Numero 31

John Barleycorn must die

di Eva Luna Mascolino

 

“ClochArt #1” di Antonella Restagno

— Mamma, guarda! Palloncini! Sono bellissimi, ne voglio uno!
— Ma Colin, se arriviamo in ritardo alla festa il tuo amico potrebbe…
— Ti prego, mamma, ci basta un attimo, il signore che li vende sta lì all’angolo!
— E va bene, coraggio, dammi la mano.

In una Londra affollata e grigiastra di fine maggio, una trentenne sorride al bambino che si stringe a lei mentre attraversa la strada nei pressi di Piccadilly Circus.
Dal lampione e dalla grande fontana sempre assediati dai turisti fa capolino un ammasso di colori, proprio in corrispondenza di quella che qualche metro più a destra diventa Shaftesbury Ave: un vecchio signore regge nella mano sinistra un groviglio di fili che, più in alto, si trasformano in personaggi dei cartoni, animali di ogni sorta e strani figurini, mentre con la mano destra segna il tempo di una versione improvvisata della celebre John Barleycorn must die.

— There were three men came out of the west, / their fortunes for to try / and these three men made a solemn vow…
— Scusi, signore?
— Ciao, piccolino! Chiamami Matt.

Colin sorride, quando dice:

— Ciao, Matt. Avresti un palloncino per me?
— John Barleycorn must die / they’ve ploughed, they’ve sown, they’ve harrowed him in… Un palloncino, hai detto?
— Sì.
— Non hai specificato quale sia il tuo nome, però.
— Sono Colin.
— Colin, sbrighiamoci, c’è la festa di John!
— Sì, mamma.
— Oh, hai un amico di nome John, piccolo Colin?
— Sì.
— Senta, la prego…
— Sai che il personaggio di questa canzone si chiama proprio John?
— Certo, lo conoscono tutti!
—They’ve let him lie for a very long time, / ‘til the rains from heaven did fall/ and little Sir John sprung up his head and so amazed them all…
— Per favore, potrebbe dare un palloncino a mio figlio?
— Sembra che la mamma abbia fretta, eh, piccolo Colin?
— Sì, perché c’è la festa di John e io dovrei essere già lì.
— Per l’appunto, tesoro.
— Ma tu vuoi andare alla festa, Colin?
— Io…
— Cosa credi ti aspetterà di divertente, alla festa di John?
— Ci sarà molto da mangiare.
— E poi?
— E poi faremo una gara con le macchinine degli altri bambini.
— Continua.
— La mamma di John è simpatica, forse mi darà un bacio per salutarmi.
— Ma davvero?
— Sì, e John ci farà vedere di sicuro qualche film sui pirati! Lui va pazzo per i pirati.
— E a te piacciono i pirati, piccolo Colin?
— Non moltissimo, io preferisco i tirannosauri e le…
— Colin! Adesso basta!
— Signora, lei permette? Solo un minuto, mi creda. Allora, Colin, andare alla festa di John per vedere un film sui pirati non deve essere il massimo, per te.
— No, infatti.
— Ci sarà qualche altro motivo per cui valga la pena andare.
— In effetti c’è.
— Ah sì? E qual è?
— Si chiama Lise.
— Il tuo motivo per andare alla festa si chiama Lise?
— Sì. È la mia compagna di classe, noi abitiamo vicini. Fino a qualche anno fa, papà mi portava sempre di fronte a casa sua prima di andare a passeggio, così potevamo salutarci da lontano.
— Capisco. Quindi a te piace Lise, piccolo Colin?
— Sì, tantissimo.
— E il palloncino che vuoi comprare è per lei?
— Veramente, io…
— Dobbiamo scegliere qualcosa che vada bene per una femmina, non trovi?
— Non lo so, forse sì.
— A Lise farebbe piacere ricevere qualcosa da parte tua.
— È vero! Perché non ci ho pensato prima?
— Colin, santo cielo, dobbiamo andare!
— Un palloncino a forma di stella a Lise piacerebbe?
— No, non penso.
— Perché?
— Ci sono già troppe stelle dappertutto, ci serve qualcosa di meno comune.
— Secondo te le stelle non vanno bene perché sono troppe, allora?
— Bisognerebbe capire che sono tutte diverse l’una dall’altra, così ci sembrerebbero tutte belle.
— E questo palloncino a forma di stella non ti sembra diverso dalle altre?
— No, non mi sembra.
— Allora puoi sceglierne uno a forma di fiore.
— Nossignore, signor Matt.
— Perché? Fammi indovinare… Perché un fiore vero profumerebbe, ma un palloncino non è in grado di farlo.
— Esatto!
— Sei proprio intelligente, piccolo Colin. Ho io quel che fa al caso tuo.
— Cos’è?
— Aspetta un momento.

