La guerra non è un gioco
di Eva Luna Mascolino

Ci troviamo su un palcoscenico. Al centro della scena c’è uno sgabello, tra la cui gamba destra e quella centrale sta una bottiglia di whisky vuota. La comune è a sinistra. Lo sfondo è nero, disadorno. Un lampadario impreziosito di zirconi semi-illumina l’ambiente.
Da un momento all’altro, sulla scena entra il soldato.
Il soldato è un uomo sulla cinquantina, scuro di carnagione e di capelli. Ha lo sguardo vivissimo, ma il viso consunto e la divisa abbottonata male. La voce è profonda, però molto alta. I modi di fare sono nervosi, quasi disperati, eppure lucidi.
Il soldato raggiunge il palco a grandi passi
– Se c’è un solo pidocchio che si salverà la pelle, qui, quello è il generale! La guerra non è un gioco, porco… (sputa per terra e si siede) Porco di quel carro armato che continua a fare fuoco contro tutti! (Si piega a raccogliere la bottiglia di whisky. Poi, alzando la voce come se stesse gridando dietro a qualcuno) Ehi, dico a voi! Non vi sarete bevuti il cervello, stupidi maledetti idioti? (Si rende conto che la bottiglia è vuota e la rimette tra la gamba centrale e quella destra della sedia. Poi, sottovoce) Guarda che espressioni del diavolo: “bersi il cervello”… Mi spiegate che significa? Da quale cilindro l’avete tirata fuori? (Alzando nuovamente la voce) Il whisky è pure finito, non avete notato? E perché siete convinti che io mi sia bevuto le cervella? (Pausa) Il whisky è finito, l’avete visto o no? No, certo che no, a voi importa solo di avere le scarpe lucide e i capelli pettinati ogni mattina. (Con un gesto eloquente del braccio) Vaglielo a spiegare che da morti nessuno gli controllerà l’acconciatura! (Pausa. Le luci del lampadario danno segni di cedimento. Il soldato misura a lunghi passi la scena, nervosamente. Poi riprende) Come si fa ad andare avanti così? Possibile che siano tutti così ciechi? Io qui non resto, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia! (Quasi tra sé) Magari sarà davvero l’ultima cosa che farò in vita mia… Vorrei ben vedere! se gli Americani continuano a sparare ci rimettiamo tutti la pelle, tutti! Si salverà solo quel gran figlio di lasciamoperdere del generale – pensa un po’ se mi sentisse parlare così, sarà meglio abbassare la voce – potrei giurarci, pagherebbe la sua vita con la nostra, ecco (come se parlasse con qualcuno) vedrete che finirà così, venderà i nostri corpi ai carri armati, anime alle macchine! Finirà così, voi non ci credete, ma è questione di giorni: non avrete nemmeno il tempo di dire AMEN che sarete tutti fatti a pezzi da quei cannoni, da lontano, con lucida precisione. Non ci staranno niente a farvi saltare le cervella, ecco, così non avrete il problema di dovervele bere, idioti, quelle vostre cervella vuote!
Il soldato a questo punto sputa per terra.
Le luci del lampadario danno segni di cedimento.
Poco dopo entra in scena anche l’Ombra.
L’Ombra è interpretata da una bella donna avvolta in uno scialle nero che la avvolge e copre dai capelli fino ai piedi. Ha un viso aggraziato e parla lentamente. L’età non è ben definibile e i gesti sono composti nel corso di tutto lo spettacolo.
Immediatamente, l’Ombra si informa con il soldato
– Chiedo scusa, è da qui che partono i treni?
Il soldato, inarcando le sopracciglia, chiede a propria volta:
– Che treni, scusi? E lei chi sarebbe?
– Non è questa la stazione del posto?
– Affatto. Questo sembra più un campo di sterminio, non trova?, mia cara… A proposito, come ha detto che si chiama, scusi?
– Non l’ho detto.
– Ah, ecco.
– Le ho solo chiesto la direzione da cui partono i treni. Sarebbe così gentile da spiegarmi dove andare?
