Numero 27

Il peso specifico della lana

di Iacopo Accinni

 

Lera di Jack Leone
Lera di Jack Leone

I pantaloni ben stirati e un paio di calzettoni di spugna grigi sono poggiati su di un letto ancora caldo e umido. Una camicia di flanella, grigia anch’essa, e una canottiera bianca vengono indossati con fretta, l’abbraccio di una stanza che non ha mai accennato a riscaldarsi. Quella stufa elettrica è stata solo uno spreco di soldi! Infine, si rilassa non appena veste il suo bel maglione di lana misto cotone, color rosso granata. Spalle forti e possenti che a fatica entrano nello specchio del bagno. Bisogna piegarsi per scorgere cosa c’è al di sopra del collo. Tracce bianche di pasta di dentifricio alla menta piperita dipingono piccoli origami sulle mattonelle nere ma lucide. I capelli sono ancora da pettinare. Segue un’attenta ispezione facciale. Gli zigomi sporgenti, le guance ancora smunte. L’occhiata si sofferma sotto al mento. La pigrizia detta regole e il rasoio sarà cosa per un domani. E poi… lo sguardo si fa più attento… poi c’è quel filo. Irsuto e sull’attenti, che ondeggia sopra la spalla sinistra. Spavaldo e stonato alla vista, la sua presenza infastidisce. Non ci sono aquiloni appesi. Non riesce proprio ad afferrarlo.

Prima con una mano dietro al collo; ora, con abile contorcersi delle spalle, lo ha in pugno. Peccato che quando servono le forbici, queste spariscano. Più inizia a tirare il filo, più esso non accenna ad arrestarsi. Uno spago ha pur sempre una fine, riflette con silenziosa concentrazione. Ha pensato di dare un forte strattone, ma guai a bucare il suo maglione preferito. Con una mano lo tiene fermo e con l’altra tira ancora ed ancora; il filo pare semplicemente allungarsi. Un leggero senso di bruciore cresce sulla punta della dita. L’orologio segna le nove meno un quarto di mattina. Così farà solo tardi al lavoro. Al filo ci penserà dopo. Magari chiederà cortesemente a Bella di dargli una occhiata. Una volta indossata la giacca a vento e chiusa la porta di casa a doppia mandata, con gran calpestio di scarpe scende le scale, giù, di corsa. La parte restante del filo se ne sta libera a guardare il mondo.

Ogni mattina, sullo stesso autobus, un vecchietto si siede accanto a lui. L’acqua di colonia e il bastone d’avorio sono solo gli aspetti più evidenti di un puzzle che non ci è dato conoscere. Il vecchio ha una passione smodata per l’esplorazione interna nasale; scava con maestria e delicatezza, prima in una narice, poi nell’altra. A dire il vero, è un atto che non ha niente di disgustoso. Di più, su quell’anziano, non saprebbe cosa dire. E sinceramente, poco gli importa.

Dinnanzi all’ingresso del luogo di lavoro, c’è chi fuma la prima sigaretta e chi tira su con il naso, il dorso della mano nel taschino della giacca a vento. Egli, invece, inala una gran bella dose d’aria ancora fredda e leggermente salina. Sale la vertigine di un tempo mai pieno, sempre indolente che lo accompagnerà per il resto del giornata. Arrivato in ufficio, Bella, la segretaria del capo, quella carina (una delle due è sempre inguardabile), ti saluta solo perché ha avuto accesso al numero di zeri del tuo salario. Una cornetta in mano e uno snack nell’altra, non fa altro che lamentarsi dell’insulsa condizione lavorativa e dell’ennesimo pretendente che non si è presentato la sera precedente. Anche per quest’appuntamento aveva scelto il solito ristorante coreano Kim Sum Sam. A lei piace molto come condiscono la zuppa. Stranamente, Bella non ricambia alcuna forma educata di buongiorno. La moquette beige gli pare così delicata questa mattina. Dinnanzi alla macchinetta del caffé c’è il tecnico che borbotta soavi imprecazioni miste a parole astruse. Anche oggi niente caffé. Ed è così che la mattinata si chiude rapidamente in una sottile sensazione di inconsistenza, da tempo non più così tanto percepita.

