Numero 30

Feuilleton Il passaggio in macchina – parte diciannovesima

di Alessandro Xenos

Episodi precedenti

 


“In the Swamps #4” di Bartolomeo Pampaloni

L’interrogatorio non durò più di un’ora. Estelle era esausta, le ultime domande dell’agente erano cadute nel vuoto della sua stanchezza. Le parole le uscivano lente e pesanti, aveva la sensazione di essere stata messa a testa in giù per tirarle fuori. In effetti, tra le intenzioni del poliziotto vi era proprio quella di rigirarla, raggirarla, e infine, come si dice in gergo, di farle vuotare il sacco, ma il volto cereo della ragazza e le sue risposte laconiche l’avevano convinto a rimandare il tutto a un secondo momento. L’accompagnò quindi in una cella spiegandole che avrebbe dovuto passare la notte lì, «Mi dispiace, è la procedura », le disse richiudendo la porta. Sapeva che l’indomani il suo avvocato sarebbe arrivato a tirarla fuori e che nel giro di un’ora la competenza di quell’affare sarebbe stata affidata alla polizia criminale. Aveva sperato di estorcerle una confessione rapida, che gli avrebbe assicurato una certa fama e magari, con un po’ di fortuna, una ridente carriera, ma in fin dei conti era contento di non dover fare altre ore di straordinari che non sarebbero stati pagati: in meno di quindici minuti avrebbe raggiunto il suo monolocale a due passi dalla ferrovia, una birra veloce e poi a letto per qualche ora prima del prossimo turno.

Quando ritornò nell’atrio del commissariato però fu sorpreso da un baccano inusuale per quell’ora della notte, più di venti persone si accalcavano davanti a un suo collega intimorito. Riconobbe quattro giornalisti locali, l’ispettore Aymé della criminale e il giudice Renaud, gli altri non aveva idea di chi fossero. Quando uno dei giornalisti si accorse della sua presenza l’intero gruppo si girò verso di lui, partirono decine di scatti dalle macchine fotografiche, la gazzarra ripartì più forte di prima, tutti a invocare il suo nome, neanche fosse una star del festival di Cannes. In men che non si dica l’agente fu inghiottito dalla folla che si spostava come uno sciame da una parte all’altra della stanza, gli sforzi delle autorità presenti per riportare la calma risultarono vani, solo l’intervento dieci minuti dopo di due guardie carcerarie, ex legionari, permise all’uomo di tirare un profondo respiro di sollievo, anche se le sue grane non facevano che cominciare.

In tutta questa confusione un giovane dagli occhi ancora rossi e il cappellino del Montpellier Hérault in testa, ne approfittò per avvicinarsi a Adrien e scambiare qualche parola con lui: Momo veniva in soccorso ai suoi amici. Come prima cosa aveva informato le famiglie di Estelle e Adrien della situazione, c’era bisogno di un avvocato, in seguito aveva indossato le sue scarpe da tennis e era corso fino al commissariato. Vedendo il suo amico seduto in disparte, non aveva esitato ad andargli incontro.

– Adrien, sono Momo, dov’è Estelle?
– Non lo so, un agente doveva interrogarla, forse l’ha portata in cella.
– Come interrogarla? Deve parlare prima con il suo avvocato! Comunque ci ho giĂ  pensato io a chiamarlo, dovrebbe arrivare a momenti. Mi sono permesso di chiamare anche la tua famiglia, avevo il numero di tuo sorella.
– Da quando hai il numero di mia sorella? Vabbè lascia stare, hai fatto bene ad avvertirli, qui mi sa che andrĂ  per le lunghe, sicuramente vorranno interrogare anche me. Senti, devi informare Claire e il becchino, ma non li chiamare col tuo telefono, potrebbero controllare le chiamate. Spiegale quello che è successo e di’ loro di non andare all’appuntamento, sempre che non siano giĂ  arrivati.
– Che c’entra Claire?
– Come non lo sai? Ha preso un passaggio da Nicolas, per caso, non sapeva della storia della cocaina.
– Porca puttana! Anche Claire? Lo sapevo che questa storia ci avrebbe rovinato, glielo dicevo a quell’idiota di Sebastian. Avrei dovuto fermarlo, invece mi sono limitato a tirargli un pugno e solo perchĂ© mi aveva risposto male, è anche colpa mia! (prendendosi la testa tra le mani) Non dovevo permettergli di fare affari con quel bastardo di Ruben.
– Momo, non c’entri niente, lo sai anche tu che quando Sebastian ha un’idea in testa è impossibile fermarlo. Torna a casa prima che fermino anche te e chiama Claire!

Mentre il giudice Renaud si dirigeva verso la cella di Estelle  e la folla si impadroniva di nuovo dell’agente, Momo uscì furtivamente dal commissariato. In pochi minuti fu a casa, dove trovò Rebecca che lo aspettava in cucina bevendo una tisana. In altre circostanze avrebbe nascosto la verità sviando ogni domanda, ma quella sera sentiva il bisogno di sfogarsi, di raccontarle tutto. Si mise accanto a lei e prendendole la mano le spiegò velocemente la situazione. Quando ebbe finito le chiese di prestargli il telefono per una chiamata.

– Pronto Rebecca?
– No, Claire, sono Momo. Ascoltami, qui è successo un gran casino, Estelle e Adrien sono al commissariato e Sebastian è…Sebastian è morto.
– Cosa? No, no, non è vero…

Continuando a tenere il telefono in mano Claire uscì in giardino per evitare che gli altri sentissero la conversazione. Si accasciò a terra sconvolta dalla notizia. Momo continuò il resoconto, le disse di essere prudente, di non andare all’appuntamento.

– (in lacrime) Siamo giĂ  qui! Che dobbiamo fare?
– Ok, allora non dire niente di Sebastian, mi raccomando. Prendete i soldi e andatevene velocemente, non tornate a casa, trovate un posto dove nascondervi per qualche settimana.
– Ma dove?
– Dove volete, ma lontano da Parigi e Montpellier, dobbiamo aspettare che si calmino le acque. Mi rifarò vivo io.
– Che vuol dire? Quando ti farai vivo?
– Presto, non ti preoccupare.

Si asciugò le lacrime che le erano colate sul mento, respirò profondamente e rientrò in casa. Proprio in quel momento Nicolas si stava togliendo i guanti soddisfatto di aver recuperato tutti gli ovuli. I loro sguardi si incrociarono, sapevano entrambi che era il momento di partire.

 

(continua sul prossimo numero)


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