Allora il soldato osserva, con il solito cipiglio e indifferente alla cortesia dell’altra:
– Tutto dipende da dove lei è diretta. Per esempio, se lei volesse andare all’Inferno, questo sarebbe già il posto giusto.
– Lei dice? Non si tratta dunque di un campo di sterminio?
Il soldato, sputando:
– Lo è eccome, metaforicamente parlando! Se non le sembro credibile, mi ascolti un momento. (Con fare serio) Lei si immagini un campo di battaglia, va bene? Ne è capace? (Pausa) Dico a lei, scusi… Ne è capace?
L’Ombra, come tornando a concentrarsi dopo aver seguito il filo dei propri pensieri:
– Cosa? Oh ì, ma le pare!
Il soldato, poco convinto:
– È già qualcosa. Bene, si immagini il suo bel campo di battaglia, ammesso che un luogo del genere si possa definire bello. Ce l’ha nitido in mente? Perfettamente chiaro? Ecco, adesso se lo immagini con dei fiori, d’accordo? È importante che lei immagini il campo, per bene, come apparirebbe durante una qualsiasi primavera… Ne è capace? (Pausa. L’Ombra non risponde, il soldato scrolla le spalle e continua) Si immagini i bozzoli, i frutti, le rondini e tutta quell’altra roba, ha presente? Se le riesce difficile, potrebbe immaginarsi il quadro di un impressionista in cui…
L’Ombra, interrompendolo:
– Riesco perfettamente a immaginarmi un campo.
Il soldato, con aria confusa:
– Come vuole, perfetto. Continuiamo con l’immagine del campo, come vuole… Sente il vento che sposta le foglie e tutto il resto? Sente tutti i sapori che uno coglie non appena si affaccia a guardare lo squarcio di serenità in questione? È capace di sentirli?
L’Ombra continua a non rispondere.
– Va bene, adesso può tornare a figurarsi il campo di battaglia. Ma deve essere lo stesso di prima, badi! Solo che vanno tolti i fiori e piantati i cannoni. Poi è il turno delle trincee e del resto. Non ci sono ciliegi, è chiaro? E niente vegetazione, la terra è secca, se la immagini marrò come questi miei mocassini, li guardi: si immagini una terra del colore di questi mocassini, senza una fragola, senza un giglio, senza niente… Ne è capace?
Silenzio.
Il soldato prosegue con durezza:
– È qui che siamo, esattamente. Siamo in una stazione per l’Inferno. Lo chiamano campo di battaglia, ma non è così. Sembra più un campo di autosterminio, cara la mia signora comehadettochesichiama?
– Non l’ho detto.
– Ah, ecco.
Il soldato solleva il braccio sinistro come a voler scacciare una mosca e riprende:
– Comunque, il punto è che ho compagni d’armi che muoiono ogni mattina, lei mi crede? Ogni santa mattina quel maledetto sole sorge di nuovo, identico al giorno precedente: riesce a pensare a quest’orrore? C’è una guerra che ci dà il buongiorno, che si sveglia un attimo prima di noi, tutti i giorni, come se si trattasse di un solo, unico, infinito giorno verso la disfatta, verso la morte, signora, ogni santa mattina la stessa storia. Guardo negli occhi i miei compagni e li vedo morire: gettano uno sguardo all’abisso dell’Inferno prima di impugnare le armi e alzarsi… Ecco, bisognerebbe far caso a questa frase! Lei ci ha fatto caso, per esempio? Ho detto che impugnano le armi e poi, solo poi, ci ha fatto caso?, si alzano da quello schifo di letto che hanno improvvisato in uno sputo di terra dove qualcuno, prima di loro, avrà già pisciato. Prima impugnano le armi. Hanno dovuto addestrarli a farlo, lei mi crede? Non era mica una loro abitudine, no. Quelli sorridevano, all’inizio, ogni santa mattina, quando il maledetto sole sorgeva di nuovo. Sorridevano, si alzavano e poi, solo poi, impugnavano le armi. Si vede che erano ancora vivi, signora mia, ancora vivi… Una notte, non si sa come, è successo qualcosa di incredibile. È successo che è scesa un’ombra su quegli idioti, un’ombra spaventosa, quant’è vero Iddio, era qualcosa di gelido, toglieva il respiro… E