta per partecipare ad alcuni masque, le rappresentazioni teatrali che piacciono tanto a Enrico.
Viene messo in scena uno spettacolo intitolato Il castello verde, e Jane viene scelta insieme ad altre sei ragazze. Al momento la ragazza lo trova semplicemente un passatempo – anche se col senno di poi la serata le apparirà tutto fuorché banale, irrilevante: solo per un istante, mentre balla in coppia con una ragazza mascherata da Perseveranza, la luce morbida che le avvolge la illanguidisce — il tempo sembra scorrere più lentamente, tra una canzone e l’altra passano interi secoli, e il gesto con cui la Perseveranza gira su se stessa, allargando il braccio, si tramuta nella lenta danza dei pianeti.
Henry Parker, Lord Morley, è un letterato e un cortigiano, e quando si tratta di scegliere il marito per la figlia, punta a una famiglia baciata dalla Fortuna. Decide quindi di dare in sposa Jane, la primogenita, all’unico figlio maschio di Thomas Boleyn, George. Le altre due figlie, Anne e Mary, brillano come stelline sugli abiti del re. Gira voce che Mary, allenata da un lungo soggiorno in Francia all’ars amatoria, abbia scaldato il letto di Henry, ricevendo, in cambio, il varo di una nave con il suo nome e — forse — un figlio bastardo.
Adesso si dice, con maggior cautela, che la figlia mediana, inferiore a Mary in tutto, tenga il cuore del re nel pugno.
Alice Parker, moglie di Morley, spinge perché il matrimonio si faccia.
Alla fine, i Boleyn acconsentono: il contratto viene stipulato, i legami ridefiniti. La cerimonia viene celebrata il dieci dicembre 1527.
George è orgoglioso del suo fascino, e ama i begli abiti: al matrimonio indossa un completo di raso rosso e borgogna, opulento. Jane ammira anche gli anelli che porta su entrambe le mani, diamanti, rubini e altre pietre, ma non le piace l’espressione con cui lui la guarda — strafottente, un sopracciglio inarcato. Sotto i suoi occhi, la ragazza si sente un animaletto strano.
Alla fine, anche quel giorno finisce, e Jane e George si trovano in camera da letto.
Il ghigno dell’uomo è ancora più inquietante, alla luce guizzante delle candele. “Quindi, mio signore…” comincia Jane.
George le scioglie i legacci della veste da camera.
Finisce il tempo dei masque e della giovane e attraente dama di compagnia. Tutta la corte si rovescia, le cose si rinnovano o muoiono o nascono, mentre George diventa visconte di Rochford e Jane, in quanto moglie, trae giovamento dai suoi successi.
In camera da letto è sceso il gelo. Jane si veste e si sveste dando le spalle al marito — raramente, perché George preferisce passare intere settimane lontano da casa, e torna spesso con lividi rossi sul collo o un farsetto di stoffa scarlatta, o delle scarpe di pelle conciata.
Jane si punge un dito mentre osserva suo marito e la sorella di lui. George afferra Anne per i fianchi; lei indossa un corpetto di raso giallo, che aderisce alla sua pancia piatta. L’uomo le appoggia il mento sulla spalla — e guarda con tenerezza la sua pelle bronzea. “Non angustiatevi per queste” soffia come un gatto, sfiorando il pizzo che le ricopre il seno, “siete disperatamente bella.”
Jane si succhia il dito per non macchiare il ricamo. Anne ridacchia, si gira nelle sue braccia e gli dà un bacio sulle labbra. Cogliendo lo sguardo di Jane, fa una smorfia e si posa l’indice sulla guancia. “In Francia usa così.”
“Ah, in Francia… chissà cosa direbbe il re, di questi usi francesi” commenta lei.
Anne la colpisce sulla bocca, la pietra di un anello le apre un taglio nel labbro. George non si volta nemmeno. Jane si pulisce con il dorso della mano e tocca corpetto della cognata. Anne allarga le braccia, stupita, guardando la macchia rossa sul giallo.