Il vecchio abbandona la tastiera e lega i palloncini al polso sinistro, poi prende un sacchetto da terra e vi rovista dentro con aria assorta.
Ne tira fuori un palloncino sgonfio, color bianco sporco.

— Non mi piace questo colore, signor Matt.
— Colin, non fare storie. Questo andrà benissimo.
— Perché non ti piace, piccolo Colin?
— Il bianco non significa niente. Mi serve un colore… Vero.
— Come il rosso, eh? O magari come il verde.
— Sì.
— Devo svelarti un segreto, però.
— Quale, signor Matt?
— Avvicìnati.
— …
— Colin!
— Ascolta bene: senza il bianco non potrebbe esistere nessun colore.
— Sul serio?
— Certo! Come vuoi che il nero diventi grigio, altrimenti? O il blu scuro celeste? O il bordeaux rosa chiaro?
— È merito del bianco?
— Come per tutto il resto.
— Per quale resto?

Il vecchio sorride, ammiccando.

— Per tutto il resto, piccolo Colin.

Colin non risponde.

— Adesso gonfierai il palloncino? — si informa, dopo un po’.
— Sì, ho già in mente una forma strepitosa.
— Di che si tratta, signor Matt?
— Aspetta e vedrai.
— Colin, maledizione, stiamo perdendo un sacco di tempo! A quest’ora saremmo già arrivati!
— Non posso più andare senza il palloncino per Lise, mamma!
— Avresti potuto prendere qualsiasi altro regalo già pronto, in questo modo stiamo…
— È pronto anche questo, signora, non si agiti.
— Vediamo?

L’entusiasmo di Colin si smorza improvvisamente.

— Ma è… È… Una farfalla.
— Non ti piacciono le farfalle, piccolo Colin?
— Sì, ma… Una farfalla bianca è ridicola!
— No, Colin, solo se dimentichi il mio segreto.
— Quello sui colori?
— Proprio quello.
— Ma Lise non capirebbe mai!
— Allora spiegaglielo tu.
— Io? E come faccio?
— Fai così: ti avvicini a lei di nascosto…
— Colin, coraggio, andiamo!
— Aspetta, mamma, aspetta! Mi avvicino a lei di nascosto…?
— Sì. E le fai vedere il palloncino portandolo proprio davanti ai suoi occhi, okay?
— Okay.
— Poi le dici: “Volevo regalarti qualcosa di speciale, ma non sapevo quale fosse il tuo colore preferito”. Tutto chiaro?
— Sì.
— “Ho pensato al palloncino bianco, perché da quello puoi generare qualsiasi colore”.
— Geniale!
— Colin, ti prego…
— Ma come le spiego la scelta della farfalla?
— Dille che hai escluso le stelle e i fiori: le une perché sembrano tutte uguali, gli altri perché non profumano.
— E poi le dico che questa farfalla, invece, è diversa da tutte le altre, perché possiamo toccarla senza che perda la sua polvere e muoia.
— Bravissimo, piccolo Colin! Hai carpito il mio secondo segreto.
— Secondo segreto? E ce ne sono degli altri?
— Oh sì, almeno un terzo.
— Wow!
— Colin…
— Vuoi sapere anche il terzo, piccolo Colin?
— Certo!
— Reggiti forte, allora… Io sono matto.
— Cosa…?
— Colin, adesso è troppo! Prenda due sterline e tenga il resto, mi scusi. Colin, reggi il palloncino. Buona giornata, signore.

