Feuilleton Il francese inesistente – Parte settima
di Fabio Cardetta

Quel flusso sciabordante che attraversa nove Stati e quattro capitali. L’avvitarsi a elica della spirale di fumo che t’attraversa i polmoni, il vento da Nord che percuote gli zigomi, le palpebre e gli occhi, che scrutano i mulinelli della corrente imperiosa; mentre il manto nebuloso incombe e l’odore di muschio annebbia il cervello, che ormai sonnecchia bello e acquietato, galleggiando e dondolandosi sul morbido Danubio.
Sentiva questo Svetlan, appoggiato alla balaustra, fumando e fissando lo scorrere del tempo sul fiume che aveva da sempre amato.
Si rese conto dell’orario, e tornò in ufficio.
Un trillo sfarfallò, poi la voce della segretaria all’interfono, due uomini entrarono e si sistemarono come automi sugli appositi divani.
“Ho un nome” – fece Tub, con i lineamenti cancellati da una gomma.
“Spara” – fece Svetlan.
“Marek Vajsabel, il buttafuori del Cuban.”
Svetlan sorrise. Constatò in un batter d’occhio il miscuglio di emozioni contrastanti che vorticavano sulla faccia dell’omone.
“Non me lo sarei mai aspettato…” – fece il ghigno del capo.
“Tu lo sapevi?” – borbottò l’altro.
“Ovvio… Ma mi serviva una conferma.”
Igor riusciva a vedere nell’aria le onde radioattive provocate dalla tensione tra i due. Tub, ovviamente si sentiva preso per i fondelli e Svetlan se la rideva, tastava il territorio e cercava di capire fino a che punto poteva ancora spingersi.
“Posso avere almeno una spiegazione? O ormai ti è concesso di prendermi per culo senza motivo?”
I giochi erano finiti, Svetlan non se la sentì di continuare. Ci teneva a Tub, anche se non lo avrebbe mai dato a vedere. Così riprese:
“Sapevo del tuo ex collega da tempo… E mi scuso anche per la mezza farsa che ho dovuto inscenare, ma non avevo scelta. Avevo bisogno di conferme e tu, dato il rapporto di fratellanza e amicizia che ti lega al soggetto, non avresti potuto indagare adeguatamente se non ti avessi tenuto all’oscuro di questo e altri dettagli.”
L’ omone giaceva sul divano, immobile come una sfinge. Il suo sottoposto lo guardava con la coda dell’occhio, molto preoccupato dell’incolumità dell’investigatore capo, che ancora sogghignava come un fesso.
“Marek Vajsabel e Srecko Simic, il cognato, sono già stati indagati dalla polizia. Ma sono stati scagionati per mancanza di prove. Ciò che sappiamo è che, con tutta probabilità, la 38 special in possesso di Vajsabel è stata proprio quella che ha sparato contro Jules Klein. I poliziotti hanno avuto la soffiata da uno di Bito… Un certo Dusan…”
Tub, a quel punto, si voltò verso Igor con uno sguardo rapace.
Quello arrossì e cercò di schermirsi con una mano alla fronte.
Svetlan vide la scena, e intuì subito la magagna: i due avevano stritolato per la seconda volta un uomo che aveva già spiattellato tutto sei mesi prima. Non solo: Dusan era al momento ridotto a una polpetta, e quelli di Bito non avrebbero tardato a conoscere il nome dei colpevoli. Tanto casino per niente. Svetlan riuscì a tenersi a stento dal ridere. Si ricompose e continuò con il suo rapporto.
“Ora però ci tocca un bel rompicapo: la polizia ha acclarato che è stata quella pistola a sparare, ma su nessuno dei due sospettati sono state ritrovate tracce di polvere da sparo… Inoltre, tutti e due hanno un alibi: Marek era fuori città con la moglie, mentre Srecko era andato allo stadio a vedere la partita dello Slovan. Sebbene la partita sia finita alle 22.45, non avrebbe avuto comunque il tempo materiale per tornare in centro e ammazzare il francese. Dunque c’è qualcuno che ha sparato con quella pistola e che in qualche maniera è connesso ai due… Dobbiamo trovarlo.”
“Qualcuno che aveva accesso al posto dove era tenuta la 38?” – fece Igor.
