Gocce di caffè
di Donatello Cirone

Ogni centimetro quadrato di quel materasso lavorava per la sua comodità, sessantacinque chili distribuiti su un corpo lungo un metro e settantatré, il resto era bello nella sua normalità, tutto era ben proporzionato. Ventitré anni e un sorrisone pieno di vita, pieno di speranza e di voglia d’amore. I sogni erano semplici: il sabato sera a ballare, la domenica triste, il venerdì mattina con nonna Lisa a fare la spesa, ogni tanto al mare, qualche volta un vero orgasmo, spesso un abbraccio, a volte un bacio strappato, tante carezze. Voleva una vita semplice Caterina, voleva comprarsi la macchina, andare a vivere da sola, indossare il pigiama di pile e bere le sue tisane rilassanti, organizzare una maratona di “Una mamma per amica” e guardarla con Martina.
Si svegliava in piena notte, sudata, con il respiro affannato dopo l’incontro, in sogno, di qualche demone di passaggio. La stanzetta tutta rosa la tranquillizzava. Infilava la testa sotto il piumone, al caldo e si riaddormentava pensando alla mattina che sarebbe arrivata, alla luce che si sarebbe spezzata, in parte, sulle sue persiane, al dolce bacio che avrebbe ricevuto.
Anna come tutte le mattine usciva all’alba e correva felice verso casa di Caterina, prima della fabbrica, delle colleghe acide, del capo, della desolazione, della solitudine, prima di tutto il resto c’era da abbracciare quel corpo gracile, lungo un metro e settantatré. Apriva la porta con delicatezza, senza far rumore. Preparava il caffè e ne beveva un sorso, poi lasciandosi qualche minuscola gocciolina sulle sue labbra correva in camera da letto…Continue reading
Feuilleton Il passaggio in macchina – parte diciasettesima
di Alessandro Xenos

Mentre il furgoncino entrava nel péripherique parigino, Claire ripensò alle gite fuori porta che faceva con la sua famiglia quando era bambina. Quella fitta corolla a tre corsie, non tanto tempo prima, era stata per lei un immenso affluente del mondo in cui tuffarsi per raggiungere destinazioni ignote al di fuori della bolla metropolitana. Nel ripercorrerla in senso inverso, provò invece una nota di nostalgia, ma soprattutto un greve magone che si allargava a mano a mano che si avvicinavano alla loro destinazione. Conosceva bene le strade della periferia est di Parigi, ma non aveva mai sentito parlare dell’impasse dei lillà e la cosa non la rassicurava. Il GPS indicava che mancavano 8 minuti all’arrivo quando varcarono il semaforo della porta di Montreuil. Nicolas riprese a parlare della sua vita da trasportatore funebre raccontandole qualche aneddoto divertente, capiva che Claire aveva bisogno di distrarsi. Le strappò una risata rumorosa e uno
«scemo» che suonò nella sua testa come una dichiarazione d’amore. Quando arrivarono davanti al numero 14 dell’impasse avevano lo spirito leggero. Nicolas le prese la mano e la strinse nella sua. Le disse di stare seduta e di non preoccuparsi, ché al limite la signora Noiret sarebbe stata contenta di condividere con un giovanotto come lui la sua bara. Claire lo fulminò con lo sguardo e lasciando la presa della mano aprì la portiera.
– Vengo con te.
– Shhh, parla piano. Dai, ti prego, resta in macchina.
In quel momento una luce si accese da sopra il cancello e delle voci di uomini riempirono la stradina. Quando la porta si aprì, ne uscirono quattro ragazzotti che dovevano avere al massimo 16 anni dal passo deciso e l’atteggiamento da gangster. I loro occhi luccicavano nel buio e il loro vestiti emanavano un forte odore di marijuana…Continue reading
Mio padre
di Iacopo Accinni

