Feuilleton Il francese inesistente – Parte quarta
di Fabio Cardetta

Timothy alla fin dei conti non ci aveva provato. Non aveva detto nemmeno granché riguardo al francese. Si era limitato a far accomodare il suo ospite in un salotto più borghese che mai, pervaso dall’odore di salse piccanti e tempestato di riproduzioni di Picasso, tappeti mostruosi, mobili antichi e ninnoli asiatici di qualsiasi genere.
Aveva acceso la tv per mostrare all’ospite la replica del suo telegiornale per stranieri ‘News from Slovakia’, reperibile su un remoto canale digitale, che ogni giorno l’americano conduceva impostato, elencando il nulla. Aprendo una porta, aveva poi mostrato la bruttissima moglie con simili sopracciglia, stipata in cucina a preparare un pranzo a base di panini, crema di arachidi e insalata. La donna aveva risposto al saluto di Tub con un ‘Salve’ molto artificiale, quasi da clown. Poi Timothy aveva richiuso la porta, aveva fatto accomodare l’omone e s’era seduto, guardando con occhi dolci il suo ospite. Lì Timothy aveva servito il tè, mescendolo come un vecchio lord ottocentesco. E infine aveva detto:
“Non ne so molto di più di quel tipo”
“E allora che cazzo mi hai fatto salire a fare?” – aveva pensato Tub, leggermente infastidito.
Poi, semplicemente, aveva risposto:
“Provi a ricordare. Anche il minimo dettaglio potrebbe essere importante.”
Ormai era lì e doveva finire il tè, tanto valeva provare.
“Ah, sì!… La sa una cosa strana?… Quel tipo un paio di volte si è intrattenuto con noi nel dopo serata. E sembrava quasi non volesse mai andare a dormire…”
“In che senso?” – fece Tub.
“Nel senso che noi dopo il meeting andavamo spesso a chiudere la serata in qualche altro locale. Si formava un gruppo di una decina di persone e andavamo a bere una cosa tutti insieme. Lui ci ha seguito un paio di volte e, entrambe le volte, è stato fra gli ultimi ad andarsene. Una volta rimanemmo solo io e lui. Proposi di accompagnarlo, ma lui non volle. Mi disse che amava aspettare l’alba per guardare il sorgere del sole. E comunque doveva vedersi con qualcuno.”
Tub si fece pensieroso, poi liquidò:
“Non mi sembra molto strano. Però se doveva vedersi con qualcuno, la cosa potrebbe essere interessante.”
“Sì” – continuò Timothy – “O almeno così mi ha detto lui. Tutte e due le volte la stessa scena. Doveva aspettare l’alba, come i vampiri!”
E Timothy sfoggiò il suo largo sorrisone che metteva ribrezzo a tutti i suoi interlocutori.
Il sole calò, Tub si dileguò e la visita fu terminata.
La visita al bar Groucho, invece, fu più delicata.
Timothy era un innocuo giornalista americano, animatore della scena Expat di Bratislava, aveva il suo piccolo telegiornale (sovvenzionato non si sa da chi) ed essenzialmente campava con i soldi della ricca moglie slovacca. Nonostante fosse un viscido, era una persona innocua con cui si poteva parlare con tranquillità.
Ora, invece, al Bar Groucho era un’altra faccenda, si entrava nel regno di Bito. O almeno, una delle succursali del regno di Bito.
Bito era uno dei boss mafiosi di Bratislava, diventato celebre per un paio di apparizioni tv e per il suo repentino cambiamento in rinomato imprenditore, dopo l’improvvisa stretta anti-mafia da parte dello Stato e della polizia.
Ufficialmente gestiva una agenzia di modelle e una fabbrica di macchinari agricoli; ufficiosamente gestiva il traffico di prostituzione e delle armi in tutta l’area attorno alla capitale, da Banka Bystrica a Szob.
Era in stretto contatto con i clan ungheresi e fido alleato di tutta la mafia che gestiva i traffici di prostitute e armi nella fascia mitteleuropea. Il lavoro sporco ormai lo faceva gestire direttamente dai suoi alleati nei villaggi di provincia. A Bratislava, invece, si limitava alla gestione dei grossi locali, al gioco d’azzardo e qualcosa nel campo della prostituzione.
Tub conosceva molti dei seguaci di Bito, con alcuni addirittura c’era cresciuto insieme. E sebbene molto spesso si rifornisse da loro per soffiate e informazioni, ora sapeva benissimo che doveva andarci con i piedi di piombo. Qualcuno aveva sparato a uno straniero nel disco-pub di Bito. E il boss si era ritrovato orde di poliziotti in uno dei suoi locali migliori, a mettere il naso dove non avrebbero dovuto.
La situazione era ambigua e dai molti punti oscuri.
Possibile che qualcuno vada a far saltare le cervella a uno sconosciuto proprio in quel locale? E se fosse stato proprio Bito a decidere di quell’esecuzione? No, stroppo strano!… Lo avrebbero potuto ammazzare da qualche altra parte, il francese, non a casa loro, attirandosi addosso poliziotti e giornalisti come mosche!
E allora chi era stato? Qualcuno che probabilmente avrebbe voluto far ricadere la colpa sul clan? Oppure un incosciente, magari inconsapevole del fatto che quel locale appartenesse al più potente boss di Bratislava?
