Feuilleton Il francese inesistente – Parte quinta
di Fabio Cardetta

Niente.
C’erano quei piedini magici che fluttuavano nell’aria come farfalle. Erano lunghi e affusolati, i piedini, prensili, con le unghia curate e smaltate di scarlatto. E fluttuavano, ciondolando lo stiletto, che si staccava e si ricongiungeva alla morbida pianta e al soffice tallone, accarezzandoli come una piuma. Poi le lunghe gambe e infine le cosce, accavallate, premute e adagiate. Era lì che terminava l’abito bianco attillato che si attanagliava al corpo di Simona; con la scollatura stagliata all’altezza delle scapole, le spalle ossute, il collo allungato, a sostenere quel volto con due diamanti nelle orbite.
Svetlan era lì, a rimirarla, non credendo che una tale bellezza potesse essere passata dalle sue parti, un giorno di cui non ricordava più nulla, forse tanto estasiato che manco se n’era accorto che c’era passata.
“Quindi, a che punto siamo?” – fece l’angelo.
Svetlan si risvegliò e cercò di riprendere un tono adeguato. Ma la ripresa delle operazioni andava per le lunghe.
“Il mio investigatore… Cioè, il mio collaboratore, è sulle tracce di questi tizi. Credo che in un paio di giorni riusciremo a risolvere tutto.”
Simona sfoggiò un largo sorriso a creare quelle fossette che tanto facevano impazzire i suoi spasimanti.
“Ma non avevi detto che il tuo investigatore una volta era uno degli scagnozzi di Bito?”
Svetlan si fece serio:
“Non è proprio così… Comunque non ti preoccupare, puoi dire a Vladimir di stare tranquillo. Tub si è buttato a capofitto nella faccenda e credo che già oggi mi porterà elementi validi. Anche se pure io dubitavo della cosa…”
“Perché dubitavi?”
“Perché i due indagati ormai scagionati di cui mi ha parlato Vladimir (e di cui Tub non sa nulla) sono suoi ex colleghi. O meglio, hanno lavorato nello stesso locale in cui Tub lavorava come buttafuori. Ed entrambi sono connessi ad alcuni individui con cui collabora, gente di Bito, merde… Quindi, se gli avessi messo in mezzo questi nomi, lui avrebbe fatto le indagini a cazzo di cane, si sarebbe rifiutato di fare alcune cose e non ne avrebbe cavato niente. Ora, invece, so che si sta dando da fare… Si spezzerà il collo per risolvere il caso, vedrai. Anche perché alla fine anch’io io gli ho dato una giusta motivazione!”
“Ovvero?”
“Semplice… Ho minacciato di licenziarlo.”
Tub era giusto passato da Svetlan quella mattina, per aggiornarlo sugli elementi presi da Timothy e sulla testimonianza del ragazzino.
Svetlan, anche quella volta, non aveva fatto una piega e si era dimostrato ancor più merda del solito: aveva ammonito il suo sottoposto di muoversi e di non battere la fiacca. Gli aveva rimproverato incuria nelle indagini, come se avesse voluto proteggere qualcuno dell’apparato di Bito. Inoltre, lo aveva portato a conoscenza di alcuni dati. Uno in particolare, l’arma del delitto: la 38 special.
Svetlan era convinto che qualcuno degli scagnozzi di Bito avesse agito indipendentemente e senza l’assenso del capo, per qualche anomalo traffico interno. Probabilmente una resa dei conti personale con quel francese. Dunque, aveva un urgente bisogno di sapere chi, degli scagnozzi di Bito, possedesse una 38 special.
Tub aveva replicato che nessuno degli indizi portava al clan di Bito. L’identikit segnalato dal ragazzino poteva portare a un nazionalista: rasato, giubbotto di pelle, tipo massiccio.
Ma Svetlan non aveva voluto sapere ragioni e, per non saper né leggere né scrivere, lo aveva richiamato all’ordine:
“Ora te ne vai da quelli di Bito, e mi trovi la 38 special!”
Tub aveva sbottato e, avviandosi verso l’uscita, aveva borbottato insulti incomprensibili.
