Numero 28

Feuilleton Il passaggio in macchina – parte diciassettesima

di Alessandro Xenos

Episodi precedenti

 

“E sognò di andare via” di Nicola Lonzi

Mentre il furgoncino entrava nel péripherique parigino, Claire ripensò alle gite fuori porta che faceva con la sua famiglia quando era bambina. Quella fitta corolla a tre corsie, non tanto tempo prima, era stata per lei un immenso affluente del mondo in cui tuffarsi per raggiungere destinazioni ignote al di fuori della bolla metropolitana. Nel ripercorrerla in senso inverso, provò invece una nota di nostalgia, ma soprattutto un greve magone che si allargava a mano a mano che si avvicinavano alla loro destinazione. Conosceva bene le strade della periferia est di Parigi, ma non aveva mai sentito parlare dell’impasse dei lillà e la cosa non la rassicurava. Il GPS indicava che mancavano 8 minuti all’arrivo quando varcarono il semaforo della porta di Montreuil. Nicolas riprese a parlare della sua vita da trasportatore funebre raccontandole qualche aneddoto divertente, capiva che Claire aveva bisogno di distrarsi. Le strappò una risata rumorosa e uno « scemo » che suonò nella sua testa come una dichiarazione d’amore. Quando arrivarono davanti al numero 14 dell’impasse avevano lo spirito leggero. Nicolas le prese la mano e la strinse nella sua. Le disse di stare seduta e di non preoccuparsi, ché al limite la signora Noiret sarebbe stata contenta di condividere con un giovanotto come lui la sua bara. Claire lo fulminò con lo sguardo e lasciando la presa della mano aprì la portiera.

– Vengo con te.
– Shhh, parla piano. Dai, ti prego, resta in macchina.

In quel momento una luce si accese da sopra il cancello e delle voci di uomini riempirono la stradina. Quando la porta si aprì, ne uscirono quattro ragazzotti che dovevano avere al massimo 16 anni dal passo deciso e l’atteggiamento da gangster. I loro occhi luccicavano nel buio e il loro vestiti emanavano un forte odore di marijuana.

– Ma tu non eri in classe con mia sorella? disse il più alto dei quattro, rivolgendosi a Claire.
– Non so, come si chiama?
– Sì, wesh, ti riconosco, sei l’amica di Mariam, sei a venuta a casa nostra qualche volta, wesh!
– Ma sì, Yakhya! Mi ricordo eccome, cavolo come sei cresciuto, non ti avevo riconosciuto. Che ci fai qui, non stai più a Bagnolet?
– E chi si muove, wesh, siamo condannati a stare in quel posto. Qui ci vengo per lavorare con i miei colleghi…
– Stai zitto cretino! intervenne quello che sembrava essere il più anziano del gruppo.
– Tranquillo, è una tipa a posto. Che ci fai qui? Non credevo che ti occupassi di queste cose?
– No, infatti accompagno il mio amico che mi sta dando uno strappo a casa. Sto a Montpellier ora, sai? Ci si sta davvero bene, altro che Parigi!

A questo punto il più anziano si mise tra i due e con un gesto della mano interruppe la conversazione.

– Basta cazzate, cerchiamo di fare veloce. Tu sei il becchino mandato da Sebastian, giusto? Dov’è la coca?
– È nella bara, ho ordini di lasciarvela e prendere i soldi.
– Sì, sì, con calma, intanto apri il bagagliaio e verifichiamo che ci sia tutto.

Gli altri due ragazzotti dalla testa rasata e i muscoli ben in vista, si avvicinarono al retro del furgoncino, Nicolas indicò la bara in cui giaceva il corpo di Miguel Negredo e dette loro una mano a tirarla fuori. Nonostante i bicipiti e tricipiti fu necessario l’intervento di Yakhya per portarla all’interno della casa, sembrava riempita di mattoni. La sistemarono a pochi passi dall’ingresso e chiusero tutte le finestre, aggrottando la fronte per nascondere l’eccitazione del momento. Ma quando Nicolas aprì la cassa, tutti e quattro fecero un salto all’indietro.

