In sospensione

Gino sbraitava, urlava contro il cielo. Smadonnava alternando Maria a Maddalena. Per lui il peccato era stato quello d’abbattere il muro di Berlino, Baffone era lontano e Trotsky, come diceva lui:  “L’è andato e noi qua siam ancora tristi”. All’orto accanto Gisella, moglie di Primo, pregava per tutte le anime del paesino tranne che per quella di Gino, ovviamente, e per quella del Vescovo macchiatosi agli occhi della pia Gisella di aver vietato la processione di Santa Gregoria Martire Casta. Sgranava il rosario e Gino urlava, Primo in silenzio pensava ai canali da fare per piantare le melanzane. Più in fondo, in un piccolo giardino pavesato da colori sgargianti Leo si era perso dentro gli occhi vispi di Chiara che parlava e, mentre lei parlava e mentre lei muoveva le mani e mentre tutto il mondo girava frettoloso e stanco, quel giardino nascosto dalla fretta della vittoria, dalla bramosia della sconfitta, nascosto agli occhi dei tanti, dei troppi abbellitori funesti, si chiudeva dentro un sogno, dentro un desiderio celato.
Un intreccio d’anime lungo come la gestazione di un elefante  e non il tocco d’amore di un coniglietto nano. Due cuori che per la prima volta battevano seguendo lo stesso ritmo. Una canzone semplice, due accordi cuciti in croce e un’insaziabile voglia di stare uno accanto all’altra senza sfiorarsi.
C’era nell’aria un profumo di imminente, erano i fiori che dal fondo della terra recriminavano il loro posto nel mondo, erano le cicale che sarebbero ritornate a cantare, erano le serpi in quella terra di serpi che reclamavano lo scettro ceduto all’uomo contro la loro volontà . Un risveglio programmato. Una fine per un nuovo inizio. Leo pensava che la natura gli avesse insegnato questo: dopo una fine c’è sempre un nuovo inizio. Sapeva che in natura tutto finiva ma non del tutto, forse. Tutto si rigenera. L’erba tagliata da poco, altra da tagliare. I passi, prima incerti, erano diventati sicuri come la sua finta natura. Un pezzo di terra silenzioso. Leo ripensava al bimbo che era stato, a come si sarebbe divertito a lanciare la palla in aria, per il semplice e meraviglioso gusto di vederla perdersi in cielo e ridere impaurito nel guardarla ripiombare sulla terra, leggera come era diventata la sua anima, come non lo era mai stata prima.
Erano le risa di quelle anime che gli facevano venire la voglia di rivivere, di spaccare con i denti la teca che custodiva il suo cuore arso.
Il mare era lontano, i monti e i fiumi invece erano vicini e si stagliavano nel creato di fronte a lui, la bellezza assoluta era diventata per un solo infinito millesimo di secondo un viso a pois e un nasino all’insù, un corpo gracile. Stava bene Leo. Stava bene e piangeva solo quando si rivedeva ancora bambino al buio, in fondo a un corridoio bianco, rannicchiato e attaccato a una parete fredda.
Matteo raccontava le sue mille avventure e le sue mille vite. Anche lui, come quel pezzo di terra, ritornava alla vita lentamente. Leo lo guardava con profonda ammirazione. Un viso stanco ma forte comunicavano al mondo che lui era lì con le sue ossa, con i suoi muscoli ancora tesi, con il suo fare deciso, era ancora lì e ci sarebbe rimasto.
Un grumo di uomini che al sole come lucertole in amore srotolavano il proprio andare, la propria vita. Chiara aveva leggermente aperto un passaggio fra il suo cuore e il mondo e Leo ne era rimasto affascinato. Da quel cuore una serie di fasci luminosi gli avevano arrossato gli occhi, riscaldato l’anima. Gli sarebbe tanto piaciuto farsi avvolgere interamente dalle spire selvagge di quel cuore indomabile, ma non era un cuore da domare, né una donna per la quale scrivere poesie d’amore. Loro non potevano nulla, o quasi. Tutto era affidato alle loro anime che forse si erano già trovate, forse non si erano mai conosciute, poco importava.
L’erba teneva quasi in sospensione il suo corpo sgraziato, l’umidità della terra si faceva spazio fra gli steli, oltrepassava la maglia e si infiltrava facendosi assorbire dalla schiena di Leo che guardava il cielo fra i rami di un noce in fiore.
L’aria densa tratteneva le sue lacrime di gioia, la palla – ancora in aria – sarebbe ritornata sulla terra, pronta a risalire, ancora, verso il cielo.