Gravity
di Giampaolo Giudice

“It’s been a long time coming”
Ci sono parole giuste? Incantesimi di suoni per tenere vicino le persone che vorremmo contare nei nostri giorni.
“the way that gravity pulls on everyone”
Parliamo e nascondiamo qua e là pezzi di noi nelle frasi che pronunciamo.
Messaggi di cui ignoriamo il reale destino quando li affidiamo a quello stesso vento da cui nascono. Messaggi in bottiglia lanciati e lasciati in balìa delle correnti. Certe volte siamo noi a riceverli, roba lasciata sulla sabbia dalle onde arrivate da un mare con un altro nome. Che tu sei lì a guardare le foglie cadere ed improvvisamente sei un po’ più vecchio. E non sai bene se sia un bene o un male, da quel momento sei tu, ma non sei più il tu che ricordavi un attimo prima, ed ora non puoi farci nulla. Non hai mai potuto farci nulla.
“ ’cause I can’t help thinking, and I can’t look down.”
Improvvisamente ti accorgi di non averci capito nulla. Per tutto il tempo.
Uno che ha visto tutto ma non ci ha capito un cazzo.
Chi siamo quando veniamo dimenticati da coloro che amiamo?
Chi siamo quando a dimenticare siamo noi?
Siamo il lato bellissimo di un altro posto.
“Do you hear my heart beating. Can you hear that sound?”
Sei andata via da qui. O forse sono stato io, finalmente, ad uscire da quel posto che sembrava essere solo mio. Almeno secondo me.
Ed invece ci vuole solo tempo e pazienza per andare oltre quei monoliti del cuore che sembravo inamovibili.
Forse sono io a non aver fatto un passo, forse sono io stesso uno di quei monoliti. Questo sì. Che non so andare oltre e dimenticare; che dimenticare è solo una strana parola di cui non ho mai imparato davvero il significato. Mettere da parte, fare posto, lì dove si stendendo ad asciugare i ricordi ancora umidi.
Così, mentre io sono qui a guardare vecchie foto, il mondo come lo conoscevo cambia, e le parole restano solo parole.
“And then I looked up to the sun and I could see all the way that gravity turns for you and me.”
Pensavo, col tempo trascorso, di essere andato avanti, di essere passato oltre ed aver archiviato il tutto come esperienza. Una bella esperienza. Giuro che ne ero convinto.
Avanti, insomma.
Invece devo aver dimenticato a casa tua un pezzo di me. Qualche me dentro me che è rimasto seduto sugli scogli oltre i girasoli a guardare l’alba.
Tu vivi con lui, oggi. Mentre io sono ancora in auto sulla Bologna-Taranto che canto ed aspetto di veder spuntare il mare, all’improvviso, fra le colline. Siamo ancora in un albergo a Pesaro che ti guardo camminare avvolta in quel vestito a fiori mosso dal vento.
Siamo insieme a quel concerto, e ancora, siamo fermi per strada a guardarci l’anima a vicenda come avevamo imparato a fare.
“And the way that gravity pulls on you and I.”
Sei in tutto il tempo passato. E mentre tu vivi la tua vita, io resto in quel tempo inesistente.
Sono felice per te, sai?
Ho tenerezza per me.
Che mi perdo la festa sulla spiaggia per guardare le conchiglie rotte sulla battigia, inventando storie su come siano arrivate lì.
Ho tenerezza per me, forse per la prima volta in vita mia.
Sarebbe più semplice, ora, parlare senza parlare; che è sempre una scomoda incombenza tradursi in parole.
Sei qui.
Sei dentro alle ossa.
Qualunque scelta tu faccia.
Tesoro del cuore.
Ultimo battito.
“And then I looked up to the sky and saw the sun, and the way that gravity pulls on everyone.”
Sono un po’ più me stesso, ora. Come se mi vedessi allora, dal di fuori, con gli occhi del presente: un uomo distratto che guarda altrove. Mi vedo più giovane credere nelle favole, in qualcosa reso possibile da una forza plurale.
E mi faccio tenerezza per quella creduloneria che oggi mi manca da star male.