Numero 26

Raccontami qualcosa di fresco

di Fiorella Malchiodi Albedi

 

"Silence" di Aria Ann
“Silence” di Aria Ann

Via di Montesacro costeggia un piccolo colle, le cui pendici, molto ripide, sono ricoperte da una fitta boscaglia. Lasciata a se stessa, la vegetazione è ormai un intrigo impenetrabile di rami e ci si sorprende che a un passo dal traffico di piazza Sempione, e dal vociare confuso del mercato, ci sia uno spicchio di natura così selvaggia.

In quel groviglio di rovi, il fresco della notte rimane intrappolato e anche nelle estati più torride, passandoci vicino di mattina, si avverte un refolo meno afoso che trasuda dal fogliame. Recandosi al lavoro, dopo una notte passata nell’appartamento arroventato, Enzo rallentava il passo lungo il pendio del colle e si godeva quell’aria leggera che per un attimo lo rinfrescava. Poi riprendeva la strada, ritemprato e di umore migliore. Era un uomo di buon carattere, che riusciva a cogliere il lato positivo delle vicende quotidiane e sapeva accontentarsi. Pensava che se avesse chiesto poco al destino, il destino avrebbe chiesto poco a lui, una filosofia un po’ spicciola e priva di giustificazione razionale, se ne rendeva conto, ma che in fin dei conti fino allora aveva funzionato, e se la sua vita si era snodata senza grandi felicità, è vero, ma priva di forti delusioni, pensava fosse grazie al suo atteggiamento di remissiva accettazione. Contegno ben diverso da quello di sua moglie Carla, perennemente insoddisfatta e adirata con il mondo intero, che sembrava sempre reclamare qualcosa di cui si sentiva in diritto e che le veniva negato, come un lavoro più interessante, una maggiore agiatezza economica, e forse, questo non lo diceva, ma Enzo lo sospettava da tempo, un marito meno qualunque. Cosa che spingeva gli amici a domandarsi come mai si fossero unite due persone così diverse e con un atteggiamento opposto nei confronti della vita. A volte se lo chiedeva anche Enzo, ma era passato tanto tempo, il ricordo di quello che lo aveva attratto in Carla quando si erano conosciuti si era fatto piuttosto vago, e ormai, tra le tante cose su cui posava il suo sguardo paziente e rassegnato, c’era anche il suo matrimonio.

Quella mattina, costeggiando la boscaglia, dopo una notte particolarmente torrida, Enzo scoprì, con grande delusione, di non avvertire alcun sollievo, che l’aria che spirava dalle fronde degli alberi era opprimente, come quella che ristagnava nel resto del quartiere. Era la prima volta, da quando abitava a Città Giardino, e si rese conto che il caldo quell’anno doveva essere davvero eccezionale, così come la radio e la televisione proclamavano ormai da giorni, e ne restò sgomento. Si era soltanto a metà giugno, l’afa durava già da un mese, e le varie previsioni catastrofiche sostenevano che sarebbe continuata fino all’autunno. Enzo non aveva creduto ai toni apocalittici, ma quel giorno si preoccupò per la prima volta. Un gruppo di cornacchie volò molto vicino e il rumoroso gracchiare improvviso lo fece sobbalzare. Era lo stesso suono sgradevole e insistente che da qualche giorno lo svegliava presto la mattina. Quel richiamo ripetuto, aspro e chiassoso, gli dava un senso di ansia. “Ma che avete quest’anno?” pensò Enzo stizzito. Riprese a camminare, desolato.

Attraversata la pinetina, arrivò in vista della fermata, che sembrava quasi deserta, perché le persone in attesa dell’autobus erano stipate all’ombra dell’unico albero. Nelle sue prolungate attese, in quelle mattine già soffocanti nonostante l’ora mattutina, Enzo aveva scoperto che la paletta che segnalava le varie linee ATAC formava un’ombra rettangolare, proprio sul marciapiede, sufficiente a contenere il suo metro e settanta scarso, lasciando fuori solo la punta dei piedi. Aveva preso quindi l’abitudine di aspettare lì il 90, in quel poligono riparato dal sole che nessuno prendeva mai in considerazione. Quella mattina però la “sua” ombra era occupata da una ragazza magrolina, con dei lunghi capelli sciolti che ascoltava la musica con le cuffie. Si sentì un po’ infastidito, come se qualcuno si fosse appropriato di un posto che gli spettava di diritto. Ovviamente quella pretesa era assurda e così, dopo aver rivolto uno sguardo silenzioso alla giovane, si mise a cercare uno spazietto al riparo del sole sotto l’albero. A distanza di qualche passo, vedeva i capelli della ragazza muoversi al vento alzato delle macchine in transito. “Ma non le fanno caldo?” si chiese Enzo, guardando quella chioma che copriva come una mantellina le spalle esili. Si domandò anche se la ragazza avesse scoperto da sola quell’ombra o se gli avesse rubato l’idea, avendo visto lui nei giorni precedenti occuparla.