“Sì, probabilmente… La pistola era custodita nel cassetto della scrivania di Marek. Ma a parte i due e la moglie, mi viene difficile pensare che qualcun altro possa essersi introdotto in quella casa per sottrarre l’arma. Gli unici a frequentare quella casa di solito erano quei tre… Oppure Marek ha ceduto la pistola a qualcun altro per un po’, e non ce lo vuole dire… Mi pare una vicenda assai stramba.”
Svetlan si accese una sigaretta, e non prestando attenzione a Tub, che ormai pareva un morto sul divano, continuò a spiegare:
“I due, in un modo o nell’altro, c’entrano con l’omicidio. Bisogna capire cosa lega questi due al francese. E credo di avere una pista interessante a riguardo.”
“Sarebbe?”
“Jules Klein ha un passato da cliente di prostitute e alcolizzato. Ma, cosa strana, negli ultimi tre mesi non risulta abbia avuto alcun rapporto né con donne borghesi né con prostitute. Inoltre, altra faccenda strana, nessuno sa dove abita… Lascia un recapito farlocco alla polizia straniera e, quando esce, non vede praticamente nessuno, tranne un paio di amici di lavoro…”
“E Timothy…” – esclamò la voce rabbuiata di Tub.
“Già” – accolse l’obiezione Svetlan – “Il nostro giornalista americano dice di aver visto il francese un paio di volte a delle feste di beneficenza. E sottolinea il fatto che il defunto non volesse mai ritirarsi a casa presto…. Anzi, voleva puntualmente aspettare l’alba!”
“E questo che mi viene a significare?” – fece Igor, corrucciato.
“Significa che il nostro amico si è tolto di mezzo, negli ultimi tre mesi. Significa che il nostro amico francese non giocava più nel nostro campo da gioco!”
Fu a quel punto che Svetlan si accucciò dietro la scrivania e ne tirò fuori, sorprendentemente, una casa delle bambole e una scacchiera. Il suo irritante sguardo dava di saccente più che mai, il suo ghigno aveva occupato tutto il campo visivo degli spettatori e le sopracciglia si innalzavano fino al soffitto.
Tub sbuffò, alzando gli occhi al cielo:
“Ci risiamo!” – pensò, conoscendo le manie del capo.
Igor guardò la scena come un poppante a cui viene mostrato un gioco di magia.
“Vorrei raccontarvi una storia…”
“Dio Cristo!” – ripensò Tub, cominciando a prendere seriamente in considerazione l’opzione del suicidio.
Svetlan aprì la casa giocattolo dal tetto, e la reclinò verso i due, mostrando le stanze vuote all’incosciente pubblico. Poi prese un pupazzo che giaceva sullo scrittoio e cominciò:
“Vedete se pongo l’omino dentro la casa, la casa è abitata… Ma se pongo l’omino fuori dalla casa, la casa è vuota!… E noi sappiamo dov’è l’omino?… No!… Possiamo solo dire che è fuori dalla casa… Magari è sullo scrittoio!”
Igor lo guardava pensando che il capo del suo capo si fosse completamente ammattito . Tub lo fissava non più con odio, ma più che altro con una specie di senso di compassione, verso un uomo che a brevi istanti di genio alternava lunghissimi momenti di idiozia.
Non contento, Svetlan tolse di mezzo la casa delle bambole e mise al centro del tavolo la scacchiera: “Ora vi faccio capire meglio!”
“Dio Cristo!” – ripensò nuovamente Tub, contando mentalmente i metri che lo separavano dal Danubio.
Igor, invece, continuava a rimanere imbambolato.
“Se un pedone viene mangiato… Guardate!… Va fuori dalla scacchiera… E noi, finora, abbiamo guardato solo nella scacchiera!”
Tub si sentì di interromperlo:
“Scusami, capo, ma potresti gentilmente dirci… cosa ci vuoi dire con questa raffinata metafora?”
Svetlan gli regalò un sorrise. Poi rispose:
“Semplice, amico mio… Il nostro amico a Bratislava non aveva donne e non aveva nemmeno una casa. Dunque sta a noi trovare la casa e le donne… fuori da Bratislava!”
“E dove?”
“Ho indagato personalmente in città: nessuna puttana lo ha visto negli ultimi mesi. Solo un paio di baristi invece l’hanno visto ubriaco da loro. Ma precisamente… sapete perché il francese aspettava l’alba?”
Tub, inaspettatamente, ebbe l’illuminazione.
Igor vide il suo volto illuminarsi; e anche lui a sua volta afferrò il nesso.