Sono ebreo ortodosso. Un tempo forse praticante. Mai per mia volontà. Mio padre è il fratellastro di mia madre e ha sempre avuto una folta barba, ormai non più così tanto grigia. Mio padre ha sempre amato il calcio e tifato Manchester United, anche se da sempre viviamo a Parigi. Mio padre è diventato ricco, diciamo, commerciando ceci con dei sauditi oltre il péripherique. Farina di ceci, per l’esattezza, che viene principalmente utilizzata per fare l’houmous. Mio padre la vende all’ingrosso in tutta la Francia. Dunque, siamo diventati borghesi ortodossi benestanti, secondo una delle solite definizioni di mio padre. C’è una definizione per tutto, tranne che per Dio, ha sempre insinuato. Una volta, in classe, il maestro mi interrogò chiedendomi cosa fosse la borghesia? Io risposi, convinto, che borghesi sono quelle persone che hanno paura o si annoiano. E questo è anche quello che papà, per dir non poco spazientito, mi ha sempre ripetuto ogni volta che doveva andare a ricercare il libello per le fatture nel suo ufficio. Chissà perché quelle scartoffie andavano sempre a finire in fondo al cassetto. Mio padre ha sempre preteso che uno dei suoi cinque figli dovesse un giorno succedergli nel business della farina di ceci. Io ho studiato il talmud come tutti gli altri fratelli, ma non ho mai minimamente pensato di essere uno dei diretti interessati. Con mio padre abbiamo vissuto per lungo tempo in un appartamento di cinquanta metri quadri circa. Lo stretto necessario ed un computer. Nel quartiere siamo stati tra i primi a possederne uno…Continue reading
Perché a vent’anni è tutto ancora intero
di Gaia Tomassini

Odio dovermi trasferire. Lo odio. E non perché mi dispiace per le mie radici, per i miei amici che conosco da una vita, perché qui davvero mi sento a casa e tutte quelle storie là. No, tutto questo se deve restare resta, Rachele e Lorenzo mi verranno a trovare a Firenze e io tornerò qui quando potrò; quello che odio davvero è avere la casa piena di scatoloni, dover mettere via ogni cosa per poi, tra tre settimane, rimettere in ordine a Firenze. Quel che è peggio, odio il fatto che mia mamma scelga autonomamente cosa tenere e cosa buttare, senza peritarsi di informarmi della sorte delle mie cose. E’ da qualche giorno che appena la mamma esce entro in azione io, mi metto a riaprire gli scatoloni per vedere cosa c’è dentro e cosa ancora va messo via. Faccio particolare attenzione a quelli contrassegnati con una “X”: dentro ci sono le cose che andranno buttate quando partiremo definitivamente; ho già salvato da morte certa un mio vecchissimo pinguino di peluches e un mp4 del secolo scorso.
Oggi mi sono imbattuta in una serie di foto e oggetti mai visti, direttamente arrivati dai gloriosi vent’anni della mamma. A vederla ora non si direbbe mai, ma un tempo era dark, fumava e passava da una festa all’altra; secondo me si è pure drogata qualche volta, ma questo zia Julie non me lo dirà mai. Zia Julie in realtà non è mia zia, si è guadagnata questo titolo nel tempo: è l’ombra della mamma, la gemella, la migliore amica, la “ho-combinato-un-casino-mi-devi-aiutare”-“ok-va-bene”; insomma, c’è sempre stata. La conosco fin da quando sono piccola, l’ho vista con almeno sette uomini diversi nel corso del tempo, ma nessuno è mai arrivato a festeggiare accanto a lei due Natali di fila. Zia Julie continua a dire che per l’amore eterno c’è tempo e io le credo. Tanto se anche la contraddicessi mi risponderebbe che a sedici anni non si capisce niente e che da lei ho solo da imparare. Sarà….Continue reading
La linea della vita
di Giampaolo Giudice

Ci sono linee nella sua mano
che sono una mappa per
perdersi.
Sotto un cielo di lampi
il giorno della notte.
Guardare la pioggia dalla stanza
in cui vanno a riposare le cose
perdute…Continue reading
La trota confonde l’esca con l’amore
di Ferruccio Mazzanti

Mio fiume,
ora che il mondo sfoca,
a lungo sulle strade fosse
in cui scorron
le tue labbra,
per tutto il folle
silente fluire,
nella notte fischia
il triste,
e sorregge…Continue reading