La faccenda era fuori dal comune davvero. Bisognava sì indagare e capire. Ma ormai gli uomini del boss sarebbero stati sul chi va là, e difficilmente avrebbero detto qualcosa. Anzi, una volta visto Tub, avrebbero subito capito che anche Svetlan stava indagando su di loro, e allora le cose si sarebbero messe male. Si sarebbero innervositi ancora di più. E Tub avrebbe avuto problemi con i suoi informatori interni al clan, magari li avrebbe persi per sempre. O magari se li sarebbe trovati improvvisamente contro. E la cosa non gli piaceva affatto. Bisognava essere cauti.
Entrò nel locale malsicuro guardando la grande insegna che recitava ‘Bar Groucho’. All’interno, scostò le tende, guardò l’orologio e si accorse che erano solamente le 17.15: il locale era deserto.
O almeno la prima stanza dedicata all’aperitivo era deserta.
Ma sapeva che anche le altre stanze lo erano.
Era un mercoledì qualsiasi e il locale avrebbe cominciato a prendere vita verso le 20.00. Era sicuro che dietro il bancone della prima stanza avrebbe trovato Zdenko, suo amico di vecchia data e buon informatore. Ma di solito Zdenko attaccava a lavorare verso le 19.00. Infatti, dietro il bancone, Tub ci trovò un ragazzino che non aveva mai visto, biondo, mingherlino, con un’espressione timida e stranita negli occhi.
Tub lo squadrò per un po’.
Poi una balzana idea lo trafisse, e di scatto si disse:
“E se per caso…”
Sperava davvero in un colpo di fortuna così?
Decise di provarci subito, ma con calma.
Ordinò una birra come se nulla fosse, come se fosse un normale cliente.
E il ragazzino gentile si diede a spillare una pinta di Karlovà bionda e schiumante.
“Lavori da molto qui?” – attaccò morbidamente Tub.
Il ragazzino lo guardò perplesso, poi rispose:
“Non molto, signore. Saranno sei mesi, più o meno.”
Gli occhi di Tub brillarono come quelli di un ragazzino a cui il papà ha appena regalato un motorino.
“Senti, sono un agente immobiliare. Sai per caso chi è il titolare del locale?… Vorrei parlarci per un affare.”
“No, signore” – fece il ragazzino – “Non so chi sia il proprietario. Io parlo solo col signor Zdenko… è lui che mi paga.”
Gli occhi di Tub si fecero sempre più vitrei e un leggero sorriso gli si stampò sulla faccia.
“Ah, certo, il signor Zdenko. Lo conosco di vista, brava persona!”
“Sì, il signor Zdenko, è davvero una brava persona. Lo devo a lui se sono qui.”
Tub ingranò la marcia:
“Sono d’accordo. Senti, allora forse dovrei parlarne con lui di quella faccenda… Vedi, c’è un mio cliente che vorrebbe comprare il locale. Era molto interessato prima… Ma, sai… ora però è un po’ perplesso: dopo quello che è successo…”
Tub vide la scena per un attimo fermarsi.
Il ragazzino spalancò gli occhi, guardò il cliente, poi li abbassò sconsolato:
“Non lo dica a me, signore. Mi hanno messo per un mese a riposo per quello, perché pensavano che fossi rimasto scioccato!… Per fortuna che il signor Zdenko è generoso e mi hanno pagato comunque!… Solo a dicembre ho potuto riprendere!”
“Perché, scusa?… Non per farmi gli affari tuoi, ma vuoi dirmi che tu c’eri quella sera?”
“Certo che sì, signore… Servivo al bancone vicino al bagno. Forse non dovrei parlarne… Ma, sa, che rimanga tra noi: secondo me la polizia non ha indagato bene…”
Tub si sgranchì le dita.
“Ah sì?… Perché dici ciò?”
“Perché io qualche idea ce l’avrei… Forse sono solo mie allucinazioni…Cioè sui giornali non hanno detto niente!”
Tub non riusciva a stare fermo sulla sedia, barcollava. Prendeva un sorso di birra, poi poggiava il tutto e subito dopo attaccava un altro sorso.
“Cioè ti è sembrato di vedere qualcuno che potesse essere…”
Il ragazzino si protese sul bancone e, mettendo l’indice sulla bocca, come a dire ‘Rimanga tra te e me!’, sussurrò:
“Io non ho visto niente. Ma se la cosa è successa alle 23.45 come dicono… Io verso quell’ora un tizio strano uscire dal bagno l’ho visto!”
Tub offrì da bere al ragazzo. E offrì da bere anche a se stesso.
Il ragazzo sarebbe rimasto muto. E Tub sarebbe rimasto muto.
Il tizio descritto dal ragazzo combaciava con il probabile identikit del killer?
Difficile dirlo. Non c’era un identikit del tizio.
Ora però Tub poteva tornare da Svetlan con un paio di elementi che avrebbero –forse – portato a un restringimento del cerchio.
Così aveva pensato Tub, ingenuo come un bambino.
Non aveva preso in considerazione il fatto che – forse – il suo capo avrebbe potuto avere un’idea diversa su tutta quella faccenda, sul caso in questione…
O – forse – sul futuro stesso della loro collaborazione.