Numero 34

Feuilleton Il francese inesistente – Parte terza

di Fabio Cardetta

Episodi precedenti

 

“Seven Sisters Crossroad #4” di Bartolomeo Pampaloni

La scacchiera si stagliava sulla piattaforma nera lievemente illuminata da una luce bianca. Su di essa incombeva la sottile ombra seduta e con le braccia spalancate che guardava in giù come un eremita. Di fronte a lui la figura imponente di Tub, che lo fissava dall’alto con una faccia pallida, la solita, le mani dietro la schiena e l’espressione stranita.

“Voglio sapere tutto di questo Klein. Comincia.”

L’omone cominciò:

“Jules Klein, 28 anni. Ha lavorato negli ultimi tre mesi per la Tecnifom, settore vendite. Era bravo, vendeva parecchio, dicono i suoi colleghi. Ho parlato con il suo manager: mai avuto un problema. Era un tipo che si faceva i fatti suoi, abbastanza discreto riguardo alla sua vita privata, qualche battuta divertente per accattivarsi la simpatia degli altri, parlava poco, il necessario. Dei colleghi frequentava solo due uomini sulla trentina. Anche loro non mi hanno detto granché: un caffè, una birra e sempre a casa presto. Cosa strana: nemmeno uno di loro sa dove il tizio abitava. Alla polizia straniera Klein ha lasciato un indirizzo falso, ovvero quello del suo precedente soggiorno a Bratislava, avvenuto nel 2014 per più di un anno. Allora lavorava per un’altra azienda, la Sankel, come servizio clienti. Dei colleghi di allora ne ho rintracciati alcuni. Stesso quadro, carattere diverso: il Klein allora sembrava alquanto diverso, più giocoso, insomma uno che amava divertirsi, raccontare storie…”
“Roba di alcol, droga, donne?” – fece l’ombra.
“Alcol e donne, pare. Ma non si sa precisamente con chi. Lui amava però raccontare ai suoi amici cosa faceva. Pare avesse frequentato parecchie donne, nel suo primo periodo qui. Poi una pesante delusione amorosa l’ha placato per un po’”.
“Prostitute?”
“No, a Bratislava pare di no. Ma il Klein amava raccontare delle sue avventure, di quando era in Belgio e in Italia. E pare che lì andasse soprattutto a prostitute.”
“Belgio, Italia… La sua vita precedente?”
“Sì, dai documenti pare sia nato a Lilla, in Francia. I genitori due impiegati in una azienda per le telecomunicazioni. Poi la famiglia si trasferisce a Bruxelles. Lì Klein termina gli studi, si innamora di una ragazza italiana e decidono entrambi di trasferirsi a Milano. L’amore dura poco. Lui rimane senza un soldo e comincia a viaggiare per l’Europa, da accattone praticamente. Improvvisamente, durante un viaggio a Bratislava, conosce un futuro collega che gli dice che nel suo team c’è una posizione aperta per il servizio clienti. Lui prende al volo la situazione e si stabilisce qui. Da lì in poi una vita normale, qualche storiella con donne, quotidiano alcolismo e un caffè ogni tanto con gli amici. Per il resto niente di strano… Niente che ci possa aiutare granché. Credo sia tutto.”

L’ombra rimase muta per un paio di minuti abbondanti. Tub non osò interrompere quel silenzio. Una voce dall’oltretomba riprese:

“Ora ti fai un bel giro da Timothy, il giornalista americano. Dell’ambiente stranieri sa tutto. Poi vai a parlare con i tuoi amici del Bar Groucho. Molto tranquillamente, senza forzare troppo. Vedi che ne esce. E se ti avanza tempo ti rifai il giro degli ex colleghi e conoscenti del francese. Poi vai pure a parlare con l’ex proprietaria di casa del francese. A quanto pare, non vale la pena perdere tempo nello scoprire dove abitava realmente negli ultimi mesi. Lo faremo in seguito. Lì siamo coperti.”

E dicendo questo, l’ombra spostò tre pedoni e li mise a cerchio attorno alla regina.

“E tu che fai?” – fece dubbioso Tub.
“Io aspetto. Guarda.”

L’ombra rimise tutte le pedine al loro posto.
Dopodiché ne mosse tre dei bianchi: un pedone, un alfiere e una regina.
Solo un pedone dei neri.

“Cosa te ne sembra?”
“Il bianco ha messo sotto scacco il nero” – fece Tub – “Ma ha due mosse di vantaggio. O meglio, il nero è in svantaggio.”
“Ecco. Anche noi abbiamo due mosse di svantaggio” – fece l’ombra – “Ora dobbiamo fare le nostre due mosse. Tu vai in giro e difendi. Io aspetto e predispongo l’attacco. Stavolta giochiamo così.”

Tub fece una smorfia.

“A scacchi si muove solo una pedina alla volta. Il giocatore è solo uno, oppure, se vuoi vederla dal punto di vista dei pedoni: tutti fanno la propria parte.”

L’ombra rimase interdetta.
Poi, con un tono pacato ma secco, contrattaccò:

“Tu sei il pedone. Io sono il re. Quindi muovi il culo, se non vuoi che ti rispedisca a fare il buttafuori nelle fogne. Sono stato chiaro?”

Non erano mai arrivati a tanto. In effetti, quei due caratteri non erano mai stati così diversi come in quel periodo. Un periodo anomalo, dove qualsiasi ordine del capo o ulteriore domanda del sottoposto veniva vista come un affronto personale.