Colin viene trascinato via per il braccio, si volta a guardare il sorriso sgangherato di quello strano signore finché non attraversa una, due, tre volte la strada, gira una, due volte a sinistra, poi a destra, poi dritto fino agli alberi, poi di nuovo a destra, per poi superare un ultimo incrocio e ritrovarsi davanti alla casa di John con in mano il proprio palloncino bianco sporco.
Nel frattempo, a Piccadilly si può nuovamente sentire una versione improvvisata della celebre John Barleycorn must die.

— And the loader he has served him worse than that / For he’s bound him to the cart / They’ve wheeled him around and around a field ‘til they came unto a barn / And there they made a solemn oath on poor John Barleycorn / They’ve hired men with their crabtree sticks to cut him skin from bone / And the miller he has served him worse than that / For he’s ground him between two stones…

Lo strano tipo che la suona si chiama Matt, vende palloncini ed è matto davvero. Matt il matto, così lo chiamano.
Chi passa spesso dalle parti di Shaftesbury Ave conosce la sua storia perché questa, oramai, come un segreto rivelato all’amica sbagliata, ha fatto il giro dell’isolato.
Matt il matto non è stato sempre un matto.
Da ragazzo era anche piuttosto ricco, amava la cucina italiana, fumava come un turco ed era perdutamente innamorato di una giovane greca che parlava il francese. Di tanto in tanto suonava anche il pianoforte, però si trattava soltanto di un escamotage per conquistare le ragazze, il quale,
comunque, non aveva funzionato con Teresa, la suddetta greca, che era estremamente esigente e difficile da avvicinare.
Per puro caso e per propria fortuna, Matt era venuto a sapere che a lei piaceva il golf, così aveva pagato un amico per farsi impartire alcune lezioni di base. Aveva comprato una mazza nuova di zecca, aveva affittato un campo per allenarsi in un paese nei pressi di Oxford e, dopo circa un anno, aveva invitato Teresa per una partita. Nel frattempo, però, lei aveva conosciuto un giovane soldato ed aveva scoperto la propria adorazione per le divise, cosa che aveva convinto Matt ad arruolarsi tempestivamente nell’esercito.
Anni e anni di allenamento lo temprarono, rendendolo più asciutto e più alto, più coraggioso e composto di quanto già non fosse. Smise anche di fumare come un turco e cominciò a sentirsi davvero un inglese.
Terminò di prestare servizio ad Edimburgo quando aveva ormai ventisette anni.
Non riceveva notizie di Teresa da tre anni e mezzo, tuttavia era sicuro che avrebbe saputo ritrovare Teresa a Londra, se si fosse messo sulle sue tracce, e così accadde.
Teresa era impiegata in un night-club vicino Gaunt Street: un postaccio, secondo Matt, ma lei asserì di trovarsi benissimo, quando rivide la propria vecchia conoscenza. Lo mise anche al corrente del fatto che, dal momento in cui il soldato innamorato era partito alla volta dell’America, lei aveva rinunciato a qualsiasi ambizione relazionale ed ora si divertiva semplicemente osservando le partite di biliardo dei clienti incalliti, o le interminabili sfide a poker giocate vicino al bancone. Poiché stava al proprio posto con disinvoltura e con allegria, diceva Teresa, tutti la rispettavano.