lo ha tolto davvero, lo ha tolto a tutti: i soldati sono restati ad annaspare nel buio di quella notte eterna e a tutt’oggi non capiscono perché sorge il sole e si sentono morti, non capiscono perché prima impugnano le armi e poi si alzano, ma il punto è proprio lì, cara la mia signora, il punto è che loro sono come incantati, non stanno davvero vivendo, hanno un cuore che si tumefà, che non risponde agli stimoli: a livello puramente emozionale, quegli idioti non valgono più nulla! Sono fantocci, lei mi crede? Sono fantocci in bilico sull’orlo della Notte, signora, addormentati tutti sotto l’egida di quell’ombra spaventosa che veglia su di loro come una maledizione, come una condanna… Eppure sono un pugno di innocenti vigliacchi: qui non ci sono assassini da processare, no, non hanno mai fatto fuori nessuno. Da quando siamo arrivati gli americani ci dànno dentro coi carri armati e noi, al confronto, sembriamo una banda di teppisti con le fronde, davvero, nessuno che si sappia difendere dagli Americani, sembrano tutti morti, anzi: probabilmente lo sono, in questo momento lo sono, forse è per questo che ogni santa mattina, quando sorge il sole, non sorridono più. Sanno di essere morti, sanno che quell’ombra incombe sulle loro teste come una morsa e che non li mollerà più, fino al giorno del Giudizio, quindi sarà meglio sbrigarsi, sarà meglio farsi saltare in aria o impugnare le armi e combattere, uccidere per salvarsi, lei mi capisce? Sarà meglio massacrare per tornare a essere vivi, per scappare da questa giostra degli orrori, signora. Vogliono farlo tutti: disertare e scappare dal luna park. Non ne possono più, sono esausti. Gli manca la vita, gli mancano le mogli che hanno lasciato ai piedi del letto a piangere e ad aspettarli, gli manca il vino a cena e il cane che ululava per tutta la notte come un lupo ferito, quando fuori pioveva, d’inverno, e gli mancano il basilico in giardino e il fucile appeso in soggiorno come un cimelio d’altri tempi senza più un significato… Gli mancano quei fucili, signora, perché erano innocui, se ne stavano appesi e ti lasciavano vivere in pace. Adesso è tutto diverso, uno deve alzarsi all’alba e stringerla tra le braccia, quella canna, se vuole arrivare alla sera e alla mattina dopo, per un numero incalcolabile di volte, fino a quando potrà finalmente risvegliarsi nella propria casa, con a fianco una donna, con le lenzuola aggrovigliate e il vino già sul tavolo. Vogliono svegliarsi in casa e sorridere prima di alzarsi, sputare per terra magari e poi dare un’occhiata al fucile in soggiorno prima di metterselo sotto i piedi e accartocciarlo a furia di ballargli sopra, Sono di nuovo vivo fottuto di un fucile mi senti sono di nuovo vivo vivo vivo vivo e tu in casa mia non ci resti cascasse il mondo tu te ne vai all’Inferno hai capito e io resto qui perché sono vivo vivo vivo io all’Inferno non ci vado ci vai tu che hai distrutto i campi di primavera brutto bastardo, mi senti? Crac, con il fucile sotto i piedi. Annientato per sempre. Vorrebbero questo, signora, lo vorrebbero tutti. Però ormai è troppo tardi, sono già scesi all’Inferno: ce li ha portati quel treno su cui adesso vorrebbe salire anche lei, mi spiego? Stanno tutti all’Inferno e, ogni mattina, pur di redimersi, escogitano piani infallibili per far saltare in aria gli americani. Peccato che non sappiano niente, capisce? Non sanno niente di strategie militari: quelli sono fatti per combattere contro le cimici, nei loro bei giardini coltivali a basilico, mica per sparare. Non hanno sparato neanche un colpo, da quando sono arrivati, figurarsi! Sono vigliacchi, signora… E sono morti, tutti morti! Che me ne faccio di un esercito di morti che si risveglia ogni mattina agonizzando e scontando una pena della quale ignora l’esistenza?
