Numero 31

Feuilleton Il passaggio in macchina – Episodio finale

di Alessandro Xenos

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“Come il mattino passi” di Ilaria Cerutti

– Bene, qui il nostro compito è finito. Mettete i soldi nella bara e ce ne andiamo.
– Finito? Nella vasca c’è un cadavere con il ventre talmente sbudellato che dentro ci si potrebbe fare una sangria e tu mi dici che avete finito. Scordatelo, restate qui fino a che non lo abbiamo riempito! Disse il piĂą vecchio del gruppo.
– Non posso aspettare che il vostro amico torni con il cotone, è fuori da quasi un’ora, chi mi assicura che non sia fuggito per la paura? Ti ricordo che il mio furgoncino è parcheggiato qui davanti, vuoi che i vicini inizino a chiedersi cosa ci fa un trasportatore funebre in una cazzo di viuzza di Montreuil a mezzanotte passata? Ragiona, è meglio se ce ne andiamo il prima possibile, e tra l’altro è quello che mi ha ordinato Sebastian prima di partire: «Il tempo di lasciare il corpo e prendere i soldi, non restare un minuto di più».
– Mi prendi per il culo? Cosa vuoi che ci facciamo con il cadavere? Sei tu il becchino, non io!
– Allora: lo riempite di cotone, lo ricoprite con un telo e lo imballate con dei sacchi della nettezza. Poi lo mettete in macchina e andate a bruciarlo da qualche parte lontano da Parigi, oppure chiamate qualcuno che possa farvi un lavoro pulito con l’acido, come vi pare, basta che sia una cosa rapida. Il tipo non ha documenti e nessuno lo reclamerĂ , se prendete le giuste precauzioni non correrete alcun rischio.
– E va bene, ma è l’ultima volta che facciamo affari con voi. Chiama quel cretino di Yakhia e digli di muoversi! disse rivolgendosi a uno dei palestrati.

Mentre il telefono squillava a vuoto, Nicolas si girò verso Claire. La vide immobile davanti alla porta, con le braccia conserte e la testa puntata contro una piccola macchia di sangue sul pavimento. Le sue palpebre erano rigonfie come una diga in procinto di collassare, al solo intendere il nome di Sebastian avevano rischiato di cedere e inondare la stanza di tutta la tensione accumulata. Fino a quel momento era riuscita a bloccare le lacrime, ma non se la sentiva di affrontare il suo sguardo, continuò a fissare la macchia. Nicolas non osò disturbarla.

– Allora? Non risponde?

Il palestrato scrollò la testa.

– Se non torna potete riempirgli la pancia con dei giornali e poi fissate il tutto con un po’ di nastro adesivo, ormai non ci dovrebbe essere piĂą molto sangue (così dicendo sapeva di mentire, all’interno del corpo ce ne dovevano essere ancora come minimo sette litri). Adesso però non perdiamo altro tempo, mettete i soldi nella bara così ce ne andiamo.

Il più vecchio del gruppo fece un segno con la testa agli altri due, con un’espressione disgustata che voleva dire «andate a prendere i soldi e dateli a questi due cialtroni». Lui stesso si era stupito della mansuetudine con cui aveva accettato di prendere ordini da un becchino. In altre circostanze non avrebbe esitato a premere il grilletto contro il soffitto per ristabilire la gerarchia, ma in quel caso la posta in gioco era troppo alta e, nonostante avesse difficoltà ad ammetterlo, i trafficanti con cui lavorava Sebastian gli incutevano un timore che andava al di là della paranoia. Si limitò quindi a guardare i 40 000 euro in biglietti di piccolo taglio passare dalla sua borsa in pelle di marca italiana a quell’orrendo parallelepipedo di legno con l’imbottitura color crema ricoperta di pizzi di cattivo gusto. Si riconfortò pensando a quanto avrebbero guadagnato rivendendo gli ovuli nei bei quartieri parigini e alla moto che si sarebbe potuto comprare, già si vedeva cavalcare la sua Agusta F4 R312 rossa e grigia come Christian Bale in The Dark Knight. Non aveva ancora l’età per guidarla, ma era proprio quest’idea a eccitarlo. Congedò Nicolas con un «Buon viaggio» che suonò come un «Andate all’inferno», chiuse la porta e batté il cinque ai suoi colleghi: stavano facendo un bel lavoro.

Claire e Nicolas trasportarono la bara fino al furgoncino guardandosi negli occhi.

– Che succede Claire?
– Entriamo in macchina, ti spiego tutto.

Una volta entrati nell’abitacolo gli raccontò della conversazione con Momo, di Sebastian e di Estelle rinchiusa in una cella del commissariato. Più andava avanti con il racconto più si rendeva conto della gravità della situazione, della voragine che si era aperta tra la sua vita di qualche ora prima e il suo futuro. L’irreparabile distruzione delle certezze precedentemente acquisite prendeva forma attraverso la sua voce, che diventava parola dopo parola sempre più grave e caduca. Riusciva a malapena a respirare. Nicolas la prese tra le braccia e la lasciò piangere per qualche minuto, prima di accendere il motore e guidare in direzione della sede dell’impresa familiare.

