La torsione
di Daniele Trucco

La torsione era ormai in atto.
L’occhio stravolto di chi non sente più la tensione massima raggiunta dal suo corpo, avrebbe di lì a poco seguito il volo del grave e il suo mistero. Mistero voluto da leggi divine impossibili da comprendere ma stranamente concesse agli uomini.
Tutto però sarebbe accaduto dopo: il viso era ancora rivolto all’indietro, inclinato come l’intera sua possente figura. Il peso era distribuito in maniera eccellente sulla gamba destra e l’avambraccio sinistro ne era il perfetto bilanciere.
Ebbe sete, ma era una sensazione che si sarebbe assorbita con lo slancio.
Una brezza leggera lambiva la pelle unta e sudata e il Sole, alle spalle, lo sosteneva nell’impresa con le sue emanazioni sacre. La polvere volteggiava inconsistente a poca distanza dal suolo andando ad appiccicarsi sui polpacci tesi e nelle pieghe dell’inguine.
Non un volo di uccelli né una nuvola.
“Gli dei non si sbilanciano, ma avranno già scommesso.”
Una percossa nella mente gli fece riaffiorare gli insegnamenti del maestro, tratti da visioni di un dialogo che sarebbe avvenuto fra migliaia di anni: “Tutto è santo, tutto è santo. Non c’è alcunché di naturale nella natura, ricordalo. Quando la natura ti apparirà naturale, sarà la fine e comincerà qualcos’altro: addio pietre, addio stelle. Anche il lancio procede così: fa parte delle cose ma non appartiene a questo mondo, né a noi. Tutto è santo ma la santità è insieme una maledizione. Gli dei che amano al tempo stesso odiano e invidiano e lo hanno dimostrato regalandoci il Tempo. Lui regola i tuoi lanci, i movimenti, la vecchiaia; lui il fluire delle tue esperienze e la crescita. Ma attento: non sarà un tiro a farti grande, né la potenza ben bilanciata. Sarà il Caso, più potente del Tempo, a decidere per te la Fama. Allenati per te stesso e per il piacere della bellezza: non riporre fiducia nella gente che giudicherà.”
Molta forza e altrettanto movimento aveva liberato negli anni di allenamento ma mai gli era riuscito di comprendere bene tutti i verbi del maestro.
Voltò lo sguardo e si trovò a fissare un ciuffo d’erba alle sue spalle: era al culmine della torsione. In quell’istante si sentiva bello e così avranno pensato di lui altre centinaia di persone dai lontani spalti.
Gli occhi della folla penetrano l’aria e raggiungono le superfici adattandosi ad esse, alle loro curve e ai loro movimenti: ciò che le sue superfici restituivano alla gente in quel preciso istante era armonia assoluta e perfezione.
In lui erano in lotta prontezza di braccia e tensione orgogliosa di sforzi.
Il momento era eterno, da fissare in una forma.
“Devo ricordare questa immagine, devo esercitare la memoria da ora al completamento dell’opera. Luce e masse si fondono correttamente. Non dovrebbe muoversi mai più: questo frammento di vita è l’unica ragione di esistenza di quel lanciatore e io la fermerò per le discendenze.”
Liberò la potenza accumulata.
Durante il lancio il vuoto del silenzio: la traiettoria disegnò la solita parabola e per più di un secondo sembrò assente la resistenza del vento. Poi l’urlo che libera; ma quella volta non fu vittoria
Mirone si era già voltato per andarsene prima di vedere atterrare il disco.