Quella gabbia fatale chiamata felicità – parte finale
di Ferninando Morabito

Un vento leggero e polveroso entrava adesso dalla finestra in cui aveva luogo quel colloquio. “Ecco gli esseri umani: nemmeno la felicità certa, sicura, riesce a soddisfarli. Non gli basta essere felici, devono essere felici esattamente come si aspettano di esserlo”, disse la donna alzandosi.
“Ma hai parlato di una scelta!”, esclamò Ernest. La donna si voltò lentamente, fissò i suoi occhi magnetici su di lui e poi aspettò che anche Mirka raccogliesse la forza di quello sguardo. Dopodiché, senza traccia di crudeltà o di scherno, disse: “Ce l’avete, una scelta. Siete condannati alla felicità, ma separati, con altri compagni di vita. Così è scritto. Nessuno è obbligato a conoscere in anticipo il proprio destino, è stata una vostra scelta testarda. Adesso, ne avete un’altra di scelta, lo sapete bene”.
I due ragazzi, senza rendersi conto di come avessero fatto, si trovavano adesso fuori da quella casa. L’orribile profezia dell’indovina li aveva atterriti in maniera irreversibile: si sentivano già estranei, come se qualcosa si fosse rotto tra loro, come se il passato felice e il presente pieno di speranza fossero concetti evanescenti. Quel magnifico sogno di una vita insieme era stato irrimediabilmente spezzato. Sapevano che non c’era da dubitare neanche per un istante delle parole dell’indovina.
Trovarono il coraggio di guardarsi e lessero, l’uno negli occhi dell’altra, la stessa decisione. Non c’era altro da fare! Si erano promessi orgogliosamente, in silenzio ma con maggior vigore di quanto avessero fatto quasi per scherzo solo il giorno innanzi, amore eterno. Niente avrebbe potuto rompere quel giuramento.
Forse si ama davvero, pienamente, solo fino ad una certa età. E in quel tumulto emotivo chiamato adolescenza, ogni cosa si trasfigura, diventa eterna e opprimente, gigantesca e assoluta. La vita per loro era solo insieme: nemmeno felici potevano avere il coraggio di immaginarla lontani l’uno dall’altra. E così la parabola dei due innamorati visse un finale diverso di quello previsto dal destino. Stavolta fu Adamo a scegliere il frutto proibito, carico di veleno e che si trovava in abbondanza nel bosco che essi dovevano percorrere per tornare al villaggio in cui vivevano; egli lo morse con decisione e lo passò alla sua donna, che assaggiandolo con altrettanta gioia lo legò indissolubilmente a lei, così come lui l’aveva resa sua per l’eternità. E l’amore si prese la rivincita su un fato avverso, rivincita amara e fiabesca, effimera e grandiosa.
La felicità di oggi è un cappio stretto al collo delle novità del domani. Qualsiasi movimento faccia l’avvenire, provocherà uno stato diverso da quello del qui e ora, e la felicità di adesso svanirà nell’incertezza del prossimo momento. Anche se il domani svelasse una felicità diversa (non più grande, né più piccola: non esiste un’unità di misura della felicità), chi vive quella presente non saprà che farsene di quella futura, che sembrerà celare, ai suoi occhi, le delizie tentatrici di un malefico, infido demone.
Ma la curiosità, condanna che Dante fece pendere sulla testa dell’astuto Ulisse, continua a tendere trappole insidiose a chi cerca in essa qualcosa di più e di diverso dal gusto agrodolce della scoperta. La felicità non è infatti sua discendente diretta, e se lo sguardo al nuovo, all’ignoto, ha come fine per il curioso quello di renderlo felice, la strada della scoperta probabilmente si rivelerà accidentata all’inverosimile, spesso impraticabile, impedendo in taluni casi di ripercorrerla a ritroso, incastrando l’incauto viaggiatore in uno sterile e paludoso rimpianto.
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¹ “Piccolo Sud” non è una storia, ma un archivio di ricordi fotografati in ritardo. Un omaggio alla genialità, prima ancora che alla bellezza, dell’Italia meridionale: un viaggio fra ciò che è rimasto del Sud e ciò che andato e che sta andando perso.