Feuilleton Il passaggio in macchina – parte sedicesima
di Alessandro Xenos

Rimase in ginocchio con lo sguardo fisso sul corpo riverso di Sebastian, impietrita dall’orrore della scena, dalla presa di coscienza istantanea della fine del suo mondo, della perdita, del vuoto. Le lacrime affogavano le ultime forze rimaste dopo il suo grido lacerante, le sue mani tremavano, la furia della vendetta aveva subitamente lasciato il posto a un sentimento di impotenza che le paralizzava la vista. Accanto a lei Adrien se ne stava dritto, apparentemente imperturbato, ma anche lui bloccato al suolo da un immenso macigno. Malgrado che la sua cecità l’avesse preservato dalla vista del sangue, aveva potuto sentirne l’odore acre penetrare nelle sue narici, attaccarsi alle mucose, riempire il suo stomaco di uno sgomento che mai aveva sentito prima.
In un attimo di lucidità riuscì a cacciare l’eco degli spari che ancora rimbombava nella sua testa e prese l’amica tra le braccia. Le accarezzò i capelli per qualche secondo dicendole che non era colpa sua, che aveva fatto la cosa giusta. Le sarebbe stato affianco per il resto della vita, l’avrebbe aiutata a sormontare quest’orrenda serata. La polizia però sarebbe arrivata a breve, dovevano riprendersi e fare in modo che gli inquirenti credessero alla legittima difesa. Estelle ascoltava a metà , in uno stato di ebrietà che le permetteva appena di distinguere la voce dell’amico. Adrien le prese il braccio, la fece alzare, tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e glielo mise in mano, le disse di usarlo per cercare un’altra arma nelle tasche di Ruben, ne aveva sicuramente una. Estelle capì senza capire e si diresse meccanicamente verso il corpo morto del boss, incapace di distolgere lo sguardo da Sebastian. Non dovette cercare a lungo, incastrata tra la cintura dei pantaloni e la parte più bassa della schiena spuntava una pistola identica a quella di Jérôme. La prese con il fazzoletto e seguendo le istruzioni di Adrien si diresse verso Jérôme. Mise l’arma in mano al ragazzo facendogliela impugnare e poi la lasciò a terra, a qualche centimetro da lui.
– Racconteremo la scena esattamente com’è andata, con l’unica differenza dell’arma, dirai che è stato lui a puntarcela addosso per primo. Diremo anche che Ruben si apprestava a venirci incontro con il coltello, è per questo motivo che l’hai ucciso. Mi hai capito?
– Sì, l’arma, ucciso.
– Estelle, ascoltami è importante, non vuoi andare in prigione, vero? Non vuoi perdere anche i tuoi amici?
Estelle a quelle parole si risvegliò dal torpore, come se avesse sentito suonare una sveglia da qualche parte non lontano da lì.
– Claire! Dobbiamo proteggerla!
– Non pensare a Claire, se la caverĂ , pensa piuttosto alla storia che devi raccontare!
– Sì, ho capito, non ti preoccupare, ma dobbiamo proteggere Claire e il becchino, non devono poter risalire a loro, altrimenti finiranno in prigione per davvero.
Sapeva che il trasporto del corpo di Miguel Negredo implicava altri reati di cui non era ancora a conoscenza, ma che avrebbero sicuramente compromesso la sua amica. Doveva eliminare ogni traccia che potesse far risalire a Claire. Prese il telefono e cancellò tutte le ultime conversazioni, poi controllata da una forza inesplicabile si diresse verso Sebastian, guardò la sua testa piegata su un lato e la ferita profonda sul collo, le venne ancora da piangere, frugò nella tasca destra dei suoi pantaloni e ne tirò fuori un vecchio telefono da spacciatore. Niente internet, niente MMS, solo messaggi e chiamate, con due schede anonime comprate per 8 euro l’una in un mini market qualsiasi. Sempre proteggendosi con il fazzoletto cancellò i messaggi destinati a Nicolas, poi con cura ripose di nuovo il cellulare nella tasca. Crollò a terra, distrutta, come se avesse appena percorso una maratona, presa da un tremore alle gambe che le impediva di alzarsi. Il suo uomo era morto ed era colpa sua. Le lacrime che cadevano sul sangue provocavano un impercettibile suono e delle piccole macchie presto riassorbite dalla densità della tragedia. Strinse forte la mano di Sebastian, si scusò, lo baciò, maledisse quel giorno e quel cane di Ruben, imprecò contro la cocaina e Miguel Negredo, la cui comparsa aveva rovinato le loro vite. In quel momento le venne in mente il passaporto che aveva conservato nel suo zaino, ma era troppo tardi, le sirene risuonavano già nella strada.
Pochi istanti dopo tre agenti entrando videro la peggior scena del crimine della loro carriera, la prima per due di loro. La stanza odorava di ruggine bruciata, il colore del sangue aveva ricoperto le pareti e i mobili bianchi, all’entrata giaceva un uomo con un buco nel torace, mentre al centro accanto ad altri due corpi riversi tribolava e piangeva una ragazza dai capelli neri in preda a spasmi muscolari. In disparte, in fondo alla stanza, sostava immobile un non vedente, con la testa erta e i pugni stretti, la cui espressione di collera spaventò uno degli agenti. Il più anziano dei tre sembrò capire subito la situazione, chiese ai ragazzi se stessero bene e disse loro di stare tranquilli, si sarebbero occupati di tutto, dovevano solo seguirli al commissariato per testimoniare dell’accaduto. Estelle fu fatta alzare e portata sul divano in attesa di un’ambulanza. Continuava a guardare Sebastian tenendo stretto lo zaino in cui si trovava l’ultima prova del passaggio di Miguel Negredo a Montpellier.
(continua sul prossimo numero)