– Che cazzo è questo?! urlò Yakhya.
– Che significa? Ci prendi per il culo? esclamò il più anziano.
– No, come stabilito vi ho portato Miguel Negredo, il tipo che si è mangiato la coca.
– Che cazzo dici? Che ce ne frega a noi di chi è questo pelato?
– Non vi ha detto niente Sebastian? È un « mulo ». Ha trasportato la coca direttamente dalla Colombia, ma non ha avuto fortuna, un sacchetto si è aperto mentre arrivava in Francia ed è morto. Tutti gli altri ovuli sono intatti comunque. Sebastian mi ha detto che ce ne dovrebbero essere 184, cioè 1 chilo e 700 grammi in tutto.
– È uno scherzo vero? Io non mi metto a sbudellarlo! intervenne uno dei due palestrati.

Nel frattempo il più anziano aveva tirato fuori una pistola dalla cinta.

– Va bene, ma restate qui con noi finché non abbiamo tirato fuori tutta la coca. E comunque questo lavoro lo dovete pagare, il prezzo non è più lo stesso.
– In realtà il lavoro è compreso nel prezzo, Sebastian mi ha detto che ve l’ha fatta pagare la metà proprio per questo. È una coca purissima, non se ne trova così facilmente a Parigi, disse Nicolas restando impassibile.
– Beh, puoi chiamarlo e dirgli che le condizioni sono cambiate, doveva avvertirci prima. Non vi diamo più di 30 000.
– Questo lo devi vedere direttamente te con lui, io non sono autorizzato a trattare. Hai il suo numero puoi chiamarlo.

Il ragazzo non replicò ulteriormente, tirò fuori dalla tascha il cellulare e selezionò il numero di Sebastian.

La suoneria antiquata del telefono risuonò per una decina di secondi nell’atrio del commissariato dove Estelle stava aspettando di essere interrogata. Tutti i presenti si guardarono intorno, poi rivolsero lo sguardo verso di lei quasi simultaneamente. Con dei singulti che sembravano uscire dall’oltretomba affatturava la stanza, piegando il tempo al suo malessere. L’agente più esperto prese la busta di plastica in cui erano stati raccolti tutti gli oggetti di Sebastian e la portò in un’altra stanza. Poi tornò verso Estelle.

– Signorina, le faccio le mie più sincere condoglianze. Mi dispiace per la trafila a cui dovremo sottoporla stanotte, ma capisce, dobbiamo sapere cos’è successo in quell’appartamento. Se non se la sente, posso chiamare personalmente la famiglia del defunto per avvertirli.
– La ringrazio agente, ma preferisco chiamarli io, poi non parlano francese, non la capirebbero.
– D’accordo, come vuole, le lascio il tempo di fare la telefonata e poi se non le dispiace dovrebbe seguirmi nell’altra stanza, le devo fare qualche domanda.

Estelle annuì e si allontanò di qualche passo per chiamare la madre di Sebastian. L’agente si avvicinò quindi ad Adrien.

– C’è qualcun altro che dovremmo avvertire? Il defunto abitava solo?
– No, ha cinque coinquilini, li chiamo io…

Tirò fuori il suo smartphone e pronunciò il nome di Momo, la chiamata partì automaticamente.

– Pronto Adrien, che succede?
– Ciao Momo, mi dispiace disturbarti a quest’ora, ma ho una brutta notizia da darti. Puoi venire al commissariato?
– Che è successo? È per via di Sebastian, che ha fatto ancora? Sta bene?
– Si tratta proprio di questo, è meglio se te lo dico a voce.
– Dimmi che è successo, ora!
– È morto.

Dall’altro capo ci fu un lungo silenzio, poi la chiamata venne interrotta. Momo lasciò cadere il telefono sul letto, iniziò a gridare, a prendere a pugni il muro, a liberare tutta la rabbia latente che risiedeva nel suo animo, i fantasmi di Marsiglia tornarono ad abitarlo con una violenza inaudita. Quando Rebecca, la coinquilina veneta, aprì la porta della sua stanza, lo trovò in ginocchio con la testa appoggiata alla parete, esausto, con la maglietta piena di lacrime e le nocche ricoperte di sangue. L’orologio segnava le 23 e 35.

(continua sul prossimo numero)


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