Svetlan era scattato in piedi:
“Ehi!”
L’omone si era girato, e aveva visto quello sguardo vuoto: Svetlan era cadaverico, pallido. Dal suo oltretomba aveva esclamato:
“Tub, se non fai quello che ti ho detto… Già domani puoi rassegnare le tue dimissioni.”
Non se l’aspettava. Aveva mai pensato a quell’eventualità?
Tub non era uno che la prendeva sul personale. Lo potevi far incazzare e lui ti avrebbe pestato a sangue. Giusto una ramanzina, nel suo codice personale. Probabilmente ti avrebbe ucciso, se messo nelle condizioni di farlo. Ma quelle ultime parole di Svetlan, pronunciate in quello stile che sapeva essere definitivo e irrevocabile, assumevano un significato particolare.
Tub era venuto dal nulla, e aveva fatto fortuna con Svetlan. Era pagato bene e, grazie a lui, s’era potuto permettere tutto quello che aveva sempre sognato: un’auto nuova, una casa, una moglie.
Tutto era dovuto ai soldi di Svetlan. Per Tub quei soldi erano tutto. Se avesse perso quel lavoro sarebbe tornato nella fogna da dove era venuto. Non sarebbe potuto nemmeno tornare a fare il buttafuori, dato che presso la criminalità che gestiva la maggior parte dei locali era ormai visto come un infame di cui non ci si poteva fidare.
Tub amava la sua macchina, la sua casa, sua moglie.
Ma sapeva benissimo che doveva impegnarsi per tenerseli.
La sua compagna non s’era certo innamorata di lui per il suo bell’aspetto o per il suo carattere adorabile. La sua compagna, Elena, amava i soldi come li amava lui. Senza quei soldi, lei non ci sarebbe stata. E Tub lo sapeva. Senza i soldi non ci sarebbe stata la casa, non ci sarebbe stata la macchina, non ci sarebbe stata più Elena.
Fu pensando a quello che comprese che Zdenko, Goran, Gabor o gli altri amici che conosceva da una vita e che facevano parte del clan, alla fin dei conti, per lui, non rappresentavano davvero un cazzo.
Cosa avevano fatto per lui? Una partita a biliardo? Una birra? Qualche soffiata? Sì, certo. Ma sempre in cambio di qualcosa: un favore, una regalia, denaro. Non l’avevano mica fatto per lealtà o amicizia. Di sicuro in un’altra situazione l’avrebbero venduto per due soldi al miglior offerente. Magari l’avrebbero fatto ammazzare come un cane, se ne avessero avuto la possibilità.
Durante le indagini non aveva mai pensato che in qualche modo stesse usando un occhio di riguardo per loro. Ma lì, in quel momento, capì che forse era davvero così. Forse avrebbe dovuto osare di più e considerare quei suoi amici alla stregua di gente qualunque. O meglio, avrebbe dovuto considerarli semplicemente per quello che erano in realtà. Feccia. Feccia della peggior specie. Canaglie.Vermi che non servivano a niente se non a rimpolpare le squallide schiere di criminali esistenti.
Lui era così una volta, ne era cosciente.
Ma adesso non più.
Ora lui – era l’ investigatore privato Ivan Podolski. Uno dei più richiesti e rinomati in città. Una persona rispettata, un professionista.
Una persona di Serie A.
Fu lì che Ivan Podolski capì che Svetlan era davvero il suo unico amico.
Perché lo pagava. E lo aveva reso quello che era oggi.
Svetlan lo pagava bene, e questo era il massimo dell’amicizia che uno come Tub poteva ricevere.
E ora doveva difenderla quell’amicizia. A qualsiasi costo.
Fu così che Ivan Podolski – l’uomo e l’investigatore Ivan Podolski – si ritrovò nel chiosco delle armi di Ludovit, per porre fine a quella orribile vicenda di francesi, rivoltelle e mafiosi da due soldi.
Entrò nel chiosco.
Si guardò per un attimo attorno, rimirando le pistole appese, i fucili, i caricatori, le munizioni, le cartucce, le corde, le fodere. Era di legno il chiosco, sembrava quasi una gabbia per canarini. E quasi li sentì cinguettare quei canarini, prima di vedere il padrone dietro il banco.