Jane scappa dalla stanza prima che possano punirla.
Sta pregando, la mano fasciata, la bocca gonfia quando sente dei passi leggeri, sbrigativi. Prima ancora di voltarsi, Jane sa che si tratta di Thomas Cromwell; persino le pareti si ritirano.
“Vi disturbo?” dice l’uomo. Jane si volta. Cromwell sorride.
“So che è una situazione intima… e ciò di cui sto per parlarvi è molto, molto…” continua, sedendosi sulla panca, le mani giunte sulle ginocchia. Sembra quasi un parroco, tant’è serio e gentile.
“Ditemi.”
“Sono giunte al mio orecchio storie incredibili nel loro orrore… sono restio a parlarne al re, potrebbero turbare la sua mente. Per questo vi chiedo, in tutta sincerità, davanti a Nostro Signore, di dirmi se avete assistito a comportamenti immorali da parte della nostra graziosa regina.”
Jane torna a guardare l’altare. Stringe le mani con forza, chiude gli occhi per un breve istante. Vede la faccia di George, il suo ghigno, le sue scarpe rosse.
“La regina bacia suo fratello sulla bocca, e si abbracciano. Lui le ha sfiorato il seno. Dicono che è l’uso francese” dice con voce piana, girandosi di nuovo verso Cromwell. Lui non sembra sorpreso, ma lievemente disgustato — forse per il fatto in sé, o per l’imprudenza mostrata dai Boleyn. Jane sa che nessuno, tranne forse il re, è sconvolto da quello che sta emergendo.
“Siete pronta a giurarlo davanti a una corte?”
“Cromwell, io parlo di ciò che è. Non mi piace mistificare la realtà.”
Cromwell, che si sta già alzando, inarca le sopracciglia, fa un sorriso maligno. Jane guarda la sua ampia schiena che si allontana; poi si alza e va nella direzione opposta.
George la ferma poco dopo.
“Hai parlato con Cromwell? Cosa ti ha chiesto? Voleva sapere i segreti della nostra famiglia?” sibila, afferrandola per un braccio. Jane si libera e si liscia la manica turchese.
“Io stavo pregando” risponde a voce bassa. George le stritola la spalla, lei si scosta. La donna si rassetta la cuffia rotonda, passando più e più volte l’indice sulla fila di perle che la decora. Les jeux sont fait pensa. A George e Anne piacciono i costumi francesi.
Anne viene arrestata. Quattro gentiluomini — i suoi amanti? — vengono arrestati. George viene arrestato. Tutti vengono condotti alla Torre.
George si difende con freddezza, abilmente. Il dubbio serpeggia tra i giudici — riuscirà a farsi assolvere? Su chi ricadrà l’ira del re Enrico?
Jane non ha paura: fissa Cromwell, e vede gli occhi freddi e scintillanti del serpente. L’uomo consegna un documento all’usciere, poi stringe il pennino nel pugno — ma sta stringendo George, è pronto a strangolarlo.
George prende il foglio, lo legge, una scintilla di gioia. Lo legge a gran voce, di modo da farsi udire in ogni angolo della sala. Tutti vengono a conoscenza dei problemi d’impotenza del re.
“Queste, tuttavia, non sono le mie parole” dice alla fine, sprezzante.
Cromwell ha un volto di pietra. “Lo sono, ora che le avete pronunciate.”
E così George Boleyn, visconte di Rochford, mette in dubbio la virilità del sovrano e si condanna a morte. Jane ride, tenendo una mano sullo stomaco e l’altra sul parapetto ligneo. George la fissa con occhi di fuoco, ma non osa alzarsi — le alabarde delle guardie hanno il filo rivolto verso di lui. Quando lo fanno alzare per ricondurlo alla Torre, è un uomo morto.