Per qualche istante regna il silenzio.
– Bella la metafora del luna park – azzarda l’Ombra.
– Non era una metafora.
– Ah, ecco.
Altra lunga pausa, durante la quale i due personaggi si scambiano tre o quattro sguardi e si sorridono a tratti.
Alla fine, l’Ombra si schiarisce la voce:
– Se le cose stanno così, io quel treno non lo prendo.
– Tanto meglio, signora mia… Tanto meglio.
– Già.
Un’altra pausa, stavolta breve, durante la quale non accade niente.
Il soldato con fare timoroso si risolve a dire:
– Mi scusi?
– Prego.
– Ma lei come ha detto che si chiama?
– Non l’ho detto.
– Ah, ecco. Sa, è strano vedere una vedova da queste parti. Ci hanno abituato a pensare che la guerra sia una cosa da uomini.
– Lei si ritiene un uomo, quindi?
Il soldato, esitando:
– Tutto dipende da cosa intende lei per uomo.
Il soldato si inquieta, riprende a camminare. Poi, parlando quasi tra sé:
– Mi chiede se mi ritengo un uomo, io. Be’… (Allunga il braccio per afferrare la bottiglia di whisky sotto lo sgabello, la capovolge e lascia cadere qualche goccia sul pavimento) Io sono una bottiglia di whisky, signora. Le bottiglie di whisky sono uomini?
– Suppongo di sì. (Riflette per qualche istante) Tutto dipende da cosa intende lei per bottiglia di whisky, le pare?
– Certo, giustissimo! Io… È proprio qui che volevo arrivare! Uno non può sapere cos’è e cos’è stato finché non muore, secondo me. È così anche per le bottiglie di whisky, se ci pensa: uno le svuota in un sorso solo, senza quasi prendere fiato, se le tracanna letteralmente e non sa se quello è whisky. Sa che è calore, eccitazione, voglia di bestemmiare e di ridere, sa che è piacere, fuoco e un sacco di altre cose, ma whisky, quello proprio uno non sa se lo sia. Deve aspettare di lasciarne due o tre gocce alla fine, due o tre gocce da bere in un altro sorso separato da tutto ciò che è stato prima, non so se mi spiego. Deve aspettare e poi lasciarsi scivolare sulle labbra quelle poche gocce: è in quell’attimo che uno capisce se ha bevuto whisky o no. Lei mi capisce, signora?
– E lei crede che gli uomini siano come bottiglie di whisky?
Il soldato osserva la bottiglia. Ne legge l’etichetta, poi solleva le spalle e la ripone al solito posto.
– Sissignora – le risponde con convinzione – sissignora, io credo di sì. Bisogna spremergli le ultime volontà prima di morire, gli ultimi fulminei pensieri, per capire se è stato davvero un uomo.
L’Ombra annuisce col capo.
– Comunque, per sua informazione – specifica poi – io non sono una vedova.
– Ah, no? Sa, è che vedendo l’abito nero ho pensato… Ma allora che diavolo ci fa lei qui, scusi?
L’Ombra, come se non avesse sentito la domanda:
– E mi permetto di farle notare che, a questo punto, la guerra non mi sembra affatto una cosa da uomini. Piuttosto da burattini, se posso usare questa…
– Burattini, che bella parola! Burattini… Da quanti anni non racconto a mio figlio di quel matto di Pinocchio? Lui sì che era un burattino! Lei conosce la sua storia, signoramanonvedova? Pinocchio diceva bugie e aveva il naso lungo, ma dicono si possano anche avere le gambe corte se si mente, lo sa? Io credo a questa leggenda, in fondo. Le gambe corte… Succede qualcosa del genere quando si combatte: se uno mente a se stesso, se uno ammazza ma non avrebbe voluto, eppure si convince che quella sia la cosa giusta, non mi meraviglierei di vedergli saltare in aria le gambe per via di una mina! Sarebbe tutta colpa di quella bugia. Gli uomini non dovrebbero mentire. E forse è per questo che i miei compagni sono morti, ora che ci penso.
