Un biglietto sotto la porta
di Fiorella Malchiodi Albedi

Lunedì sera ero sul divano, a guardare il profilo degli alberi contro il tramonto, come faccio spesso da quando abitiamo in questa casa che dà sul parco. Ho detto abitiamo? Già , la forza dell’abitudine. Ormai dovrei dire: da quando abito in questa casa.
“A cosa pensi?” mi chiedeva Fabrizio, quando mi trovava sdraiata sul divano, lo sguardo fisso sugli alberi. Non sapevo rispondere che: “A niente”. Mi guardava sospettoso, pensava che mentissi e stessi inseguendo chissà quale fantasia, ma non era così. D’altra parte nessuno mi crede mai, quando dico che c’è troppo rumore nella mia testa, e anche troppi colori. Che a volte ho bisogno di silenzio, e anche di un grigio, magari sfocato, su cui il mio sguardo possa sostare, perché il frastuono e i toni accesi della vita diventano a un tratto un peso insostenibile. Così ho imparato a immergermi in un’immagine, finché tutto il resto svanisce e la mia ansia si allevia. Gli alberi al tramonto, fuori della finestra, sono l’oggetto ideale. La luce gradualmente diminuisce, i colori si smorzano, e così la confusione nella mia testa, e quando il buio è completo, anche i miei pensieri si placano e sono finalmente in pace.
Lunedì ero lì, che guardavo il cielo farsi sempre più scuro, quando il telefono ha preso a squillare. “Sarà certamente Fabrizio” ho pensato, ma non avevo nessuna voglia di parlargli, così ho aspettato che smettesse. Dopo una mezz’ora, ha squillato un’altra volta. “Ancora, ma che insistenza!”, e di nuovo me ne sono rimasta sul divano. Era ormai quasi notte, quando ho sentito l’ascensore fermarsi al piano. “Sarà lui che viene di persona” ho pensato, e infatti c’è stato un tramestio lieve vicino alla mia porta. Poi però non ho sentito più niente e dopo un po’ l’ascensore ripartiva. “Mi avrà lasciato un biglietto sotto la porta” mi sono detta. Così sono andata in ingresso, ho acceso la luce, e, infatti, eccolo lì, un foglio bianco piegato in quattro che si stagliava contro il marrone irregolare del marmo del pavimento. L’ho guardato per un po’, poi ho spento la luce e sono tornata a sdraiarmi sul divano.
La mattina dopo, quando sono uscita per andare al lavoro, il biglietto era sempre lì, naturalmente. Ho pensato che, aprendo la porta, potesse incastrarsi sotto il battente, così l’ho spostato oltre l’arco di apertura. Al ritorno ero con Susanna. Mi ha detto:
– Guarda, ti è caduto un biglietto, – e ha fatto per prenderlo. Ma l’ho subito fermata.
– No, no, lascialo lì.
– E perchĂ©?
– L’ho messo apposta… per ricordarmi…
– Ricordarti di che?
– … di prendere le chiavi…
– Ma quali chiavi?
A quel punto mi sono un po’ seccata.
– Scusa, ma che diavolo te ne frega?
Mi sono subito morsa la lingua.
“Si sarà offesa”, ho pensato. Ma Susanna ha un buon carattere. Ha detto:
– GiĂ , in effetti, proprio non me ne frega niente, – e ci siamo messe a ridere. Avessi risposto così a Fabrizio, apriti cielo, mi avrebbe fatto una delle sue tirate contro la mia maleducazione e mi avrebbe tenuto il muso per due giorni.
              Il mercoledì è il giorno in cui viene Sonia, la ragazza che fa le pulizie. Così la mattina, prima di uscire, ho preso il biglietto e l’ho messo in un libro, sullo scaffale dell’ingresso. Non che Sonia sia una ragazza indiscreta, ma a chi non verrebbe spontaneo raccogliere un biglietto trovato sul pavimento e leggerlo? Così, a scanso di equivoci, l’ho tolto di mezzo e l’ho infilato in un volume. La mattina dopo, uscendo, c’era qualcosa di strano, nell’ingresso. “Ah, già ” mi sono detta “ieri sera, tornando, ho dimenticato di rimettere a posto il biglietto”. Ma in che libro l’avevo nascosto? Proprio non me lo ricordavo. Su quella mensola c’è un po’ di tutto, ci sono i libri nuovi ai quali devo trovare ancora un posto sugli scaffali, oppure libri vecchi che ho tolto dalla libreria perché ho finalmente deciso di leggerli, magari dopo anni che li avevo comprati, quando ormai credevano di essere destinati all’oblio. Oppure quelli che ho deciso di rileggere, scegliendo tra i miei preferiti, cosa che succede spesso dopo una delusione letteraria. Ma il giorno prima, avevo preso un libro a caso o avevo scelto un titolo in particolare? Buio pesto. Ce n’era uno più grande degli altri, un vecchio libro d’arte su David, le cui dimensioni potevano aver attirato la mia mano, ma tra le sue pagine non ho trovato nulla. Certo che se c’era stato un criterio nella scelta, quale esso potesse essere l’avevo completamente dimenticato. Così mi sono messa a leggere i titoli, magari inconsciamente avevo scelto un libro particolarmente amato. A un certo punto ho trovato “Opinioni di un clown”, un regalo di Fabrizio, il libro preferito dei miei trent’anni. L’ho sfogliato e il biglietto era proprio lì. Ho sorriso, soddisfatta. L’ho preso e l’ho rimesso al suo posto, sul pavimento.
La sera al ritorno la spia della segreteria telefonica lampeggiava. La cosa mi ha particolarmente indispettito. Continuo a tenere quell’inutile aggeggio obsoleto, spento, collegato al telefono, solo per la pigrizia di toglierlo di mezzo e ora come mai era acceso? Sonia, ho pensato, deve essere stata lei, magari pulendola ha creduto di averla spenta inavvertitamente e l’ha riaccesa. E adesso? Mi tocca ascoltare il messaggio di Fabrizio? L’ho guardata per un po’, poi con un gran sospiro, ho pigiato il pulsante.
“Buonasera, signora Corradi, sono Munari, l’amministratore, è da un po’ che la cerco al telefono, le ho anche lasciato un biglietto…”
Click.