Il patibolo è già intriso di sangue; George guarda il ceppo con aria disgustata. Si volta verso la folla ai suoi piedi e, lanciando un grido strozzato, fa un passo in avanti. Le guardie sono rapide nel trattenerlo. Marito e moglie si guardano per un lungo istante, lui vestito — ancora — di rosso scuro, lei di seta acquamarina. George spalanca la bocca, la gola gonfia, lei giunge le mani sulla pancia, il viso impassibile.
Non c’è tempo perché l’odio di George prenda forma: viene sospinto sul ceppo, ancora furioso. Jane vorrebbe sapere quale parole meditava di dire. Per fortuna la scure gliele recide ancora in gola.
Anne si comporta molto bene, quando è il suo turno. Raccoglie i capelli, perché il boia di Calais possa staccarle la testa più facilmente. Per un attimo, la folla si scosta perché l’ex-regina alza il braccio, proprio mentre l’uomo prepara il fendente: temono una pioggia di sangue, ma lei lo abbassa in tempo. La spada sibila, la piccola e bella testa di Anne rotola via. Tutti tremano al suono del cannone.
Ora è vedova, con il titolo del suo defunto marito. Resta nei pressi della corte, senza punti di riferimento, e assiste all’innalzamento della noiosa e pallida Jane Seymour al rango di regina, vede il pallido figlio che dà alla luce — Edoardo — e partecipa al funerale della madre. Fa parte del seguito della duchessa Anna di Cléves. Mentre attendono l’arrivo della sposa, si confida con una giovane sensuale, un’altra damigella.
“Io odio” dice Jane “quelle anime ingenue, diciamo come il re, che confondono la volontà di Dio con la propria e fingono di aborrire le meschinità del mondo.”
Entrambe guardano il re, alto, robusto, tutto ricoperto d’oro, mentre sposta il peso da una gamba all’altra e guarda in fondo alla via. L’impazienza di un quarantottenne che aspetta la quarta moglie è penosa.
Il re scopre che la nuova moglie non gli piace, e Jane non può dargli torto; dopo Anne, la duchessa non è solo bruttina, ma inguardabile. Catherine, la giovane a cui ha parlato dell’ingenuità del re, deve aver visto un’opportunità per mettersi in luce, perché comincia a cercare il confronto con la nuova regina, anche con aggressività. Alla fine, com’è naturale, il re si rivolge a lei, accecato dalla sua bellezza esuberante.
Catherine chiede aiuto a Jane — così la donna scopre di trovarsi davanti una cugina dei Boleyn.
Il matrimonio sembra felice — per il re. La regina, così sensuale e deliziosamente immatura, si stanca in fretta del sovrano.
Enrico ha una parte di colpa: a cinquant’anni, grasso e ansimante, si circonda di giovani belli e audaci, e ignora di apparire come una vecchia reliquia tra loro. Catherine cade nelle braccia prima di uno, poi dell’altro, fino al giorno in cui non comincia la relazione con Thomas Culpepper, che dorme ai piedi del letto regale.
Jane fa da tramite, chiude le porte dietro cui gli amanti si incontrano, lava le lenzuola dal seme di lui e dal sudore di lei e mantiene il segreto. Catherine le dona un anello con uno smeraldo, lodando impacciata la sua “fedeltà”. Jane sorride e s’inchina, indifferente. Nella sua stanza, rimira i riflessi della pietra alla luce delle candele. Non è fedele. Lascia che gli eventi scorrano — la fine arriva sorprendentemente tardi: se Cromwell non fosse sottoterra, Catherine sarebbe già morta e sepolta; la giovane si comporta in modo veramente inetto, e alla fine anche gli amici del re si accorgono della sua condotta adultera.
Con gli uomini che la arrestano, Jane è più cortese che può. Da quel momento, lei e la regina si separano.
Durante la sua reclusione, una delle donne che la assistono le chiede: “Perché l’avete fatto?”
Lei chiede di Catherine. Le viene detto che si è fatta portare il ceppo nella cella, per esercitarsi: vuole essere graziosa e fluida nei movimenti, quando verrà la sua ora.
“Se lei ha chiesto questo, io vorrei carta e penna. E un coltello. Non posso mangiare con le mani, non sono un animale.”
