Numero 35

Stanza 193  “LETE”

di Giampaolo Giudice

 

“Photographer” di Ilaria Cerutti

Non ricordo occhi. Vorrei ricordare di più. Un vestito a fiori, una gonna lunga, agosto di polvere nei campi.
Non riesco a vedere molto da qui. Per questo vorrei almeno ricordare.
Non riesco a vedere molto. Nella città in inverno, fuori dalla finestra. Aspettavo che tornassi.
Non lo facevi mai.
Nella città in inverno. Non c’è ombra se è bianco su bianco. Nessuno può notare un fantasma in piena luce.
Non vedo bene da qui, faccio fatica a respirare, faccio fatica a comportarmi in modo logico quando sono agitato. Non passa giorno che non ti pensi, eppure non riesco a ricordarti.
Non ricordo occhi, né odori, né le tue mani; vorrei ricordare di più.
Non riesco a vedere molto da dove sono ora. Eppure ci sono state, ne sono certo, notti d’agosto e strade lunghe alla ricerca del punto esatto in cui cominciava la felicità; e spiagge, quelle sì, quelle le ricordo un po’ di più. Ma poi le stagioni si mischiano al vento nella sabbia e scoprono scheletri nella polvere. I resti asciutti di qualcosa che non riesco a focalizzare. E non sono più sicuro di quello che vedo. Perché è così faticoso ricordare?
È nebbia in testa e bocca amara tutto quello che sento. Sapore di sangue ed aria stretta. Vista sfocata e paesaggi appannati. È passato così tanto da quando ho visto l’oceano. Tu non lo sai, ma in quelle notti nevose nel deserto ti pensavo forte forte. Ed ora fatico a ricordarmi come sei fatta in viso.
Come ci sono finito qui? Non riesco nemmeno a guardare fuori dalla finestra? Non riesco a vedere bene nemmeno ad un metro da me. Vorrei ricordare qualcosa in più.
Sentirti nello stomaco e guardarti dormire. Cose che ho fatto e che ora sembrano ad oceani di distanza dalla vita in cui ti sognavo. Un tempo indefinitamente lungo in cui marcisce, oggi, la speranza di tornare ad essere la vita che pensavo di voler essere allora.
Sentirti nello stomaco e poi sentirti strappare via. Un pezzo di me strappato via dalla carne.
Come, come…
Com’era? Che volevo dire?
Fatico sempre più a ricordare. Fatico a respirare.
Vorrei ricordare almeno i tuoi occhi, non ci riesco. Perdonami.
Forse se provassi a ricostruire una situazione particolare tornerebbero anche i dettagli.
Non riesco a vederti.
Sono solo uno scemo. Uno scemo appeso. Patetico.
Uno scemo appeso che non riesce nemmeno a ricordare. Che cosa, poi? Un momento inesistente? Un foglio colorato a colpi di fantasie?
La realtà, il dato di fatto è che tu non ci sei più, nemmeno dietro ai miei occhi di fesso che non riesce a respirare, nemmeno nel mio stomaco ormai abitato solo dal tuo fantasma morente.
Calci all’aria, solo di questo sono capace, ora che l’aria è un filo gelido che mi scende nella gola mentre gli occhi affogano nel mare che ci abita dentro, di cui siamo capaci solo quando siamo finalmente noi stessi.
Mi viene da ridere. E rido nelle lacrime senza aria di un uomo morente. Chissà che cosa direbbero di me se sapessero che il mio ultimo pensiero è stato per qualcosa che nemmeno sono riuscito a ricordare.
Ed il cielo solo sa quanto ci abbia provato davvero.
I respiri si ammucchiano nella gola con schiocchi umidi, onde che si infrangono sugli scogli della realtà. Ho sempre avuto mani troppo pesanti per amare.
Provassero ad indovinare l’ultima parola dell’impiccato.


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