Numero 37 – OTTOBRE 2017

Marlene corre sul fiume

di Donatello Cirone

 

“Studies about myself #7” di Germana Stella

Alla fine del corridoio piastrellato da mattonelle bianche e regolari si apriva un grande atrio, una balena spiaggiata e maleodorante, in putrefazione. Un atrio abbandonato al correre della vita che si sarebbe consumato negli anni come un cero pasquale spento illuminato dalla luce di una candela  lontana.

Tutto di lui era fermo, i muscoli, le ossa e il collo, le mani. Tutto in lui non vibrava più, tutto in quel preciso momento era come avvolto dal vento che spira nelle notti siberiane. Era fermo, Ernesto, in mezzo a quell’atrio popolato da una folla affamata di giustizia e di speranza. Spintonato, sbattuto di qua e di là restava in piedi a fatica, senza difesa, inerme come un tonno vivo davanti al sorriso di un sushi chef in astinenza. Sopraffatto dal tempo, in silenzio, fissava la porta che aveva di fronte, era come se da quella voliera sarebbe uscito un maestoso uccello, un pavone dorato, una fenicie che lo avrebbe portato alla rinascita. Lo avrebbe portato in una nuova terra, sotto un nuovo cielo di conquista, una nuova impresa area. Era fermo Ernesto, il cuore regolare batteva  per il solo gusto di tenerlo in vita, i polmoni si estendevano nella sua cassa toracica per il minimo sindacale, fegato e pancreas erano in sciopero, i muscoli delle gambe lo tenevano in piedi a fatica, la schiena era stancaContinue reading

La tempesta

di Eva Luna Mascolino

 

“Fakaza” di Giacomo Braccialarghe

– Secondo me siamo finiti nel bel mezzo di una tempesta.
– Si tratterà di una tempesta silenziosa, perché io non ho avvertito niente.
– È una tempesta non ancora esplosa, infatti, ma, se in questo momento tu smettessi di tenermi per mano, io affogherei.
– Perché? Cosa ti trascina verso il basso? Tu sei in un punto ben lontano dagli abissi, sei ancora in superficie.
– Eppure, credimi, io e te siamo nel bel mezzo di una tempesta.
– Spiegati meglio, per favore.
– D’accordo… Come dire? Qualcosa ci ha messo a tacere.
– Ci ha messo a tacere – venne ripetuto a mo’ di un’eco stanca ma fedele al proprio compito.
– Esatto. Abbiamo smesso di muoverci. Ci commuoviamo soltanto, ma restando fermi.
– Stiamo fermi – nuovamente la stessa eco.
– Precisamente.
– E qualcosa ci ha messo a tacere, giusto?
– Giusto.
– Perché non reagiamo, allora?
– Perché è pericoloso muoversi durante una tempesta, è pericoloso prendere delle decisioni.
– Tutte le decisioni definitive sono prese in uno stato d’animo che non è destinato a durare, sosteneva qualcuno…Continue reading


Aspettami ogni sera

di Giampaolo Giudice

Chissà che occhi avrò, quando sarà finita. Sono così stanco. Il mio corpo sembra opporsi e non rispondere nemmeno al più semplice dei comandi. Le ossa stridono, le sento strusciare le une con le altre ed ogni stimolo è emergenza. Che invenzione stronza la vecchiaia. Domani scoprirò com’è fatta la vita da fuori. Vorrei non essere mai diventato un peso, te lo assicuro, se sapessi come fare, mi allontanerei per risparmiarti questa vista.

“Studio per omicidio in Hasenheide-park” di Nicola Lonzi

Ti ho aspettata ogni sera, davanti a quel portone. Chiedendomi che occhi avrai, ad ogni incontro; se mi avresti chiamato “amore” o se avremmo letto poesie davanti alla tv spenta. Birra e patatine, ricordi? Passeggiate fianco a fianco e vacanze e chiari di luna. Gli anni che passavano silenziosi. Gli anni; terra di nessuno, miraggio per i giovani..Continue reading


Eros e Thanatos

di Giada Tommei

“Alentejan Sunset” di Bartolomeo Pampaloni

Non c’ho voglia, capisci? Io. Non. C’ho. Voglia.

Ripeteva questa frase immersa in un invadente loop mentale che la rendeva inaspettatamente fragile ed indifesa.  La sua disperazione era ferma e composta:  uno sconforto immobile, come una roccia di consapevolezza erosa da un mare di confusione.  Il risultato, era l’immagine di una donna avvilita seduta sul muretto di casa a guardare l’orizzonte senza però riuscire a vederlo.

Non fa per me, davvero. Non c’ho voglia.