Matt le credé sulla parola, anzi, decise che sarebbe andato a trovarla spesso, finché non avesse imparato a bluffare decentemente con in mano quattro donne o a tirare la palla 10 in buca al terzo colpo di una partita doppia.
Quando vi riuscì, Teresa cominciò finalmente ad accorgersi di lui.
Non le andava ancora giù il fatto che Matt avesse quasi trent’anni, che non parlasse francese e che non si ubriacasse facilmente, perciò dovettero passare altri tre anni perché lui riuscisse a chiederla in sposa. Nel frattempo, Matt aveva imparato a ballare il tip-tap, a pescare, a vincere scommesse all’ippodromo, nonché a riconoscere dall’odore le birre tedesche, ed il matrimonio fra i due venne fissato per il diciassette giugno successivo all’ultimo Oktober Fest cui lui e Teresa avevano partecipato assieme.
La giornata era perfetta, la pioggia un’invenzione irreale di qualche visionario, la felicità ad un passo dalla chiesa ormai scelta da tempo.
Matt quel giorno arrivò in anticipo alla cerimonia, cosa che non era affatto da lui. Aveva insistito per andare a prendere Teresa fino a casa, ma c’era quella dannata tradizione del “non si può vedere il vestito della sposa prima di arrivare sull’altare”, motivo per cui Matt aveva preso un taxi ed era arrivato per primo.
Teresa si stava facendo aspettare, come tutte le spose.
Peccato solo che si fece aspettare un po’ troppo: non arrivò mai.
Per un paio di giorni si vociferò fosse scappata con un pittore rumeno (Matt non era razzista, eppure lo maledisse più di una volta), poi un poliziotto portò a domicilio la verità a casa dello sposo.
La notizia buona è che Teresa era rimasta incinta già da un paio di mesi, ma quella cattiva è che era morta sul colpo all’incrocio tra Regent Street e Bond Street, a pochi metri dalla chiesa in cui stava andando a celebrare le nozze, mentre la sua auto era ferma ad un semaforo e veniva presa in pieno da una Samoa americana, targa 7588.
Fu così che Matt il matto diventò matto.
Per mesi e mesi si perse ogni sua notizia. Qualcuno mise in giro la voce che si fosse ucciso, altri credevano fosse diventato un serial killer, altri lo davano per rinchiuso.
Quando lo si rivide in giro, fu molti anni dopo, a Piccadilly Circus.
Informandosi con chi di dovere, Matt era venuto a sapere che il brano preferito di Teresa era una canzonetta da lui sempre detestata a pelle, John Barleycorn must die, e che, per anni, il più grande desiderio della sua fidanzata era stato quello di collezionare palloncini. Nella sua casa natale a Salonicco, che Matt non riuscì mai a visitare, Teresa conservava addirittura uno scatolino con tutti i palloncini ormai sgonfi accumulati nel corso della gioventù.
Matt, pertanto, vende palloncini colorati da più di trent’anni nei pressi di Piccadilly e suona tutti i giorni, a tutte le ore, la dannata canzone di John Barleycorn. È il suo modo di onorare fino in fondo la donna che avrebbe voluto sposare.
Chi passa spesso dalle parti di Shaftesbury Ave conosce la sua storia, perché, oramai, come un segreto rivelato all’amica sbagliata, la sua storia ha fatto il giro del quartiere.