Ci pensò Svetlan a rompere gli indugi:
“Già… Aspettava il primo treno!”
Un brivido di esaltazione, riempì lo studio.
“E quindi?”– fece Igor.
“E quindi il nostro francese, probabilmente, andava a donne fuori città. E, molto probabilmente, fuori città si era anche trasferito negli ultimi mesi. Magari con una donna?… Sta a noi scoprirlo.”
“I primi treni del mattino vanno a Trnava, Senec e… Nove Zamky, se non sbaglio!”
“Sì” – fece Svetlan – “Ma io restringerei il cerchio. Dove ci sono i più rinomati giri di puttane fuori città?… Magari proprio quelli gestiti dal clan di Bito?”
Su quell’argomento Tub era preparato:
“Trnava e Senec, direi”
“Bene” – fece Svetlan – “Io vado a Trnava e Senec. E voi vi spippolate tutti gli amici, i parenti e i colleghi dei sospettati… Vedete che ne esce, se i due frequentano prostitute, se hanno avuto conflitti con stranieri o roba di questo genere, qualche collegamento tra il cerchio degli indagati e il francese… Voi tornate con dei risultati entro due giorni, io trovo la troia o magari proprio la donna di questo fottutissimo francese!”
Tub lo folgorò, questa volta ammirato:
“Sei sicuro che sia la pista giusta?”
Svetlan sorrise come un bambino:
“Ne sono più che sicuro!”
I due collaboratori uscirono frastornati.
I pensieri che volteggiavano ora nella testa di Svetlan non lo lasciavano però tranquillo. Proprio per questo, per l’ennesima volta in quella giornata, l’investigatore si sentì in dovere di tornare sul fiume, per purificare i pensieri marci che gli intasavano l’analisi.
Era davvero sicuro che tutto quella storia finisse in un semplice giro di prostituzione, così come aveva spiegato? Naturalmente no!… Non era sicuro di niente. Ma da giorni una strana sensazione l’aveva trafitto al costato, come se ci fosse davvero qualcosa di scomodo e inconsueto in tutta quella vicenda.
Poteva trattarsi davvero di affari, o di un semplice delitto passionale… Ma quel lungo nascondersi da parte di Klein, quei timidi e ridicoli tentativi di amicarsi uomini di legge alle feste, quella solitudine auto-inflitta, la sua volontaria scomparsa… c’erano molte cose che stonavano: quei particolari che raffiguravano la figura del francese come un personaggio ‘storto’, sfuggente, che continuamente scivolava via alla scacchiera razionale degli eventi.
E i due sospettati?
Quelli sì, forse erano più regolari. Bastava rintracciare i loro collegamenti, i loro rapporti di forza con l’ ambiente, e forse si sarebbe facilmente trovato il filo della matassa. Ma quel morto, quel francese che per tre mesi si era dato ad una vita completamente occulta…
Cosa l’aveva portato a tagliare i ponti con l umanità? Cosa l’aveva portato a sparire, a morire…
Cosa l’ aveva reso un francese inesistente?
Fu lì, che perso nei nugoli di fumo e nella foschia, sul fiume scintillante, Svetlan ebbe uno di quegli attacchi di malinconia che spesso lo attraevano verso il baratro. Fu lì che ripensò all’estremo gesto. La tentazione dell’abbandono. Lo slancio finale. La dimenticanza. Ovvero la fine di tutte le preoccupazioni, tutte le ingiustizie e le insensatezze della vita. Quello che Tub avrebbe voluto fare solo per scherzo, di fronte alle ardite metafore del capo – ma che invece lui, nonostante l’apparenza cialtrona e leggera, sentiva fortemente più di tanti altri, nei momenti di solitudine, nei momenti di riflessione… e che tante volte lo aveva spinto verso quell’ ultimo passo, quel timido passo a cui poi non era seguito quello decisivo.
Aveva avuto la tentazione di buttarsi nel Danubio già molte volte in passato. Quell’immane massa d’acqua che dirompe e s’attorce per poi procedere a grandi falcate come un enorme elefante.
Poi però – quando Tub gli disse che la corrente l’avrebbe portato giù, sballottolato sù e infine scagliato contro un cumulo di bottiglie sul fondo – solo allora realizzò che l’idea di finire i suoi giorni squarciato da cocci di Krusovice non si rivelava – davvero – poi così allettante.