– Lei crede?
– Ma sì, signora, ma sì! Ha ragione lei, i campi di battaglia non sono cose da uomini, sono cose da burattini, di quelli che si vedono ai luna park, ha presente la metafora chenoneraunametafora di prima? Burattini per i luna park, ecco cosa si diventa qui! Il problema è che la gente ci viene convinta che sia un gioco, un po’ come quando Lucignolo se ne va al Paese dei Balocchi – ci va in treno, che lei sappia, signora? – e pensa che sarà tutto semplice, con vacanze trecentosessantacinque giorni l’anno. Poi, invece, scopre che era tutta una presa in giro e diventa un asino, e così anche Pinocchio, che poi torna ad essere un burattino… (Pausa) La guerra è un po’ il Paese dei Balocchi delle bottiglie di whisky, mi segue? Uno viene qui convinto di tornare a casa con un po’ di soldi in più. Magari comprerà una bicicletta a suo figlio, o un vestito nuovo a sua moglie, uno di quelli scollati, perché le donne sono belle, quando sono scollate e indossano un vestito che gli è stato regalato. Uno viene qui e fa mille progetti, magari crede pure di avere una ragione dentro di sé che lo spinge a lottare, ogni santa mattina, a guardare il sole e sorridere, forse ha un ideale da inseguire, no? O qualcosa del genere, in fondo… Solo che è tutta una truffa, ci si resta fregati, signora, perché la guerra non è una cosa da uomini! È una cosa da burattini! Uno si trasforma senza accorgersene, ecco perché i miei compagni sono morti: quell’ombra nera lassù è la loro vita che se n’è volata via e aleggia minacciosa sopra le loro teste come una condanna. Sì, ecco, come una condanna, ora capisce? La vita se ne sta acquattata lassù, in un angolo, tutta truce: è offesa, certo, perché è stata ripudiata, e allora si vendica facendo morire questi miei compagni d’armi a uno a uno, facendo morire anche quelli che non vengono fatti propriamente fuori. È la sua vendetta ed è legittima, se vogliamo, così come sono legittime – meschine, eppure legittime – le nostre strategie belliche. A pensarci bene, sono solo modi per non diventare asini nel Paese dei Balocchi o burattini al luna park, anche perché la guerra non è un gioco, in fondo: è solo il dannato tranello di un’abominevole Morte antropofaga, no?
Il soldato fa una lunga pausa con il capo chino e torcendosi le mani.
– Peraltro, in tutto questo, c’è una cosa che non mi torna proprio, sa signora?
– Cosa?
– Com’è che io non sono diventato l’ennesimo Pinocchio, secondo lei? Com’è che sono rimasto fuori da quel marchingegno infernale che s’è portato via i miei compagni?
– Ah, quindi lei non si sente come loro?
– No, come loro proprio no! Io sono morto anni fa, signora, per motivi ben diversi. O meglio, si è pur sempre trattato di una guerra, ma in quel caso c’entravano le donne, e i fratelli, e una casa in collina. Strane faccende, lasci perdere… Io sono venuto qui che ero già morto, forse è per questo che sono rimasto illeso. Voglio dire, quanti soldati arrivano nei campi di battaglia già morti, secondo lei?
– Non so. Secondo lei?
– Io sono l’unico del mio esercito, potrei giurarci. Fa uno strano effetto. Uno si sente solo, maledettamente solo, perché é nell’abisso da sempre, abitava all’Inferno anche prima della guerra, capisce? E vede gli altri precipitare assieme a lui, ma lentamente, giorno dopo giorno. Li vede feriti di un male incurabile, che se li mangia a poco a poco, partendo dal cuore per poi passare agli occhi e ai polmoni e alle mani… Uno li vede e non può fare niente per salvarli. Non prova nemmeno pietà per loro, che hanno un solo piede nella fossa e l’altro nella vita, e che hanno ancora un briciolo di possibilità di salvarsi, mentre io sono già condannato per sempre. Ci pensa? Io proprio non mi spiego com’è che, se tutti quelli che arrivano qui vivi poi muoiono… ecco, com’è che io che sono arrivato morto non sono, per così dire, in qualche modo… resuscitato?
