Anche oggi il treno è in ritardo
di Gaia Tommasini

La vita da pendolari non è semplicissima. Ancor più rapida e frenetica rispetto a quella degli altri, sempre alla ricerca del treno migliore – quello che fa dormire cinque minuti di più, ma che ci mette trenta secondi di meno ad arrivare a destinazione-, un continuo guardare agitati l’orologio, perché “se perdo quel treno…!”. È la vita tipica di milioni di italiani, e presumibilmente questo non cambierà nel giro di poco tempo.
Io alcuni di loro li conosco, li accompagno ogni giorno a Verona, dove lavorano, studiano, sognano un po’ più in grande. Mi chiamo Leo, faccio il controllore per Trenitalia da 27 anni e tra due mesi finalmente andrò in pensione.
Salgo sempre sul treno che passa per Rovereto alle 7.24, il regionale 934. Vecchio, lento, ormai lo conosco a memoria. Siamo invecchiati insieme mentre i passeggeri cambiavano e si sostituivano, veloci, sui suoi sedili consunti.
I pendolari che incontro sono sempre gli stessi, assieme fanno ogni giorno un pezzo di tragitto. I ragazzini sono i migliori: nei loro primi viaggi verso la scuola sono rumorosi, chiacchierano, si fanno scherzi, sono eccitati perché viaggiano senza i genitori, si sentono emancipati. Fanno subito amicizia con i loro coetanei passeggeri dello stesso treno, e magari poi quei legami formatisi grazie alla routine di ogni mattina durerà per lunghi anni. L’euforia però passa presto, già dopo la seconda settimana, quando i compiti per casa iniziano ad arrivare, il treno e il paesaggio attorno diventano monotoni e gli orari così rigidi cominciano a pesare. Eccoli che cercano di dormire ancora un po’, o se non hanno studiato abbastanza puntano su quei minuti di viaggio per colmare incredibili lacune, preparandosi per l’interrogazione che li aspetta appena arrivati a scuola.
Gli adulti invece queste settimane di gioia all’idea del viaggio non le provano, loro fin da subito sanno che non sarà divertente, che non renderà più facile il loro tran tran quotidiano e che si tratta solo di un’ulteriore seccatura. Non provano neanche – nella maggior parte dei casi – a relazionarsi con chi sta accanto e inconsapevolmente si perdono tantissime occasioni per socializzare e conoscere altra gente. I più seri fanno finta di leggere il giornale con attenzione, gli altri sonnecchiano o fanno colazione con le brioches ancora fumanti del bar della stazione.
Il viaggio fino a Verona dovrebbe durare 52 minuti esatti, ma da quasi sei anni il treno è sempre in ritardo. Non è strano in un paese come l’Italia, tutti si lamentano dei ritardi dei nostri poveri treni, ma la cosa del tutto particolare del regionale 934 è che il suo ritardo è dovuto ad un servizio extra che abbiamo deciso di offrire ai suoi passeggeri, non è da qualificarsi come una delle tante inefficienze del servizio. In un giorno di luglio di quasi sei anni fa stavo passando come sempre a controllare i biglietti, erano da poco passate le sette e quaranta ed eravamo appena usciti dalla stazione di Ala. A un certo punto ho sentito un uomo che urlava al cellulare, incurante degli altri che vicino a lui cercavano di dormire. Nulla di più normale, ordinaria amministrazione, tutti i passeggeri sono convinti che il resto del mondo non veda l’ora di sapere cosa sta succedendo nelle loro vite, compresi i viaggiatori dei vagoni successivi. Insomma, questo signore stava urlando con quello che doveva essere il suo sfortunato socio in affari, continuava a dire che “mentre si è in treno non si può fare niente, potete anche considerarmi in ferie finché non arrivo a Verona!!!”. Quando il malcapitato ha riattaccato, l’uomo si è appoggiato allo schienale e ha addirittura cominciato a sonnecchiare, visibilmente più rilassato, con qualche ruga già scomparsa.
È stato allora che ho capito come la gente percepisce il periodo che passa in treno: per loro è una parentesi, magari non voluta, dal caos della loro vita. Salgono sul treno e si sentono legittimati, per davvero, a prendersi una pausa, a non pensare a nulla, perché tanto la tesi del signore è giusta, quando si è in treno “non si può fare niente”. Fuori dal treno può scoppiare una bomba, possono regalare gelati e lanciare soldi dal cielo; ci penserà qualcun altro.