Le sue richieste sono discrete, e vengono accolte.
Jane Parker esce nell’aria blu di Febbraio con i capelli rozzamente tagliati all’altezza della nuca — quei capelli bistrattati, annodati, lisciati per anni, ora si ribellano e se ne stanno alti e trionfanti sul suo collo nudo. La donna guarda a destra e a sinistra. Catherine, davanti a lei, piange.
“Lady Parker… lady Parker…” singhiozza, vedendola.
“Silenzio” dice Jane. La piccola folla ai piedi del patibolo non l’ha sentita
Aiutano la piccola, grassottella Catherine a sistemare le gonne ingombranti, ma lei, con un cenno, si fa avanti e si inginocchia davanti al ceppo. “Non volete dire qualche parola?” la ferma una delle donne.
Catherine annuisce, un po’ sperduta. Si alza in modo più goffo che mai — evidentemente non si era preparata a questo, pensa Jane. Parla del re, gli augura tutto il bene, poi torna a inginocchiarsi. Sembra che abbia fretta.
La scure cozza sul legno. Le donne portano via il corpo. Un colpo di cannone saluta la sua morte.
Jane si fa avanti. Negli ultimi tempi è stata male, troppo piena di paura per andare oltre pianti isterici e sonni di pietra. Implorare pietà è inutile, lo sa dai tempi di Anne; quando il re, nella sua ira, crea una legge ad hoc perché sia possibile condannarla, Jane si calma. Le ultime settimane le occorrono per riprendere il controllo di sé.
I suoi guardiani hanno ritenuto che fosse il momento di restituirle coltelli e oggetti affilati e lei, la sera prima, si è tagliata i capelli.
Ora, gli inglesi della Torre la guardano come se fosse Medusa.
Il suo discorso è piatto; verrà sicuramente distorto, alcuni resoconti la descrivono già come una vecchia cenciosa che si è denudata davanti alle guardie. Non ha importanza, quello che dice, perché lei stessa non è importante.
Mentre torna al ceppo, già viscido di sangue, inspira con il naso e poi con la bocca. L’odore di ferro è molto forte.
“Ho lasciato un documento nella mia stanza” sussurra, appoggiando la guancia sinistra al legno. Le finestre degli alloggi sembrano lastre di ghiaccio verdeazzurro. Jane le guarda, cercando di controllare il proprio respiro.
Il documento si chiama Anatomia di Jane. La donna che ripulisce la stanza lo trova sullo scrittoio: è scritto in un inglese corretto ma un po’ contorto, ricco di similitudini e tempi verbali sfalsati. Jane parla del proprio aspetto, ma evita — forse per mancanza di tempo, forse per disinteresse — di completarlo.
Le cose della defunta, escluse una Bibbia miniata, due ciondoli contenenti i ritratti dei genitori, tre pellicce e una collana di perle e giaietto, vengono gettate via. Gli oggetti tenuti da parte, dato il loro — modesto — valore, vengono spediti ai Parker, nel Norfolk.
Anatomia di Jane resta in mano alla dama che ha sgomberato l’alloggio.
Anatomia di Jane
I miei capelli sono scuri e folti; mia madre si accanì su di essi per anni, con impacchi alla margherita, lavande con l’aceto e trattamenti con ferri caldi, ossessionata dalla mia presunta somiglianza con un maschio. Le mie zie non sono state molto cortesi. Zia Mary era scioccata, zia Isobel e zia Maud si scambiavano commenti riparandosi la bocca con le mani.
Finché, con i miei quattordici anni, mia madre poté dirsi soddisfatta: non solo i miei capelli erano finalmente domati, ma ero diventata una donna. Non ho mai visto una donna tanto sollevata quanto mia madre il giorno in cui vide la pezza sporca di sangue. Adesso poteva trasferire le sue energie sulla ricerca di un buon partito. Confidava che la natura mi avrebbe offerto un seno florido e un corpo sensuale.
