Gocce di caffè
di Donatello Cirone

Ogni centimetro quadrato di quel materasso lavorava per la sua comodità, sessantacinque chili distribuiti su un corpo lungo un metro e settantatré, il resto era bello nella sua normalità, tutto era ben proporzionato. Ventitré anni e un sorrisone pieno di vita, pieno di speranza e di voglia d’amore. I sogni erano semplici: il sabato sera a ballare, la domenica triste, il venerdì mattina con nonna Lisa a fare la spesa, ogni tanto al mare, qualche volta un vero orgasmo, spesso un abbraccio, a volte un bacio strappato, tante carezze. Voleva una vita semplice Caterina, voleva comprarsi la macchina, andare a vivere da sola, indossare il pigiama di pile e bere le sue tisane rilassanti, organizzare una maratona di “Una mamma per amica” e guardarla con Martina.
Si svegliava in piena notte, sudata, con il respiro affannato dopo l’incontro, in sogno, di qualche demone di passaggio. La stanzetta tutta rosa la tranquillizzava. Infilava la testa sotto il piumone, al caldo e si riaddormentava pensando alla mattina che sarebbe arrivata, alla luce che si sarebbe spezzata, in parte, sulle sue persiane, al dolce bacio che avrebbe ricevuto.
Anna come tutte le mattine usciva all’alba e correva felice verso casa di Caterina, prima della fabbrica, delle colleghe acide, del capo, della desolazione, della solitudine, prima di tutto il resto c’era da abbracciare quel corpo gracile, lungo un metro e settantatré. Apriva la porta con delicatezza, senza far rumore. Preparava il caffè e ne beveva un sorso, poi lasciandosi qualche minuscola gocciolina sulle sue labbra correva in camera da letto a baciare la sua Caterina. A quel contatto il suo sorriso si schiudeva come un pulcino che non sarebbe diventato cotoletta ma gallo libero e canterino. Anna, come ogni mattina, si emozionava, quel sorriso le sarebbe bastato per tutto il giorno, le avrebbe dato la forza per buttare giù rimproveri inutili, chiacchiere vuote e soprusi privi di umanità. Una carezza. Fuori il vento. A lavoro tutt’e due fino a sera.
XVII° Congresso “Prostata: eiaculazioni frequenti possono allontanare il rischio di tumore?”
3 marzo, Palazzetto Maroni.
Accanto al tavolo dei relatori, un ragazzo sulla trentina suonava un clavicembalo colorato, accanto a lui una ragazza in piedi. Ferma. Vestita con un tailleur rosso porpora sorrideva, non emetteva suoni, un respiro delicatissimo. Un viso bianco smunto comunicava agli uditori la sua stanchezza, le undici ore passate in quella posizione si facevano sentire. Ogni tanto il clavicembalista gli porgeva dell’acqua. Le ore passavano lentamente. Caterina alla dodicesima ora da manichino cadde a terra, la posero nello sgabuzzino, si riprese in tarda notte, tornò a casa dal suo materasso, dalla sua stanzetta rosa, si addormentò. Non la pagarono.
Fiera del Pezzo di ricambio
8 marzo, Saletta Simone de Beauvoir, Via delle Suffragette, numero 1748.
Una bellissima bacheca verde ospitava tutte le copertine dei calendari della rivista: “Il camionista romantico”. Una serie di foto dove gentil donzelle, eccezionalmente belle, mostravano in pose osé le loro grazie, i loro morbidissimi contorni, approdi dove vivere felici. Un signore sulla cinquantina, davanti alla foto di Dicembre ‘93, la famosa Babbanatale dalle gote rosse si commosse, gli tornarono alla mente quei tempi e quanto fosse facile trovare compagnia nelle aree di servizio di Milano. Le prime nigeriane. Piangeva con discrezione ricordando il suo trattore rosso, sua moglie giovane e a casa, la nascita, proprio quell’anno, della sua primogenita. Caterina in lingerie verde passava fra gli intellettuali del bancone 71 – Incontri e autogrill – a offrire sigari beneventani. A sera si vestì, tornò a casa e si addormentò coccolata dal piumone.
Incontri: “La tua anima persa fra il mare e la religione”.
11 marzo, Sala della riffa, Grugnano sul Sacro.
Un lunghissimo abito bianco incorniciava il corpo di Caterina in un’immagine di pace, una Venere profumata di santità. Seduto al tavolino delle bibite, uno dei relatori, si era quasi scolato l’ultima bottiglia di Nikka. Sotto il tavolo un cantante lirico si esercitava facendo gorgheggi. Caterina, con un vassoio di argento 800, passeggiava lentamente distribuendo letture sacre, cioccolatini e biscotti della fortuna. Alla settima lettura sacra e dopo un paio di apparizioni si chiuse quella splendida giornata. Tutti rientrarono a casa, il relatore innamorato del Nikka bucò uno stop e si portò dietro l’anima persa di un passante ateo.
Consigli: “IDROCOLONTERAPIA – Facciamola tutti insieme”
17 marzo, Stanza degli ovini, Via Dolly 33, Pietà sul Tò.
Il lettino era freddo, una bella maglietta rosa – stessa tonalità di colore delle pareti della sua stanzetta – bardava il mezzo busto di Caterina, indossava solo quella, messa su di un fianco con le gambe e il resto nudo teneva gli occhi chiusi. Una lunghissima linea rossa di imbarazzo le divideva il viso a metà mentre una sondina freddissima le entrava dentro. Le spettatrici in silenzio commentavano con gli occhi, invidiose, e cercavano macchie di pelle a buccia d’arancia sulle gambe giovani di Caterina ma senza successo. La giornata fu lunga, infinite corse fra il lettino e il water.
A sera si ripulì alla meglio e indossò un pannolone per evitare spiacevoli sorprese. ll viaggio in bus era lungo e ne avrebbe cambiati tre.
Arrivò a casa che erano passate le undici, posò le buste con i gadget che avrebbe dovuto restituire l’indomani, si fece una doccia e si sedette sul divano e, mentre distrutta si stava per riaddormentare, le tornò sulle labbra il sapore buono del caffè. Anna dall’altra parte della città dormiva. La moka ancora da lavare.
Questo racconto chiude la trilogia: “Anime fondate sul lavoro”
Precedenti racconti:
The badge