Così ho pensato che forse li si poteva aiutare in questa parentesi di finta tranquillità, giusto per dare loro il tempo di respirare prima di tornare a preoccuparsi della vita vera. Ne ho parlato con Franz, il capotreno compagno di tutta la carriera, e anche lui era d’accordo: per questa gente stressata il treno offriva un attimo in cui rilassarsi senza sentirsi in colpa e questo periodo di riposo forzato andava assolutamente incrementato. Sapevamo già cosa c’era da fare: il regionale 934 doveva arrivare in ritardo a Verona, doveva impiegare più dei 52 minuti canonici per fare il solito tragitto. In questo modo i passeggeri si sarebbero potuti prendere una pausa maggiore e davanti ai loro capi si sarebbero giustificati lamentandosi del pessimo servizio che Trenitalia offre loro, dell’inaffidabilità degli orari… insomma, un grande classico. Conseguenze disciplinari per noi? Quasi mi viene da ridere, non ci abbiamo pensato troppo: eravamo già tutti e due a fine carriera e dei soldi non c’era mai importato molto, non avevamo un granché da perdere.
Dal luglio 2008, dunque, il treno Rovereto-Verona è in ritardo, ormai è un dato di fatto. Sia chiaro, non sono mai ritardi eclatanti, solo quanto basta a lasciare dormire ancora un po’ i pendolari più assonnati, a far finire la serie di barzellette che si raccontano i bambini mentre vanno a scuola, a consentire a quei due ragazzi che si guardano da un’ora di trovare il coraggio di parlarsi…
Ai veri e propri pendolari, quelli che caschi il mondo prendono ogni mattina il regionale 934, abbiamo spiegato il perché di questo piccolo ritardo. Loro hanno capito, ci hanno ringraziato e hanno imparato a sfruttare quei pochi minuti in più che possiamo regalare loro. Dopo un po’ ho iniziato a chiedere loro di quanti minuti in più hanno bisogno per ricaricarsi e fare il pieno per la giornata che si prospettava davanti; loro si consultano – grandi e piccoli, maschi e femmine – e con la loro risposta io vado da Franz, che modera la velocità in base al ritardo da accumulare. Ognuno di loro ha saputo offrirci qualcosa in cambio senza che noi chiedessimo niente, qualcosa che fosse frutto di quei minuti in più che passavano sul regionale 934.
Lucia, la quindicenne agitata e sempre in ritardo che pregava ogni mattina per tornare a casa senza insufficienze, ci ha regalato due copie della sua pagella della quinta ginnasio – tutti sei tranne il dieci in ginnastica e comportamento -, perché “senza gli otto minuti per copiare le versioni non ce l’avrei mai fatta ad evitare il debito in greco”.
Vincenzo, lo studente di Architettura che poi prosegue fino a Venezia, a Franz ha fatto un regalo bellissimo: sapendo che la figlia stava per trasferirsi e cambiare casa, alla fine dei suoi studi gli ha portato un progetto di ristrutturazione e arredamento per la casa nuova, fatto dettaglio per dettaglio nei momenti passati in treno. Andava avanti di poco ogni giorno, inesorabile, e con tutti i ritardi accumulati è riuscito a finire il progetto in tempo.
Alessandra, la commercialista sempre stanca che appena sale sul treno si mette a dormire, a fine anno mi ha regalato la sua vecchia agendina. Con la sua solita meticolosità si era segnata tutti i ritardi dell’anno, li aveva sommati e aveva valutato mese per mese le ore di sonno guadagnato. Ha detto che suo marito e i figli avevano notato il cambiamento nello sguardo della mamma, che da allora riusciva a dormire un po’ di più ed era più tranquilla.
Ognuno di loro ha saputo ringraziarci, come ha potuto, per quei minuti in più di relax. Poi Lucia ha fatto l’anno all’estero e ha smesso di prendere il treno, Vincenzo si è laureato e ora lavora a Roma e Alessandra è riuscita a convincere il suo capo che forse a volte può lavorare anche da casa, così non viene più a Verona ogni giorno. Ma non importa, va bene così; hanno trovato la loro strada e noi per ancora due mesi regaleremo minuti di relax a chi li ha sostituiti nei vecchi vagoni del regionale 934, che continua a portare tutti a Verona, in ritardo ma con un sorriso più rilassato.
E voi che vi lamentate di tutti i ritardi che accumula Trenitalia, state tranquilli, ve lo dice uno che sui treni ci ha vissuto. Non si sta poi così male, sono pochi gli appuntamenti per cui bisogna per forza arrivare in orario, per gli altri cinque minuti non fanno la differenza. Chissà, magari siete saliti su un treno che regala minuti di riposo ai suoi passeggeri, come il 934. E allora godetevi questi minuti in più, prendete fiato per quando scenderete di nuovo dal treno, allora sì che dovrete correre di nuovo.
Con questo racconto Gaia Tommasini ha vinto il concorso Ettore Ottaviano nel 2014.