Susan
di Gaia Tomassini

“Haiku” di Arianna Sisti
Solo una come Susan poteva combinare questo casino. Ce l’ha fatta alla grande.
Susan è ovviamente la mia migliore amica, quando Dio distribuiva buonsenso ero con lei a fare la fila per la bellezza. Morale, ce lo siamo perse tutte e due il buonsenso, ma in compenso siamo – modestia a parte – splendide. Probabilmente era destino che ci incontrassimo, altrimenti Divina&Speciale non avrebbe mai avuto la sua coppia di modelle perfetta. Lavoriamo assieme da quando, sette anni fa, l’agenzia ci scoprì ed emergemmo da quel nugolo di speranzose ragazze che sognavano di far carriera nel ramo della moda.
Mi ricordo la scena come fosse ieri. Stavo diligentemente aspettando il mio turno per il provino da ormai quasi tre ore, chiaramente in tutto quel tempo non avevo socializzato con nessuno. Ero in piedi, eretta con la schiena, e non accennavo ad appoggiarmi a quel muro che Dio solo sa quando era stato pulito l’ultima volta. La ragazza davanti a me era entrata, la prossima sarei stata io. Poi, arrivò Susan. Ignorando platealmente le lamentele delle altre, con tre ampie falcate salì la piccola e stretta scala che portava alla stanza del provino e si piantò esattamente davanti a me.
“Non manca la concorrenza, eh?”, mi disse ammiccando. Mi sembrò fin dall’inizio assolutamente fastidiosa e irrispettosa.
“Già, e tu sei arrivata dopo di me; torna immediatamente al tuo posto”, le risposi alzando un sopracciglio e parlando a bassa voce con un tono che mi sembrava minaccioso. Pensavo di averle fatto capire con chi aveva a che fare, mai nessuno mi aveva messo i piedi in testa, e invece lei per tutta risposta scoppiò in una fragorosa risata. “Sei un po’ acidina eh? Ma è solo l’emozione o sei così di carattere? Vedrai”, mi disse, “ci prenderanno tutte e due, io sono già bella di mio e dato che lascerai che ti superi ti passerò parte del mio fascino, e ti porterò fortuna”. Disse tutto questo sorridendo con aria maliziosa, senza temere neanche per un attimo che le cose non sarebbero andate come voleva lei. E infatti andò così, ma ci tengo a precisare che io quel provino l’avrei passato anche senza il tocco magico di Susan.
Quando uscimmo, mi diede un colpo sul braccio come fossimo amiche da una vita e prendendomi la mano mi trascinò correndo in un bar per festeggiare anticipatamente, visto che lei era sicura al 100% che saremmo state prese. Io non reagivo, non facevo niente, mi sembrava di essere davanti ad una bestia strana, e così mi ritrovai a bere uno Spritz Aperol con una perfetta sconosciuta. Susan già all’epoca non sapeva stare ferma, parlava a ruota libera e non smetteva mai di sorridere. Solo alla fine di quell’aperitivo protrattosi per ore e ore mi tese la mano e disse, “Comunque piacere, io sono Susan”. Lo sguardo era allegro, gentile. Stupii me stessa quando le tesi la mano e le sorrisi a mia volta: “Sono Deborah”.
Da quel momento fummo inseparabili, Susan mi contagiò con la sua vitalità e io nel tempo persi un po’ del carattere scontroso, brusco e arrogante che mi caratterizza. Non ho ancora capito se Susan sia così cieca da non essersi mai accorta della persona con cui si rapporta o se semplicemente abbia deciso che la miglior medicina è ridere sempre quando faccio la prima donna permalosa; probabilmente la seconda, la mia amica è troppo intelligente per non vedere certe cose.
Oggi l’ha combinata grossa, ma forse c’era da aspettarselo. Il problema di Susan è che le modelle devono essere sempre serie, non sorridere mai e farsi fotografare con uno sguardo amorfo e privo di qualunque vitalità. Tutto il contrario di Susan insomma. A me non è mai riuscito difficile, lei invece ogni volta rischia di scoppiare a ridere davanti alla macchina fotografica e di mandare a rotoli l’intero servizio. Ci sono stati pomeriggi interi trascorsi a fare una e un’unica foto perché lei non riusciva a mantenere la concentrazione e stare seria, robe che andavo fuori di testa. Susan è pure maldestra, assolutamente sbadata. Perché non la cacciano fuori a calci? Perché è troppo bella, e la sua capacità comunicativa è impagabile.