Poi avanzò.
“Ciao Ludko, vorrei una 38 special” – aveva esordito, senza nemmeno salutare.
“Non ne abbiamo” – fece l’armaiolo, passando un fazzoletto su una canna.
“Io so che a qualcuno l’hai data”
“Non è possibile, è almeno un anno che non ne vedo una.”
“E un anno fa, l’hai venduta a qualcuno?”
“Non ricordo, è stato tanto tempo fa.”
Il tempo si fermò.
Poi schizzò sul muro.
Il cranio di Ludko fu schiantato nella teca.
Tub l’aveva preso per la nuca e gli aveva scaraventato la testa dentro l’espositore, facendo esplodere il vetro in mille pezzi. Uno sciabordio di sangue e lembi di pelle colavano ora dalla faccia dell’armaiolo. Gli occhi semichiusi piangevano e si guardava le mani, quando avrebbe dovuto guardarsi tutti il resto.
Tub lo teneva per i capelli, dal di là del bancone, proteso in avanti con un braccio che sembrava un gancio d’acciaio.
Lo riportò in superficie, scandendo rauco:
“Figlio di troia, chi degli uomini di Bito ha una 38 special??”
“Non lo so!… Perché cazzo dovrei saperne qualcosa?”
“Figlio di puttana, tutte le armi che hai sono di Bito!… La tua vita non è altro che armi e quella zoccola di tua moglie!… Se vedi un’arma, tu sai a chi appartiene!… E se sono arrivate delle special, tu lo sai… E sai anche quando sono arrivate e a chi appartengono!… Non dirmi stronzate, se non vuoi che ti riduca a un mollusco!”
La faccia di Ludko ormai era una purea che emanava suoni.
“Lo vuoi capire che-che non gestisco io gli ordini??… Io prendo solo il dettaglio!… Sì, sicuramente… qualcuno di loro ha una 38!… Due anni fa arrivò un carico … E-e se le spartirono tra loro!”
“Perché se le spartirono, quante erano?”
“Non-non so quante erano!… Ma loro hanno le automatiche!… Che se ne fanno di una rivoltella?… Erano a-arrivate una decina di rivoltelle a cazzo!… E io so che a… a una festa Bito le ha regalate a qualcuno di loro!”
“E tu sai chi sono questi tizi?”
“Non lo so, cazzo!… Prova a chiederlo a loro!”
Un altro schianto, un’altra corsa. Ludko fu scaraventato nella teca, come un pompelmo spappolato.
“E allora dimmi, simpaticone… Me lo vuoi dire come faccio a trovare questa special?”
La testa di Ludko continuava a scorrere sulle pistole, come i cingoli di un carrarmato, mentre Tub affondava sempre più il braccio e, incurante, cominciava a tagliarsi anche lui fra i cocci di vetro infranto.
“Ti pre-prego… Basta!”
“Se non mi aiuti, Dio non ti aiuta. Dimmi dove trovare il figlio di puttana che ha quell’arma!”
“Prova ad andare al poligono di Kulajka!”
Tub si fermò, di colpo, come se gli fosse tornato a mente qualcosa.
“Intendi il poligono abusivo?”
“Sì, quello!… Se-se qualcuno di loro ha una 38 special… Gli altri di sicuro lo sanno!”
La montagna umana si issò. Staccò la presa dall’armaiolo, che oramai era un morto vivente, e lo lasciò lì a macerare nel sangue, con la testa ancora incastrata nella teca.
Si rassettò un attimo, poi sputò sulla vittima e si portò via una pistola.
Una Beretta automatica, calibro 34.
Mentre l’omone stava per varcare la soglia della porta, tirandosi giù le maniche e estraendosi un vetro dal braccio, si sentì una voce implorare:
“Ehi!”
Era Ludko.
“Che c’è?” – si girò Tub, francamente sorpreso.
La nuca di Ludko intonò:
“Na-naturalmente… Io non ti ho dette niente!”
Tub sorrise.
Era contento.
“Bravo, figlio mio… Tu non mi hai detto niente.”