— Papà, guarda! Palloncini! Sono bellissimi, ne voglio uno!
— Ma Lise, se arriviamo in ritardo alla festa il tuo amico potrebbe…
— Ti prego, papà, ci basta un attimo, il signore che li vende sta lì all’angolo!
— E va bene, coraggio, dammi la mano.

In una Londra affollata e grigiastra di fine maggio, un trentenne sorride alla bambina che si stringe a lui mentre attraversa la strada nei pressi di Piccadilly Circus.
Dal lampione e dalla grande fontana sempre assediati dai turisti fa capolino un ammasso di colori, proprio in corrispondenza di quella che qualche metro più a destra diventa Shaftesbury Ave: un vecchio signore regge nella mano sinistra un groviglio di fili che, più in alto, si trasformano in personaggi dei cartoni, animali di ogni sorta e strani figurini, mentre con la mano destra segna il tempo di una versione improvvisata della celebre John Barleycorn must die.

— There were three men came out of the west, / their fortunes for to try / and these three men made a solemn vow…
— Scusi, signore?
— Ciao, piccolina. Chiamami Matt.

Lise sorride, quando dice:

— Ciao, Matt. Avresti un palloncino per me?
— John Barleycorn must die / they’ve ploughed, they’ve sown, they’ve harrowed him in… Un palloncino, hai detto?
— Sì.
— Non hai specificato quale sia il tuo nome, però.
— Sono Lise.
— Lise, sbrighiamoci, c’è la festa di Scott!
— Sì, papà.
— Oh, hai un amico di nome Scott, piccola Lise?
— Sì.
— Ehi, un momento! Io la conosco!
— Dice a me, scusi?
— Sì, dico a lei! Lei è il signor Matt!
— E lei chi sarebbe?
— Colin! Sono Colin, si ricorda di me? Sono venuto qui tanti anni fa, ha gonfiato per me un palloncino bianco sporco a forma di farfalla che…
— Colin! Ma certo che mi ricordo di te! Dannazione, quanto sei cresciuto, ragazzo.
— Eh già.
— E questa è tua figlia?
— Sì, lei è Lise.
— Lise? Non si chiamava così quella ragazzina per cui hai comprato il palloncino, tempo addietro?
— Proprio lei. Come fa a ricordarsene?
— È il trucco del mestiere. Non è andata granché bene con Lise, allora?
— No, lei… Ha sposato John. Sa, il mio amico, quello che festeggiava il compleanno.
— Capisco.
— In compenso, quel giorno ho incontrato Teresa.
— Teresa?
— Sì, una ragazzina vivacissima, eppure adorabile. Non sa che peripezie per convincerla a sposarmi! Pensi che ho dovuto imparare a giocare a golf, arruolarmi nell’esercito e poi bluffare a poker per mesi pur di conquistarla. Quella ragazza mi ha cambiato la vita.
— E adesso è nata Lise.
— Sì, Teresa mi disse di essere incinta il giorno in cui ci sposammo. Ora Lise ha quasi sette anni e… Vuole uno dei palloncini del signor Matt, proprio come lo volevo io da bambino!
— Oh, io so già cosa prepararle.
— Sul serio? Ricordavo facesse molte domande, prima di capire se…
— Stavolta è diverso. E qui si fa a modo mio, punto.
— Come vuole, signor Matt.

Matt il matto abbandona la tastiera e lega i palloncini al polso sinistro, poi prende un sacchetto da terra e vi rovista dentro con aria assorta.
Ne tira fuori un palloncino sgonfio color porpora.

— È il tuo colore preferito, vero, piccola Lise?
— E lei come lo sa?
— Preferisci una scimmia o un delfino?
— Oh, papà, ma come fa a sapere a cosa stavo pensando?
— Perché è una persona speciale, tesoro. Digli pure cosa preferisci, non avere paura.
— Vorrei il delfino, per favore.

Matt le consegna il palloncino dopo pochi secondi, Colin paga e ringrazia.

— Non c’è di che, figuratevi.
— Arrivederci, allora, signor Matt.
— Ciao, signor Matt.
— Arrivederci a voi…

Matt il matto resta solo, ma non riprende a suonare.
Guarda i palloncini sopra di sé con aria distratta e non riesce a smettere di ridere. Sembra abbia appena scoperto un segreto o sia diventato matto, però deve trattarsi della prima opzione, perché Matt il matto è già matto.
All’improvviso, inspiegabilmente, allenta la presa sui palloncini e lascia che volino in alto, in alto, sempre più in alto verso un sole oscurato ormai da qualche nuvolone. Poi, rovista con frenesia dentro un sacchetto raccolto da terra per estrarne un palloncino sgonfio, color bianco sporco.
Inizia a soffiare con sempre maggiore convinzione, gli dà la forma di una farfalla e riprende a sorridere. Sembra abbia appena scoperto un segreto o sia diventato matto, però deve trattarsi della prima opzione, perché Matt il matto è già matto.

— Questo è per te, Teresa, e per la nostra Lise — mormora come ad un fantasma.
Subito dopo torna a soffiare e il palloncino quasi si deforma, ormai al limite delle proprie dimensioni. Matt il matto si ferma per un solo attimo, indeciso sul da farsi.

Infine, per l’ultima volta, ride. Ride e soffia ancora, ad occhi chiusi, finché bum! il palloncino scoppia, e scoppia anche Matt il matto, così, senza un motivo apparente, diventa aria e farfalla e bianco sporco a Piccadilly Circus, in una Londra affollata e grigiastra di fine maggio che esclama:

— Non si sente più canticchiare John Barleycorn must die!


freccia sinistra freccia


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