Il traffico era fermo e il 90 tardava. La folla in attesa guardava le macchine che scorrevano lentamente. I vetri sigillati indicavano l’aria condizionata accesa, che ormai avevano quasi tutti. Queste macchine sembravano popolate da un’altra etnia: vestiti in maniera impeccabile, gli uomini con la cravatta, le donne con i capelli acconciati e il trucco ben fatto, con sguardi seri e imperturbabili, erano silenziosi oppure parlavano con noncuranza. Nelle poche macchine con i finestrini spalancati, i passeggeri avevano invece la stessa aria accaldata dei frequentatori degli autobus, gli uomini appoggiavano le braccia sui finestrini, le camicie aperte sulle canottiere e le donne si detergevano il sudore tra i seni, con fazzoletti già umidi e blateravano, con aria lamentevole, facendosi aria con ventagli improvvisati, tutti, chi più, chi meno, con un’espressione di fastidio, se non di sofferenza, sul viso.

Enzo scorse una vecchina, sul lato opposto della strada, che muovendosi molto lentamente, era arrivata in corrispondenza delle strisce pedonali, ormai quasi completamente cancellate e ferma sul bordo del marciapiede, girava la testa ora a destra, ora a sinistra, senza fretta, in attesa che qualcuno si fermasse. Enzo la guardò preoccupato. Aveva notato che il caldo rallentava i movimenti e anche lui che in genere camminava velocemente, da quando l’afa imperversava, aveva preso un ritmo molto meno serrato. Ora si chiedeva se la donna sarebbe riuscita ad attraversare incolume quella strada così trafficata e sperò che qualche automobilista coscienzioso si fermasse. Naturalmente ciò non accadde e la donna, dopo aver aspettato a lungo sul marciapiede, approfittando di una momentanea interruzione del traffico per un semaforo non lontano che era diventato rosso, cominciò l’attraversamento. La sua lentezza era disperante e inaspettatamente, arrivata a metà della prima corsia, invece di accelerare, si bloccò del tutto, senza una ragione, proprio in mezzo alla carreggiata. Intanto il semaforo era ridiventato verde, il traffico era ripreso e una macchina, di quelle con i finestrini ermeticamente chiusi, era scattata rombando in direzione della donna. Vedendola ferma, da lontano, il guidatore aveva preso a suonare il clacson, pensando che si sarebbe spostata. La donna sembrava ormai incapace di ogni movimento e la macchina finì per inchiodare a un metro da lei. L’uomo, furibondo, uscì dall’abitacolo e cominciò a coprirla di insulti, mentre le auto intorno si fermavano, in entrambe le corsie, alcune perché bloccate, altre per la curiosità. Tra i pedoni in attesa dell’autobus, serpeggiò un mugolio astioso. Molti attraversarono la strada, alcuni presero gentilmente la donna sottobraccio, per accompagnarla sull’altro marciapiede, altri, con aria minacciosa, si diressero verso l’automobilista, che continuava a sbraitare. La piccola folla dapprima lo osservò in silenzio, poi un uomo, con un gesto lento e determinato, fissando con intenzione il guidatore, afferrò il tergicristallo della sua macchina e lo spezzò. L’uomo rimase allibito, talmente sconcertato da non riuscire a parlare. Prese a guardarsi intorno, come a chiedere la spiegazione di quel gesto, ma la gente rimaneva muta. Solo allora parve rendersi conto dell’ostilità che lo circondava e impaurito, facendosi largo a gomitate, rientrò nell’abitacolo e ripartì in tutta fretta. La piccola folla tornò sotto l’ombra dell’albero. Enzo avvertiva quasi fisicamente l’animosità disperdersi nell’aria calda e quando finalmente l’autobus arrivò, tutti, indistintamente, avevano smesso di pensare all’episodio e si facevano in cuor loro la stessa domanda e cioè, se il mezzo che stava per aprire le porte fosse uno di quei pochi con il condizionatore ancora attivo.

Share