Le sue braccia esili si muovevano compulsivamente verso gli occhi, asciugando quelle poche lacrime che vi si affacciavano costrette a tornare con velocità all’interno del corpo. Probabilmente, non aveva voglia nemmeno di piangere.  L’unico suono percettibile oltre al brontolio ripetuto ed il fruscio delle cartine per tabacco, era il continuo tirar su del suo naso gocciolante di inettitudine, malinconia e irrimediabilità. Le sue Birkenstock ciondolavano appese al calcagno come medici dopo un duro ma riuscito intervento. Erano pieni di vita, i suoi sandali: in qualche modo l’avevano riportata a casa…Continue reading


Una carezza

di Elena Ramella

“Pensieri senza pensatore” di Ilaria Cerutti

Una carezza. Non esiste niente di più silenzioso. Una carezza non lascia alcuna traccia, una carezza svanisce nello stesso momento in cui si crea, sotto le dita, sulla pelle, sul palmo di una mano, sotto le labbra.
La guardò tenendole il viso tra le mani, la guancia destra appoggiata sul cuscino, i capelli allargati a ventaglio sulla federa.
“La tua assenza non si notava, nessuno poteva capire cosa mi mancasse” avrebbe voluto dirgli lei.
Il sole era esangue e l’aria calda, soffocante.
La luce filtrava attraverso i fori ovali delle tapparelle abbassate, fuori diventava buio, nella camera restavano loro nella penombra, alla fine del primo giorno d’estate.
Come si fissano nella memoria certe cose. Lui la guardava ed era un incessante, facile, andirivieni nella mente l’uno dell’altra. Lo era sempre stato. Fin dal primo momento.
Avevano lasciato che la giornata finisse tra le pieghe delle lenzuola, senza…Continue reading


Onestà intellettuale  –  Quarta parte

di Ferdinando Morabito

Episodi precedenti

“Una scala di onde” di Francesca Ligios

La misteriosa donna accolse nella sua stanza i tre visitatori. Impassibile, con i suoi grandi occhi neri che parevano reggere a fatica la frangetta del medesimo colore, precipitò i suoi ospiti in un irresistibile vortice di inquietudine e attesa. Il silenzio pesava tonnellate, sembrava addensarsi e sostituirsi all’aria da respirare.

“Dannazione, si soffoca qua dentro!”, esclamò George d’improvviso, maledicendo ogni singola scelta compiuta nelle ultime 72 ore. Ermir smaniava dalla voglia di avere una risposta certa, definitiva, che ponesse fine a quell’angoscioso punto interrogativo a cui era appesa la vita di un uomo innocente, di una persona col quale condivideva ideali profondi e con cui avrebbe potuto stringere agevolmente un’amicizia importante, se il destino gliene avesse dato modo in passato. Eduard assisteva come inebetito alla scena, guardando con infinito stupore a quel quadretto assurdo dal quale dipendeva la sua sorte.

“Incoscienti e vigliacchi, demandate a me una scelta che spetta a voi. Io non creo il destino”, disse la donna con fare sprezzante. Quelle parole così dure stonavano in bocca a quella figura intrigante, sensuale e piena di fascino.

“Tu però puoi leggerlo, il futuro. Se lo sapessimo fare noi, non saremmo venuti fino a qui”, proruppe Ermir, sempre più a disagio. La donna gettò uno sguardo tremendo sull’uomo che aveva appena parlato, e come un incendio scaturito da una scintilla iniziale, lo sguardo infuocato sembrò bruciare sulla pelle di George e di Eduard…Continue reading

 


Feuilleton Il francese inesistente – Parte sesta

di Fabio Cardetta

Episodi precedenti

“Piccolo Sud #11” di Emiliano Cribari

“I cattivi non sanno di essere cattivi”

Le discussioni filosofiche sul Bene e sul Male in macchina stavano andando alla grande. Sarà stato per effetto dell’alcol o di quelle strane pastigliette bianche che l’aiutante polacco si era preso la briga di offrire al suo superiore.
Tub e Igor aspettavano nella loro Citroen scassata dietro un albero. Da quella posizione privilegiata potevano scrutare l’intero spiazzo in terra battuta, malcelato da alcune frasche, sul quale una decina di individui in nero stavano giocando al gioco della virilità. Ovvero sparavano a raffica contro un paio di bersagli standard e a caso contro una semplice lamiera di metallo. Le grida e gli spari si alternavano a ritmi sincopati, torcendosi e confondendosi come suoni infernali in una bolgia.

Tub mangiava patatine. Igor se l’era portato appresso perché conosceva molto bene tutta la feccia di Bito, conosceva nomi, origini e numeri di targa…Continue reading