Il mio peggior difetto è — anzi, i miei peggior difetti sono il petto scarno e gli incisivi superiori un po’ storti. Nessuno me li ha mai fatti pesare… tranne mio marito. Mi toccava il seno con espressione stupita, stringeva gli occhi come se stesse cercando qualcosa di inesistente.
“Signora!” mi dice un giorno in cui è particolarmente irritato “Non mi riesce di trovare il vostro seno, quando giacciamo insieme. Mi pare di condividere il letto con un uomo.”
“Ebbene, mio signore, io vorrei poter dire lo stesso di voi!” gridai io.
Lui strinse gli occhi, mi venne incontro e, quando aprii la bocca, mi picchiò la nocca dell’indice contro i denti. “E nascondete queste storture!”
Cercai di mordergli il dito, lui alzò la mano per colpirmi, quando entrò suo padre.
Uno dei pregi del mio corpo risiede nelle mie mani, che sono sempre state chiare e morbide come panna. Un giovane protetto di mio padre mi fece giungere — quando ero appena una ragazza — un sonetto in cui paragonava le mie mani a tutte le cose lievi del creato.
In cambio, gli offrii la morbidezza delle mie mani in una galleria, dopo cena.
Mio marito e io, nudi nel letto, la prima notte di nozze. Mi affannai, sostenuta dal ricordo di ciò che avevo fatto in quella galleria, ma il membro di mio marito rimase piccolo e rosa, un baccello vellutato nella mia mano.
Qui finisce Anatomia di Jane. Dalle tasche della donna, il foglio passa nelle mani del gentiluomo Thomas Browne che esclama: “Jane? Jane Rochford?! Che bizzarro documento!”
La donna gli cede il foglio. Lui, a casa, aggiunge una postilla e la propria firma.
“Jane Boleyn, vedova di Rochford, née Parker, manca di scrivere, in questo suo autoritratto, della qualità che più colpiva coloro che la conoscevano. Parlo dei suoi occhi, di un freddo verdeblu, che non di rado davano l’impressione che lei fosse capace di discernere verità e bugia, ovvietà e segreto.
Presente alla sua esecuzione, posso dire di averla vista personalmente girare lo sguardo sui presenti, con aria molto seria e gli occhi distanti di chi osservi uno spettacolo che non la riguarda.
Uno sguardo, oserei dire, che non avrebbe stonato sul viso di pietra di Athena.”
Browne nasconde il foglio sotto la copertina di un libro, e se ne dimentica finché vive. Alla sua morte, lo ritrova il figlio Phillip. Il giovane ha il vago ricordo di una Jane Parker, vissuta ai tempi del vecchio re. Non trova una soluzione migliore dello spedire Anatomia di Jane a un amico di Londra, uno stampatore che vede del potenziale in quel documento. L’uomo, Harry Wildmare, stampa Anatomia di Jane con una piccola aggiunta: un’invettiva nei confronti dei francesi, colpevoli, a suo dire, di aver corrotto anche la solidità tipica degli inglesi.
Il pamphlet ha un discreto successo. Per qualche settimana i londinesi lo leggono, ma in poco tempo, il pamphlet di Wildmare scompare e viene dimenticato: si impone un’immagine di Jane Rochford che la vede con un viso di volta in volta rincagnato, lungo, storto, sempre sgradevole, occhi e capelli sono descritti con tinte che vanno dal grigio topo al marrone fango.
Anche la copia originale dell’Anatomia viene distrutta.
Nulla rimane di Jane Parker, se non il nome e una cattiva nomea. La Storia illumina e innalza i suoi protagonisti, calpesta e distrugge le vite dei comprimari. Ciò che Jane pensa, nell’attimo in cui il boia alza la scure, fissando le finestre ghiacciate all’interno della Torre, svanisce in uno sbuffo d’aria. Il cannone suona di nuovo, preciso e impietoso, mentre la sua testa ricciuta rotola sul legno, e gli occhi verdeblu si spengono per sempre.