Giorno 24 – Badge 25
I piedi si intrecciavano uno dietro l’altro, pestavano tutto quello che incontravano senza pietà, con forza si scontravano contro la suola che si deformava a ogni colpo, non erano colpi d’amore, quelli che fanno restare fermo il cuore, che gonfiano vene e polmoni, ma colpi violenti, senza clemenza. La pianta del piede di Sergio si arrossava, bolle si gonfiavano come palloncini in bocca a pagliacci muti, i tendini si allungavano con innaturalezza, le cosce invece si indurivano, sudava fra le chiappe, il sudore colava suicida e si incanalava, la fronte luccicava, la barba ispida si ammorbidiva. Una lunga corsa verso quel movimento fulmineo, un richiamo primordiale alla magia della creazione, il badge che striscia fra due lembi d’acciaio che si schiudono, un bip, un orario, un brivido lungo la schiena. La giornata inizia:
– Portami il caffè!
– Sì, sissignore capo Dottore!…Continue reading
Uomi pazienti in attesa

Il numeratore, attaccato alla destra dell’ingresso, smistava i clienti nelle varie stanze. Tre casse aperte e un continuo flusso di faccendieri si intrecciava con le ombre di salumieri vestiti di bianco, assistenti salumieri con il camice blu e gli aiuto assistenti salumieri con un camice verde cavalletta che saltellavano fra le varie stanze spostando coltelli, casacche, bolle di trasporto, scatole piene di cartacce da buttare. Tutti a pulire ferri, lucidare lame, lettini e poltrone.
Una voce metallica fra un numero e l’altro restava muta come se aspettasse di dire altro, i clienti entravano nelle loro rispettive stanze al cospetto dei salumieri che tagliavano a seconda del cliente l’insaccato giusto, lo fotografavano. Un omino vestito di giallo calibrava la lama che scendeva implacabile su quei pezzi di carne, a volte viva, a volte stagionata e affettava finemente. Il salumerie, voyeur d’occasione, osservava e prendeva appunti. Riguardava le foto e scriveva su carta intestata le proprietà dell’insaccato, la temperatura che avrebbe dovuto avere il vino per accompagnarlo, quale pane usare, dove e con chi mangiarlo…Continue reading