– Credo di saperlo.
– Davvero?
– Sì, io credo che il trucco stia proprio in quelle due parole: vita e morte. I suoi compagni, quelli ancora apparentemente vivi, le sembrano tutti già all’Inferno, dico bene?
– Benissimo.
– Mentre quelli uccisi dagli americani sono, per così dire, ormai salvi. Giusto? Potremmo quindi definirli, in questo senso, dei vivi?
– Assolutamente sì! Sono evasi dal Paese del Balocchi, no? Quindi non sono più asini, non sono più burattini.
– Voilà.
– Come dice, prego?
– No, dico, ora ha la risposta che cercava.
– Ah.
Il soldato riflette.
Nel frattempo, cala silenzio.
Un leggero silenzio.
– Se ho capito bene, allora… Lei crede che io dovrei morire, fisicamente parlando, per resuscitare come si deve? – domanda il soldato, ad un certo punto.
– Esattamente.
– La cosa ha una sua logica, in effetti…
Il soldato si guarda attorno. Prende la bottiglia di whisky vuota, la ri-posa, si guarda di nuovo attorno, poi guarda l’Ombra e non la vede (perché lei è un’ombra), sente freddo, poi caldo, come quando si beve il whisky. Eccitazione, voglia di bestemmiare e di ridere, tutto insieme, ma senza bere whisky.
Poi mormora qualcosa.
– Può ripetere, scusi? Non ho sentito.
– Sì, dicevo… Dov’è che ho messo la pistola?
– Tasca sinistra dei pantaloni. Quella posteriore.
– Ecco, grazie.
Il soldato prende la pistola. La guarda, se la rigira in mano. Poi guarda l’Ombra e non la vede, perché lei è un’ombra.
Però, la interroga:
– Si può sapere come diavolo faceva a saperlo?
L’Ombra, in tono vago.
– Si sa come vanno queste cose.
– Ah, sì? Sentiamo, e come vanno?
– Vanno che adesso lei è davvero convinto di volerla fare finita, e lo farà, mi creda. Io so che lo farà. So anche che è l’unica cosa buona, l’unica cosa vera che lei possa fare, ormai. E so che si starà chiedendo se lei, finora, è stato una bottiglia di whisky o di acqua tonica.
Il soldato, con un fischio di ammirazione:
– Ha proprio indovinato, cara signora chenonèvedova.
– Sono un’Ombra, se vuole saperlo.
Il soldato si punta la pistola alla tempia e chiude gli occhi. Poi li riapre, riflette per un attimo e si volta a guardare l’Ombra. Ma non la vede, perché è un’ombra.
Ripete mentalmente l’ultima frase ascoltata e ha come un lampo, un’intuizione improvvisa.
– Ah – mormora.
Vorrebbe aggiungere dell’altro, ma si trattiene.
Resta in silenzio per qualche istante, a pensare. Poi sospira, sembra rassegnato, come se fosse troppo tardi per starsene lì a discutere. Si guarda attorno, cerca la bottiglia di whisky e sorride.
– Le mie ultime volontà, sa… Sono di tornare a vivere come prima. Con una donna e una casa in collina, con quel fratello lì di tanti anni fa, di nuovo come allora. Vorrei svegliarmi e trovarmi lì, mentre sorge il sole. E sorridere, sa? Per poi fare a pezzi il fucile in soggiorno. Solo questo, credo. Le mie ultime volontà, ecco.
Il soldato vede l’Ombra annuire e tenta di sorridere, ma riesce solo a sospirare. Si guarda le mani, ri-guarda la bottiglia, poi la pistola. Se la punta alla tempia, sogghigna, poi sorride.
Poi spara. Un colpo secco.
La bottiglia di whisky oscilla e la pistola cade a terra.
L’Ombra, nel frattempo, è scomparsa e le luci del lampadario continuano a dare segni di cedimento.
Sulla scena cala il sipario e il pubblico inizia ad applaudire, commosso.