Quella gabbia fatale chiamata felicità – Prima parte
di Ferninando Morabito

“Piccolo Sud #33” di Emiliano Cribari1
La felicità di oggi è un cappio stretto al collo delle novità del domani. Qualsiasi movimento faccia l’avvenire, provocherà uno stato diverso da quello del qui e ora, e la felicità di adesso svanirà nell’incertezza del prossimo momento. Anche se il domani svelasse una felicità diversa (non più grande, né più piccola: non esiste un’unità di misura della felicità), chi vive quella presente non saprà che farsene di quella futura, che sembrerà celare, ai suoi occhi, le delizie tentatrici di un malefico, infido demone.
Ma la curiosità, condanna che Dante fece pendere sulla testa dell’astuto Ulisse, continua a tendere trappole insidiose a chi cerca in essa qualcosa di più e di diverso dal gusto agrodolce della scoperta. La felicità non è infatti sua discendente diretta, e se lo sguardo al nuovo, all’ignoto, ha come fine per il curioso quello di renderlo felice, la strada della scoperta probabilmente si rivelerà accidentata all’inverosimile, spesso impraticabile, impedendo in taluni casi di ripercorrerla a ritroso, incastrando l’incauto viaggiatore in uno sterile e paludoso rimpianto.
Vi erano un tempo due giovani innamorati, immersi in un rapporto pieno e simbiotico, in una di quelle storie che, con l’energia e l’ingenuità tipiche della gioventù, non sembra lasciare al futuro altra via che quella di una felicità immutabile ed eterna. La giovinezza è forse il terreno più fertile in cui far germogliare i semi della curiosità, e i due amanti, per quanto pienamente felici nel loro presente, non potevano sottrarsi ai capricci della loro età. La notizia di quella strana figura, che rimbalzava ormai di casa in casa, non li lasciava indifferenti, stuzzicando la loro voglia di avventura, poiché addentrarsi nelle pieghe del domani è per molti giovani eccitante come un tuffo nel vuoto.
Di giorno in giorno, il richiamo dell’ignoto era costantemente più forte per quei due innamorati che, inizialmente per scherzo e poi via via sempre più seriamente, iniziarono a prendere in considerazione l’idea di rivolgersi all’indovina. Era soprattutto Mirka, con tutto il furore dei suoi sedici anni, a provare l’irresistibile impulso di recarsi in quell’antro misterioso per visitare quella donna che forse, chissà, avrebbe potuto illuminarla sul suo futuro, mediante benevoli consigli e preziose anticipazioni. Ernest, di un anno più grande, non avrebbe mai voluto dare un dispiacere alla sua ragazza, ma dentro di sé temeva quella misteriosa figura, di cui nella sua famiglia si parlava con malcelato terrore.
Tutti i profeti della Bibbia hanno un’innegabile bontà di fondo! esclamava una sempre più insistente Mirka, gonfia di nozioni da Catechismo filtrate con la sola, flebile cernita delle illusioni adolescenziali. Tale debolissima argomentazione era innalzata al livello di irrefutabile prova scientifica al cospetto di Ernest, la cui incapacità di aderire con pieno vigore alla proposta della sua fidanzata finiva con l’affliggerlo, di giorno in giorno, con sempre maggior violenza. Egli non dormiva ormai da giorni e fu proprio la stanchezza, probabilmente, che lo portò a cedere. Del resto, lui e Mirka non sapevano che le pagine della Bibbia da interrogare, per avere una risposta alla loro disputa, erano altre e si trovavano pressoché all’inizio del libro più letto del mondo.
(continua nel prossimo numero)
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¹ “Piccolo Sud” non è una storia, ma un archivio di ricordi fotografati in ritardo. Un omaggio alla genialità, prima ancora che alla bellezza, dell’Italia meridionale: un viaggio fra ciò che è rimasto del Sud e ciò che andato e che sta andando perso.