Insomma, date le premesse ci si poteva immaginare che prima o poi presa da un particolare istinto suicida e irrazionale avrebbe sostituito di nascosto tutte le foto di un servizio da pubblicare su Vogue Italia, facendo stampare un numero con le nostre foto naturali e fuori programma. Mi son fatta gabbare da Susan come una cretina, dovevo stare più attenta quando ha iniziato a scattare foto a caso dicendo che era “giusto un ricordo personale”. Ricordo personale un corno, ora le sto guardando sull’ultimo numero di Vogue. In copertina c’è Susan a terra dopo essere caduta mentre indossava quei tacchi a spillo allucinanti che teoricamente sono la versione estiva di non so più che firma per andare a lavorare. Neanche dirlo, Susan sta ridendo. Sotto, la didascalia: “Ma se anche una che di mestiere porta i tacchi cade, come potete pensare che una donna possa portare queste scarpe per otto ore di fila?”. Domanda legittima, ma di certo non è un’ottima pubblicità per il prodotto.
Il dramma non finisce con la copertina, dentro è pieno di foto scartate e non adatte ad un servizio. C’è una gigantografia mia mentre facciamo una pausa tra un servizio e l’altro, Susan deve aver appena detto qualcosa di estremamente divertente perché io ho perso tutta la mia compostezza, rido senza contegno e mi tengo la pancia. “Non credete a quello che si vede nei servizi, anche le modelle sanno ridere!!”, è la didascalia che accompagna la foto. Se ce l’avessi davanti ora, strozzerei Susan con le mie mani.
Con orrore ho sfogliato rapidamente il giornale, e non ho trovato una foto che rispetti i canoni imposti dal mondo della moda; mi chiedo quanto tarderà ad arrivare la telefonata di licenziamento di “Divina&Speciale”, sono sicura che all’agenzia non sarà piaciuta questa simpatica iniziativa di Susan. Ed è inutile provare a convincerli che io non c’entro niente, non mi crederanno mai. Ci deve essere stato un aiutino anche da dentro Vogue, non posso credere che nessuno controlli le foto…
Squilla il telefono e sullo schermo compare il nome di Susan; ora la uccido di insulti. “Sai vero che con questo tuo scherzetto perderemo il lavoro?”.
“Ciao anche a te comunque! Non ti preoccupare, tu non lo perderai di certo; ho fatto in modo che tutta la responsabilità cada su di me”, risponde Susan senza dimostrare il minimo rimorso o una certa preoccupazione per il suo futuro professionale. “Scusa”, le chiedo, “come mi avresti scagionata?”.
“Vai all’ultima pagina di Vogue”, risponde lei tra il serio e l’immensamente soddisfatto. Con equilibrio precario sfoglio il giornale e arrivo all’ultima pagina. C’è di nuovo una mia foto, prima ancora di essere truccata; non ho neanche il mascara e il fondotinta. Indosso ancora i vestiti con cui sono arrivata da casa. È una foto ben riuscita, non mi ero accorta che mi stessero guardando e il mio sguardo punta da un’altra parte; sembro pensierosa, ma non corrucciata. La didascalia si trova sotto il mio primo piano: “Lei è la mia migliore amica, Deborah. Senza trucco è ancora più bella, non trovate? E, per inciso, è Susan quella che ha cambiato le foto da pubblicare, mica lei! Vi sono piaciute?”.
Guardo ancora un attimo la foto e poi sospirando le chiedo spiegazioni. Come al solito, mi dà una risposta spiazzante, una risposta da Susan: “Ma scusa, ti sembra di rappresentare degnamente e correttamente le donne della Terra? Spero di no, io non ho mai conosciuto gente con un’espressione da triglia tipo le nostre quando posiamo, e credo proprio che nessuna di loro sia così stupida da mettersi pantaloni che ti bloccano la circolazione e tacchi alti 15 cm per fare da mangiare ai figli e andare a lavorare! Sia io che te valiamo molto più di quello che appare nei vari servizi, non voglio essere ricordata come l’ebete dai capelli rossi senza espressione! Ora su Vogue almeno si vede qualcosa di vero, di reale! Non ti sembra?”.
Questa è Susan, e meno male che l’ho incontrata.