Ali, guano e desideri
di Donatello Cirone

Le sedie erano particolarmente scomode, Lidia e Jessica si guardavano negli occhi e versavano parole inutili nell’aria come un ubriaco fa pisciando dietro una siepe morta. Un interminabile flusso di lettere che si riversavano sul pavimento e liquefatte si perdevano nella terra sterile di un campo senza fiori. Francesca le ascoltava attentamente e restava in silenzio. Litanie che cadevano nel vuoto, che sbattevano sulle mura di sabbia della loro pigra anima.
Francesca guardava fuori dalle pareti di vetro, guardava il cielo e sorrideva.
Fuori dalla sua finestra, fuori da quella stanza piena di desolazione, migliaia di storni volteggiavano, salivano scale invisibili, si arrampicavano a funi d’aria, formavano in cielo figure mitologiche. Era uno spettacolo che lasciava tutti, comprese Lidia e Jessica, senza parole. Tutte e tre le donne, chiuse al secondo piano di un edificio come tanti,  dimenticarono per un attimo il loro ruolo, la loro fragile vita. Lidia dimenticò che sarebbe tornata a casa sola, che avrebbe trovato la casa fredda, i piatti troppo puliti, la televisione spenta, le sedie allo stesso posto. Jessica dimenticò, per un solo attimo, che, appena tornata, Livio, suo marito, l’avrebbe costretta a inginocchiarsi e che le avrebbe violentemente chiuso la bocca, dimenticò che avrebbe pianto di nascosto mentre scrostava il bianco opaco dai suoi denti gialli. Francesca invece si fermò davanti alla vetrata con il capo all’insù, poggiò il palmo sul vetro e continuò a sorridere mentre gli storni continuavano la loro meravigliosa danza.
Un lungo viale spaccava la cittadella in due grandi blocchi. Dopo i primi palazzi e le prime vetrate, un asfalto intriso di pioggia e lacrime si inerpicava verso luoghi sconosciuti, verso un fiume, verso serpi in amore,  case borghesi, famiglie felici, forse. Un filo che correva verso un meraviglioso sorriso prima desiderato poi dimenticato come le ceneri di un papiro sparse in mare. Verso cascatelle allegre, curve strette, chiese sconsacrate dove fare l’amore sacrificando sull’altare dell’abitudine un grido afono. Oltre.
Davide percorreva il viale e gli storni sulla sua testa aleggiavano, l’aria accarezzava il suo viso e le loro ali morbide, un cinguettare felice accompagnava le sue gambe stanche verso un viso disegnato dalla grazia, verso lunghi capelli scuri con i quali intrecciare sogni da non avverare, sogni da vivere nell’aria come colibrì senz’ali. Un piede dietro l’altro, il respiro pesante. A metà viale, due grossi e alti alberi sulla sua sinistra addobbavano a festa l’ingresso delle Cicorie Miste, una serie di uffici ribattezzati così anni addietro senza nessuna ragionevole spiegazione. L’edificio ospitava nella sua parte sinistra la redazione di un giornale di gossip: “Al cuor non si comanda…” e nella sua ala destra gli uffici di una grossa multinazionale, la Pig House S.P.A.
Davide oltrepassò le Cicorie Miste senza riuscire a non sporcarsi le scarpe, macchiandole di escrementi lasciate a terra dagli stormi ospiti serali dei due imponenti alberi, le oltrepassò non curante di questo. Vederli in volo ripagava di tutto. Passò un paio di incroci, poi si sedette su di una panchina e, dopo aver pagato il biglietto a madre natura, si godette lo spettacolo dello stormo di storni sulla sua testa, si godette anche quella sera, come aveva fatto nelle sere precedenti, le avventura acrobatiche di quelle eccezionali creature donate da un Dio innamorato.
Dopo un paio di settimane il Direttore dell’imperante bellezza della cittadella decise che nessuno più doveva macchiarsi le scarpe o peggio ancora le vesti con gli escrementi di quegli animalacci puzzolenti e così riuscì a ucciderne una parte con vari e cruenti metodi. I sopravvissuti scapparono lontano.
In quello stesso periodo trovarono Jessica senza respiro, Livio in cucina in una pozza di sangue. Lidia non pianse e continuò a trovare la casa fredda, i piatti troppo puliti, la televisione spenta, le sedie allo stesso posto. Francesca invece continuò a sorridere.
Davide si sarebbe seduto su altre panchine e avrebbe trovato altri stormi da ammirare in silenzio.