Imboccarono la discesa in direzione di Parigi passando da Bagnolet. Di fronte ai casermoni di cemento che sovrastavano la scuola elementare, Claire riconobbe il parco dove da piccola andava a giocare con le sorelle. Nel punto più alto, dove secondo suo padre c’era la più bella vista di Parigi della banlieue est,  qualche anno prima aveva ricevuto il suo primo «lo sai che sei davvero carina?», da un ragazzino foruncoloso che a dire il vero non le era mai piaciuto. Sbirciò questi ricordi con malinconia, sapeva che quel parco non l’avrebbe rivisto per un bel po’ di tempo. Continuarono a scendere verso la porta di Bagnolet ed entrarono nella rue Sesto Fiorentino dove abitava Mariam, una sua amica d’infanzia e sorella maggiore di Yakhia. Nell’oscurità del giardino del palazzo le sembrò di riconoscere la sagoma del ragazzo con uno zaino in spalla, ma fece finta di niente, ormai non avrebbe saputo cosa dirgli.

Quando il furgoncino arrivò nei pressi del cimitero del Père Lachaise erano le una passate. I morti si riposavano prima della prossima orda di turisti che si sarebbe accalcata all’apertura per vedere l’insipida tomba di Jim Morrison. Davanti al cancello un uomo in pantaloncini e felpa portava a spasso i suoi baffi alla Lemmy e un bassotto tedesco nano, mentre qualche metro più in là, sempre sul boulevard di Ménilmontant, i canti di un gruppo di giovani coprivano lo spleen bubolato degli allocchi. Nicolas aprì il cancello e parcheggiò il veicolo tra due carri funebri nuovi di zecca.

Mentre trasportavano la bara con i soldi all’interno del laboratorio si interrogarono su come e dove sarebbero potuti partire. Certo, con 40 000 euro in tasca avrebbero potuto fare il giro del mondo, ma non era consigliabile prendere l’aereo con così tanti contanti. Avrebbero potuto nasconderne una parte e portarsi dietro lo stretto necessario, Nicolas del resto aveva un po’ di risparmi.

– Sì, ma per andare dove?
– Potremmo andare in Africa per quel progetto di cui mi parlavi.
– In Namibia?
– Sì, poi da lì vediamo.
– Non so se è una buona idea, in realtĂ  era un progetto così, non so molto della Namibia…
– SarĂ  un’occasione per scoprirla, guardiamo qual è il prossimo volo! Ci vuole un visto?
– Non ne ho idea.

Controllarono sullo smartphone di Nicolas, non avevano bisogno di nessun visto, il primo aereo per Windhoek sarebbe partito alle 9 di mattina, 30 ore di volo con scalo a Johannesburg a un prezzo esorbitante, ma non avevano scelta, decisero di acquistarlo.

– Hai il passaporto?
– Sì, per fortuna me lo sono portato dietro.
– Perfetto, io ho il mio. Ma sei sicura che i tuoi amici non parleranno?
– Ne sono certa, Momo ha parlato con Adrien, non diranno niente della storia della cocaina.
– E la famiglia di Ruben? La gente del quartiere? Prima o poi la polizia potrebbe risalire a noi, magari vorranno interrogarti. Come lo spieghiamo che siamo partiti in Namibia il giorno dopo l’assassinio del ragazzo della tua migliore amica?
– Diremo che non eravamo al corrente, che nessuno ci aveva avvertito.
– E se controllassero le chiamate?
– Senti, Nicolas, non lo so, ci penseremo se e quando succederĂ . In questo momento ho solamente voglia di dormire, sono esausta.
– Sì, scusa hai ragione, possiamo metterci qui sul divano, vado a cercare qualcosa per coprirsi.

Quando tornò con due giacconi a vento neri e un cuscino funebre, Claire già dormiva da qualche minuto. La coprì e si accucciò dietro di lei sussurrandole che sarebbe andato tutto bene e che sarebbero stati felici insieme.

Qualche istante dopo, a circa 750 chilometri di distanza, l’ispettore Aymé aprì lo zaino di Estelle trovandovi il passaporto colombiano appartenuto a Miguel Negredo. Lo sfogliò con attenzione per circa un minuto, poi lo appoggiò sul tavolo accanto agli oggetti trovati nelle tasche di Sebastian. Le indagini cominciavano nel verso giusto. Girandosi verso la cella vide la ragazza acciambellata in un angolo, i suoi occhi erano fissi, terrorizzati e catturati da chissà quali orribili pensieri, sul volto però aveva impresso un sorriso beato e tremendamente inquietante. Una corrente di gelo fuggevole gli rimontò la schiena fino a strizzargli le ossa.

(FIN)


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