Escursione a Vathopsaro
di Michele Protopapas

«Smettila! Non pago questa “carretta” cinquemila euro a settimana per farmi dire dove andare!»
Elen decise di lasciare sfogare il suo fidanzato.
«Sono solo trovate pubblicitarie – riprese Mark – spiagge vietate, strani avvistamenti, misteriose sparizioni, tutti stratagemmi del governo greco per attrarre più turisti. E non dirmi che ti dispiace mangiare pesce fresco ogni giorno. Carl mi ha detto che qui non viene quasi nessuno e si trovano pesci da record. Hai visto la foto con la ricciola incorniciata in bella vista a casa sua? Beh, io voglio batterlo!»
«Fa come vuoi, ma io resto in barca» sentenziò Elen allontanandosi verso prua dove era solita distendersi per esporre il suo corpo ai raggi solari, incurante che la sua pelle, d’inverno bianca come il latte, non potesse raggiungere una diversa sfumatura di arancione rispetto a quella che già mostrava.
Mark aveva indossato la muta ed era pronto a immergersi: «Vado a pescare il pranzo, anche se meriteresti i panini di McDonald’s» disse, poi si lasciò scivolare dentro l’azzurro di quelle acque. Si convinse ancor più che quel tuffo valeva bene una multa: il fondale della baia di Vathopsaro brulicava di pesci.
Dopo qualche ispezione tra gli scogli sommersi notò un’ombra dileguarsi all’interno di una spelonca quasi invisibile dall’esterno. Mark la seguì. Alghe bioluminescenti non rendevano necessaria la torcia in quella caverna sottomarina e strani crostacei si eclissavano sotto la sabbia al suo passaggio. Era veloce, ma infine Mark raggiunse quello che poteva essere il pesce da trofeo da sbattere metaforicamente in faccia all’amico quando si sarebbero rivisti. Stavolta gli era vicino, bastava aggirare un ultimo scoglio in senso contrario a quello della sua preda e l’avrebbe raggiunta. Tolse la sicura al fucile e con un deciso colpo di anca e di pinne si preparò all’imboscata. Superata la roccia quello che vide fu in realtà qualcosa di enorme e affusolato, forse la parte posteriore di una grossa cernia, ma coperta di squame ossee troppo grosse per essere di quel tipo di pesce. Accanto a quella vi era un’altra di quelle cose che si muoveva con lo stesso sinuoso ritmo della prima, e poco più lontano altre due. I loro moti erano troppo sincronizzati per trattarsi di individui differenti, e difatti alzando lo sguardo Mark vide solamente una grande macchia squamosa che occupava tutto il suo spazio visivo. Capì. Quelle che aveva visto non erano code di cernie, bensì pinne attaccate a un corpo immenso. Mark riconobbe quella creatura, sembrava il plesiosauro visto in un documentario sul mostro di Loch Ness. Si sentì fortunato nel ricordare d’aver letto che si nutriva solo di pesci.
Il rettile vide un’ombra comparire da dietro uno scoglio e avvicinarsi alla sua pinna, pensò che si trattasse di una grossa cernia, anche se di forma più longilinea. Aveva fame e non diede importanza a ciò e neanche al fatto che la pelle della sua preda fosse particolarmente indigesta. Ricordò comunque di aver già gustato un simile strano pesce.
Mark non fu più ritrovato. Elen giurò che mai più sarebbe andata a Vathopsaro, ma non fu fedele alla sua promessa: l’anno seguente ci tornò con Carl.