Cosa stava accadendo? Perché l’ombra si era fatta così ombra?
E perché Tub continuava a subire tutto, senza avere la forza di ribellarsi a quello stillicidio? La tensione tra i due aveva qualcosa di strano, patetico, indegno, decisamente ridicolo. Sembrava uno scontro tra padre e figlio, uno scontro edipico, i cui i ruoli di vittima e carnefice sembravano ad ogni attimo invertirsi, almeno nel loro personalissimo e contrastante immaginario. Ma loro non erano padre e figlio. Erano capo e dipendente, sembravano quasi colleghi di pari grado a volte. Ma in quegli ultimi giorni qualcosa era cambiato.

Tub, per la seconda volta nell’ultima settimana, ebbe un improvviso moto omicida verso suo padre. Avrebbe voluto prenderlo di scatto e staccargli il collo, di colpo, senza che s’accorgesse di niente.
Sentiva l’oppressione e l’arroganza di quell’ombra sottile quasi eterea, che avrebbe potuto in realtà distruggere in qualsiasi momento, non appena l’avesse voluto, lo sapeva bene. Ma questo non avvenne e probabilmente non sarebbe mai accaduto.
Così la tragedia anche stavolta fu scansata.
Tub fece la guerra con se stesso, il cuore gli batté frenetico per alcuni secondi. Poi si placò, e girò sui tacchi, proprio come nel bar Zelovny, proprio come l’ultima volta, ancora umiliato e fuori di sé.
L’ombra rimase lì a guardarlo uscire.

“Non te la prendere, amico mio” – pensò – “C’è una ragione per cui ti sto trattando così.”
Un raschio granoso cominciò a cigolare, e la potente musica di ‘Death and the Maiden’ partì, riempiendo la sala dell’armonia del tuono.

Era un pomeriggio come tanti.
In un locale oscuro di cui non sapremo niente.

In Prievskova ulica, sotto la frescura degli alberi e di fronte a un palazzo padronale su cui l’ombra della Chiesa Azzurra si stagliava delicata, un piccolo uomo, tarchiato e dalle gambe sottili, aspettava con le mani dietro la schiena.
L’uomo era decisamente in sovrappeso, aveva dei folti sopracciglioni grigi ed era in pantaloncini e sandali, nonostante la stagione calda non fosse ancora subentrata.

Tub lo vide e si avvicinò.

“La stavo aspettando!” –  fece l’omino ridente.
“Sono arrivato” – rispose Tub.
“Quale piacere vederla, Signor Podolski!… Come mai non è venuto anche il suo capo?”
“Magari perché sei un viscido raccontaballe e mi ha lasciato la grana a me, quello stronzo del mio capo. Non credi?” – aveva pensato prontamente.

Poi, invece, rispose: “Era impegnato.”

L’omino sfoggiò un altro largo sorriso e fece:

“Comunque la morte di un francese non è niente di che… Non lo sa che in Francia ne muoiono ogni giorno?”

Tub annuì, come se la battuta gli fosse piaciuta.

“Volevo metterla al corrente, comunque, che io quello lo conoscevo!… Veniva sempre ai nostri meeting internazionali e alle lotterie di beneficenza. Ma era sempre da solo. Si vedeva che voleva conoscere qualcuno.”
“E ha conosciuto qualcuno?”
“Mah, mi pare che si limitasse solo a qualche chiacchiera. Sembrava interessato soprattutto agli uomini di legge. Sa, per trovare qualche contatto del genere…”
“In che senso?”
“Sembrava volesse accedere a quel tipo di contatti, contatti di sicurezza… Sa, a furia di fare networking lo capisci: c’è chi punta agli industriali, chi fa l’aperitivo con una organizzatrice di eventi, chi si fa una birra con un giornalista, chi con un manager… Lui le birre le offriva sempre a magistrati e poliziotti.”

Tub si mostrò leggermente sorpreso.

“E alla fine?”
“E alla fine però non quagliava niente. Non l’ho mai visto intrattenersi due volte con la stessa persona. E quelli dopo qualche minuto lo snobbavano e se ne andavano a parlare con qualcun altro.”
“Qualche altra stranezza?”
“Mi faccia pensare…”

Fu lì che l’omino guardò l’investigatore con un sorriso ambiguo, di traverso, per poi avanzare una proposta:
“Perché non ne parliamo a casa mia?… Le posso offrire un té, ne ho di ottimi, non vuole?”

Tub, a quel punto, pensò che l’omino ci stesse platealmente provando. Aveva già sentito alcune voci sul suo conto, anche se non confermate, che additavano il buon Timothy come un rinomato pederasta ed estimatore delle più svariate pratiche sessuali. Ma erano solo voci, forse stronzate. A sostenere questa ipotesi c’era solo la generale impressione che quel volto decisamente brutto e viscido trasmetteva nelle persone. Nessuno era mai riuscito a dimostrare che Timothy, a parte la bruttissima moglie, avesse altri flirt o rapporti di diverso tipo. E nei suoi atteggiamenti quotidiani, nei suoi rapporti di lavoro, per quello che se ne sapeva, non aveva mai dato il minimo segno di essere altro che una brava persona.

L’investigatore, dunque, accettò la proposta.
“Al massimo lo picchio a sangue” – si confortò, pensando che forse sarebbe stato anche meglio; alla fine avrebbe addirittura auspicato che Timothy ci provasse spudoratamente una volta giunti nella sua raffinata dimora. Almeno avrebbe avuto una buona scusa per picchiare qualcuno quella settimana, il buon Tinozza.

E si sarebbe finalmente tolto di dosso quella rabbia logorante che ormai sentiva esplodere dentro di sé ad ogni passo, ogni secondo.

Timothy lo accompagnò lungo le scale, quasi spingendolo con un lieve tocco del palmo. Tub si rese conto che il suo lavoro lo costringeva ad incontrare tanta gente di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

“Già!” – si disse.

I morti, puntualmente, lo costringevano ad avere a che fare con i vivi.


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