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Il racconto degli omini stilizzati
di Eva Luna Mascolino

Tu immagina due omini, di quelli stilizzati, che si incontrano su uno sfondo bianco e si trovano simpatici. Capiscono che stanno camminando nella stessa direzione, non lo sanno, ma lo intuiscono, due omini stilizzati qualsiasi, con sole due gambe e due braccia ed un corpicino tutto nero. Uno è più alto (sarà il maschio), l’altro ha una massa di capelli incredibile, sarà la femmina.
Dopo un po’ che passeggiano, così, quasi a caso, l’omino più alto propone a quello con tanti capelli di proseguire assieme lungo la direzione di entrambi: in due si sta meglio, lo sanno tutti. Entrambi stanno portando un secchio, fino a quel momento il secchio è vuoto, perché gli omini non sanno come riempirlo. Poi, l’omino più alto propone di riempirli entrambi di fiori, portare ciascuno il proprio e tenersi per mano, con quella delle due rimasta libera. L’altro omino accetta, perché già da parecchi minuti aveva in mente un’idea simile (chissà che l’omino più alto non l’avesse capito?), così si mettono in viaggio.
Passa qualche ora, l’omino con più capelli è felicissimo e continua a raccogliere fiori, l’altro non è poi così sicuro della situazione in cui si è cacciato e, quasi senza volerlo, ad un certo punto, passando vicino ad una pozzanghera, riempie il secchio di acqua gelida e lo versa addosso all’omino che teneva per mano. Quello resta come paralizzato, poi inizia a gridare, l’omino più alto scappa via.
Devono passare parecchie ore prima che l’omino con tanti capelli riesca a riprendersi, ad asciugarsi, a superare lo shock…Continue reading
Graceless
di Giampaolo Giudice

“You can’t imagine how I hate this.”
Quante stelle ho dimenticato in questi anni? Almeno tante quante le volte che ho voltato lo sguardo lontano dal cielo.
È parecchio che non mi fermo a guardare il cielo; c’è sempre qualcosa da fare, qualcuno a cui dedicare le mie attenzioni od il mio tempo. Nulla che possa, o che voglia, aspettare.
E che avrebbe dovuto, invece.
“I’m trying, but I’m graceless.”
Per aspettare devi stare bene, altrimenti è una tortura. Devi stare bene con te stesso per aspettare. Perché in quei momenti sei lì, da solo con le tue aspettative, con il tuo immondo ed atroce fondo che fingi non esista il resto del tempo e da cui fuggi quando dormi.
“I am not my rosy self.”
Mettere in attesa la vita di dentro, quella reale, a favore di quella recitata di fuori.
Per quanto cerchiamo di convincere e convincerci non sia così, ci troveremo sempre a dover fare i conti con il nostro intimo modo di essere occultato, secondo noi, agli occhi altrui…Continue reading
Onestà intellettuale – Parte terza
di Ferdinando Morabito

Era sempre sembrato bizzarro a Eduard affrontare discorsi sull’onestà intellettuale con un parcheggiatore. Poi però pensava che Ermir era una persona, con le proprie idee, i propri progetti e la propria visione del mondo. Era stata l’unica persona con cui sapeva di avere in comune il culto dell’onestà intellettuale.
“Non ci rimane che quello: è la vera forza degli esseri umani. È in questo concetto che si può davvero capire il porgi l’altra guancia, la poetica di Tolstoj e il mito della non violenza. È in questo, nell’incapacità di tradire se stessi, nel rifiuto di ogni meschinità, anche a costo della vita, nel non concedersi a chi vuole annullarci come persone che sono racchiusi, tutti insieme, Gesù Cristo, Tolstoj e Gandhi!”, aveva affermato, visibilmente brillo, Eduard alla fine di quella cena che lo aveva eletto braccio destro dello zio. In quell’occasione, si era accorto che un vivo senso di commozione aveva scosso Ermir. In quell’istante, si sentirono come fratelli…Continue reading
Feuilleton Il francese inesistente – Parte quinta
di Fabio Cardetta

Niente.
C’erano quei piedini magici che fluttuavano nell’aria come farfalle. Erano lunghi e affusolati, i piedini, prensili, con le unghia curate e smaltate di scarlatto. E fluttuavano, ciondolando lo stiletto, che si staccava e si ricongiungeva alla morbida pianta e al soffice tallone, accarezzandoli come una piuma. Poi le lunghe gambe e infine le cosce, accavallate, premute e adagiate. Era lì che terminava l’abito bianco attillato che si attanagliava al corpo di Simona; con la scollatura stagliata all’altezza delle scapole, le spalle ossute, il collo allungato, a sostenere quel volto con due diamanti nelle orbite.
Svetlan era lì, a rimirarla, non credendo che una tale bellezza potesse essere passata dalle sue parti, un giorno di cui non ricordava più nulla, forse tanto estasiato che manco se n’era accorto che c’era passata.
“Quindi, a che punto siamo?” – fece l’angelo…Continue reading
Dire addio
di Elena Ramella

“Ho sempre pensato che gli uccelli migratori avessero delle bussole incorporate. Lasciano il nido, ma torneranno sempre.”
Camminavano avanti e indietro sul Pont Alexandre III, 160 metri, passo dopo passo, con la luce dei lampioni che si rifletteva nell’acqua torbida della Senna e gli ultimi bateaux mouches che si allontanavano dalla riva carichi di turisti con gli occhi luminosi e le macchine fotografiche in mano.
Avanti e indietro.
“Ti aiuto a traslocare, se vuoi.”
“Grazie, avrei davvero bisogno di una mano.”
“Bene.”
Silenzio.
“Vorrei essere un acquerello e semplicemente dissolvermi.”
“Non serve. Non voglio. Non importa. Abbiamo abbattuto le barriere perché siamo due…Continue reading
Verso le nuvole blu
A Lucia e alla sua anima libera che ride nel vento

Ciottoli, siamo ciottoli in corrente,
sbattuti, scheggiati dalle lacrime.
Straziati dalla discesa.
Ciottoli dal cuore di burro, lesionati dal dolore,
irrimediabilmente compromessi.
Dove sono, adesso, le tue mani che accarezzavano il mondo?
Dove sei?
Ci siamo persi, tutti, nel blu dei tuoi occhi,
nel blu del tuo cielo…Continue reading
L’incontro
di Fiorella Malchiodi Albedi

Eravamo alla fermata ormai da dieci minuti e Silvia cominciava a mostrare segni di impazienza. Decidere di muoversi con i mezzi, quel giorno, non era stata un’idea felice, ma lei aveva insistito, tante sue compagne di classe prendevano l’autobus tutti i giorni, per andare a scuola, almeno quella mattina, in cui non avevamo orari da rispettare, potevamo farlo anche noi? Avevo accettato, ma ora, al ritorno dal museo, eravamo entrambi stanchi e cominciavo a pentirmi della scelta. Così, con gli occhi fissi sull’angolo da cui aspettavo con ansia che sbucasse il nostro autobus, non ho riconosciuto Elena finché non mi si è piantata di fronte, a un metro dal mio naso. Anche se poi, ripensandoci, forse avevo colto qualcosa di familiare nell’andatura un po’ sbilenca della persona che si stava avvicinando. “Cammini in diagonale come a volte fanno i cani” le avevo detto una volta, e lei, che li adorava, ne era stata felice.
– Beh, sono così cambiata? – mi ha apostrofato sorridendo. – Allora, che si dice?
– Tutto bene, e tu?
Lei ha cominciato a raccontare, con naturalezza…Continue reading