Nessuna mail, nessuna spia rossa lampeggiante sulla tastiera del telefono d’ufficio. Strano, pensa. Ci sarà stata qualche defezione informatica. Nell’attesa, ritorna a quel noioso pezzo di filo che esce dal suo maglione. Anche qui impossibile trovare un paio di forbici. Allora tira e ritira, un vero e proprio gomitolo viene a formarsi sulla sua scrivania ed inizia ad assumere una certa consistenza. Però, che dire, si sente bene. Nessun cliente da dover rassicurare, la ex moglie che ancora non si è fatta sentire. Fuori un bel sole autunnale, né troppo caldo né troppo fioco, brilla oltre le sue spalle. Sul muro una foto e la reminiscenza dei buchi del mortaio a Sarajevo, ormai impossibili da rattoppare. Lui è quello che ce l’ha fatta, gli dicevano il giorno del matrimonio. E ora, almeno il passato non lo tormenta più, se non qualche volta alle tre del mattino. Che strano però, riflette nuovamente. Solo ora si accorge che il gomitolo è di colore nero. Grosso come una palla da biliardo, pesante come la cartella del figlio per andare a scuola. Cazzo, era oggi la riunione! Se ne è dimenticato. Continua a guardare meticolosamente il suo maglione rosso. È integro. Non un buco, non una sfilacciatura. Nell’istante stesso in cui si appresta a togliersi di dosso il maglione, la porta del proprio ufficio si apre. È il grande capo. Lo scruta, poi perquisisce i vari angoli della stanza. Sul suo volto dapprima i segni di stupore, poi di disappunto. Pare cercare qualcosa. O forse, qualcuno. Dietro di lui si affaccia il volto di un altro individuo. Ma sì, è quel famoso cantante che hanno beccato con la minorenne giù in città. Cazzo, è oggi la firma del nuovo contratto! Si è dimenticato anche di questo. Stupito di se stesso e di questa superficialità, si aspetta ora la ramanzina del capo. Ma ciò non avviene. Con grande trambusto, la porta si è richiusa dietro di loro. Non una parola; solo il silenzio dei suoi pensieri. Possibile che non si siano accorti di lui? Forse lo hanno licenziato? Che scherzo del cazzo! Il telefono squilla. Risponde. È la moglie. Ed ecco gli insulti perché non è andato alla riunione. Che ci può fare, se lo è dimenticato. Ma lei pare non ascoltarlo. Si altera sempre di più. Che fai, non mi rispondi nemmeno? La sta ascoltando. Le parla. Si sta pure scusando. Ma dalla bocca non esce alcun verso. Lei ora ha di nuovo tirato in mezzo l’avvocato. Ha riattaccato. Lui, al contrario, ha ripreso a tirare quel filo.

Con tutto quel filato poggiato sulla scrivania, ci mancherebbe pure che ora si metta a lavorare a maglia. Infila il tutto nella tasca della giacca ed esce dall’ufficio. Bella non alza nemmeno lo sguardo. Ora attende l’ascensore, ma il bottone di chiamata non accenna a illuminarsi. Questo finché non arriva il vecchio Stefan, della Sezione Finanza. Tra le mani ha il solito macchiato freddo e una mezza zolletta di zucchero. Lo ringrazia per aver chiamato l’ascensore. Non risponde. Stranamente il suo dito sembra essersi smagnetizzato, asserisce allora ridendo. Complici di battute e barzellette, Stefan questa volta non reagisce. Pare neppure essersi accorto della sua presenza. Le porte si aprono, i due salgono e l’ascensore scende.

Lungo il fiume, l’aria si è fatta elettrica. Raffiche di vento gelano i lobi delle orecchie. L’ocra dei muri si confonde con il rosa del cielo. La delicatezza dell’istante e la leggiadria dei pensieri continuano ad accompagnarlo sul finire di questa giornata autunnale. Peccato per il maglione, sospira tra sé. Toccherà buttarlo. Quel filo è ora decisamente insopportabile. Un primo strattone, poi un secondo e ancora un terzo. Niente da fare, è ancora lì. Irrispettosamente infinito. All’altezza del grande ponte del Maresciallo, decide di togliersi il maglione. Nel bel mezzo della carreggiata prende il filo tra i denti. Ha il sapore del rimpianto, la consistenza soffice del… Con un morso il filo si spezza. A bordo della sua vecchia camionetta a gasolio, il Signor Landa avverte solo un sordo tonfo. Uno stormo di uccelli, venuto ad adagiarsi per la notte sulle betulle circostanti, prende nuovamente il volo.

Al momento del rapporto di fine turno, tra gli oggetti rinvenuti sul luogo del sinistro, il commissario Primm ha annotato: una tracolla con al suo interno una banana ed un paio di occhiali tondi con montatura tartarugata; un pantalone blu scuro, dei calzettoni grigi. Una camicia di flanella, anch’essa grigia, e un maglione rosso granata. Nessuno di questi indumenti presenta segni evidenti di usura o di percosse conseguenti ad incidente stradale. Un gomitolo di filo nero è stato rinvenuto sul luogo. Unica perplessità: il peso del gomitolo. Nota: estremamente pesante.


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