Aspettami ogni sera
di Giampaolo Giudice
Chissà che occhi avrò, quando sarà finita. Sono così stanco. Il mio corpo sembra opporsi e non rispondere nemmeno al più semplice dei comandi. Le ossa stridono, le sento strusciare le une con le altre ed ogni stimolo è emergenza. Che invenzione stronza la vecchiaia. Domani scoprirò com’è fatta la vita da fuori. Vorrei non essere mai diventato un peso, te lo assicuro, se sapessi come fare, mi allontanerei per risparmiarti questa vista.

Ti ho aspettata ogni sera, davanti a quel portone. Chiedendomi che occhi avrai, ad ogni incontro; se mi avresti chiamato “amore” o se avremmo letto poesie davanti alla tv spenta. Birra e patatine, ricordi? Passeggiate fianco a fianco e vacanze e chiari di luna. Gli anni che passavano silenziosi. Gli anni; terra di nessuno, miraggio per i giovani. E con ogni stagione che passava ti vedevo sempre bellissima, mentre io continuavo ad accumulare acciacchi. Bella, come tutti gli immortali. Splendente e luminosa, anche nei momenti in cui quegli occhi, a me così cari, cambiavano consistenza e diventavano acqua sul tuo viso. E non potevo far altro che venirti vicino, nient’altro per curare il tuo dolore. Nient’altro si può fare col dolore degli altri.
Gli anni si accumulavano nelle mie ossa, e tu restavi sempre come il primo giorno in cui ti ho vista. Ricordi? Una strada umida di novembre; mi hai quasi investito. Non ho mai imparato ad attraversare sulle strisce, non ho mai imparato le regole che per te erano così importanti. Ai miei occhi in bianco e nero non avevano valore. Siamo nati liberi. Siamo nati per amare.
Mi dispiace non essere riuscito a vivere abbastanza per invecchiare con te. A quelli del mio genere non è dato vedere morire un immortale, è un evento rarissimo. Gli anziani raccontano storie di immortali che muoiono prima di noi, ma io non gli ho mai creduto. Come puoi morire tu, che hai sempre visto solo il lato migliore di me; senza tutte quelle mancanze così tipiche, così care a chi vive una sola vita. La tua, che invece non ha confini, è sempre lì. Sei lì con le tue mani leggere ed il cuore sempre in riserva. Mi perdonerai se non mi alzo per te.
Sono troppo vecchio per alzarmi e venire da te.
Sono troppo vecchio per amarti ancora come vorresti. Mi addolora vederti soffrire per causa mia, se potessi non morirei. Giuro. Se solo potessi spegnerei i giorni che passano su questo corpo in rovina. Che cosa mi successo? Non voglio lasciarti, non voglio andarmene. Vorrei aspettarti ancora davanti a quel portone, sentirti chiamare il mio nome. Innamorarmi di un’immortale, che sciocchezza è stata mai questa? Sono tutto sbagliato, sono un disastro, sono un mortale. Perché non hai smesso di chiamarmi “amore”? Sarebbe stato tutto più semplice se avessi potuto pensare che non volessi più la mia compagnia? Ci sarebbe stato un nemico doloroso da cui difendersi, contro cui scagliarsi. Queste sono possibilità che aiutano a guarire da un abbandono, da una separazione. Invece non è andata così e, se vuoi la verità , e la vuoi, ti dirò che non ho nemmeno un rimpianto. Gratitudine e gioia ed ancora amore per te. Vorrei aspettarti ancora davanti a quel portone. Spero mi perdonerai se non ci sarò domani. Sì che lo farai, perché mi hai chiamato “amore”.
Adesso riposo, giusto un po’. Non preoccuparti per me, addormentarmi davanti ai tuoi occhi, nelle tue braccia. Morire fra le braccia di un’immortale; un immortale che ti ama.
Aspettarti ogni sera, davanti a quel portone.
ChissĂ che occhi avrai.
-Sta dormendo, mamma?
-sì.
-Mamma…
-dimmi tesoro.
-Dove vanno i cani quando muoiono?