Fiumi paralleli
di Donatello Cirone

Dal fondo del corridoio un suono arrivava ovattato, si infiltrava fra le pareti sottili, avanzava con forza, superava agilmente le porte tagliafuoco, invadeva la sala d’attesa nel corridoio parallelo, zittiva le geremiadi di Lisa, le angosce di Leonardo, potenziava le speranze di Maria arrivata viva al settimo controllo dopo aver scoperto di avere un linfoma, la TC era fredda, la sonda dell’ecografia incredibilmente fastidiosa, il gel appiccicoso.
Il sorriso di Luca illuminava le pareti pulite, gli anfratti sporchi, gli angoli bui di quel sottosuolo che abbondava di ambiguitĂ . Un sorriso toccato dalla mano di un Dio distratto, sorrideva Luca e piangeva, quel suono lo incatenava al suolo, al pianto e al riso, quel cuore che batteva forte, molto forte, con un’ intensitĂ a lui sconosciuta, era suo figlio che urlava al mondo la sua esistenza, che si annunciava da quel lettino attraverso un sottile strato di pelle, cantava al mondo che la sua anima era pronta a sbocciare come margherite di campo in un mese clemente. Azzurra, sua moglie, con il pancione bardato di fasce, lo guardava teneramente. Quel suono si espandeva e colorava tutti, li rianimava, arrivava sulla fronte di tutti e distendeva i loro muscoli, li rilassava. Luca era fermo. Seduto accanto ad Azzurra, con una mano gli accarezzava il piede sinistro…Continue reading
Feuilleton Il passaggio in macchina – parte quattordicesima
di Alessandro Xenos

«Siamo all’altezza di Orléans, tra meno di due ore arriveremo a Montreuil. Tutto bene! Baci». Inviando questo semplice messaggio, Claire aveva voluto rassicurare Estelle per farle capire che avrebbe gestito la situazione al meglio, non poteva immaginare che proprio quel sms l’avrebbe messa in casini ancora più grandi.
Nicolas guidava con l’esperienza di un camionista a fine carriera, lo sguardo dritto e il pensiero altrove, con il vantaggio di non avere ancora abbastanza chilometri sotto il sedere per accusare quei maledetti dolori lombari di cui soffriva suo padre. La radio passava Demain c’est loin di IAM, la strada era sgombra e Claire parlava a ruota libera della sua teoria sulla generazione dei quasi. Quasi studenti, quasi commessi, quasi inventori, quasi ingegneri, quasi indipendenti, i suoi coetani, diceva, sono combattuti tra l’idea di sregolatezza degli anni ottanta e l’austeritĂ dei duemila, la realtĂ nei maggior parte dei casi non era un ostacolo in sĂ©, ma pochi osavano scontrarcisi. Lei invece sarebbe presto partita in Namibia per studiare il popolo Herero e nessuno glielo avrebbe impedito…Continue reading
Jolly Hotel
di Giampaolo Giudice

La finestra della camera affacciava sulla stazione di Porta Nuova, un giorno di aprile.
Una minuscola stanza all’ultimo piano, subito sotto il tetto, moquette marrone per terra ed arredata come se non fosse esistito più nulla dopo il 1995. Il vecchio posa la borsa ai piedi del letto, respira a fondo ed esplora le quattro pareti come chi torna dopo un lungo viaggio, per vedere se tutto è come nelle sue memorie, per sentirsi cullato nel riconoscere i dettagli invisibili che fanno sentire a proprio agio. Che fanno sentire a casa.
Si siede sulla poltrona, accende una sigaretta, e comincia guardare fuori dalla finestra.
E dalla finestra sulla stazione il vecchio osserva il pomeriggio immerso nel tramonto, in cui si agitano come insetti centinaia di minuscoli umani affaccendati a rincorrersi per le strade, o almeno così sembrano visti da lì.
Un vecchio che fuma guardando gli uomini come in un acquario, la sera, al tramonto.
Ed il tramonto, fenomeno quotidiano ed irripetibile, sembra essersi posato sulla cittĂ per far affondare il vecchio nei propri pensieri.
C’è, dunque, un vecchio che fuma guardando un acquario di umani minuscoli, al tramonto, mentre affonda in pensieri densi…Continue reading
La materia del respiro
di Giuseppe Semeraro

Dare un bacio al sogno al mattino prima di togliersi la notte dalla pelle e tutto quello sbuffo d’anima che svola incerto se restare negli occhi o andarsene col sangue a bagnare altri sogni e creare ancora intrecci d’ombre e cose che non si sanno dire come una spina sulle labbra o come un dente che rimane nel suo dolore segreto. Dare un bacio soffiando anima e bevendo anima che nel millimetro vicino sembra sogno fatto vero dall’amore.
Il sole una palude che saccheggia carne e ne fa splendore biancore innocenza per un fiore rovente, incallito demone, bocca preziosa, pomeriggio d’un immenso frutto, nascosto sotto pietre che sono mani d’acqua e paziente castigo per questo sciame del cuore che desidera la pelle bruciata, la Venere della litoranea, il culo denso di preistoria. Resta la birra lasciata sola a scaldarsi, le nuvole ammaccate dai tagli del sole, affogato il respiro che dice una parola sola per l’addio, per tutto, per il sangue sul tronco, per questo tramonto messo sulla bocca di un fauno che guarda il sole e sorride e beve sui denti un sole di febbre.
La notte spada infilata dal vento verso l’ombra che non trattiene la ferita ma sparge il suo sangue nero sul muro…Continue reading
Cicala mon prochain
di Ferruccio Mazzanti

Per conquistare
specchi torbidi,
la febbre e i delitti,
questa vasta
nuda estate
dove ridesti
un labile giorno,
il labile velo,
le lusinghe
e i sensi
e griderei
senza piĂą peso…Continue reading
La corriera
di Jack Leone

Nascosta all’interno della catena montuosa dei Carpazi esiste una piccola e dorata piana. Questa è attraversata da un breve corso d’acqua limpida sulle cui sue sponde la storia ha partorito un piccolo, alquanto sconosciuto, borgo abitato da Lemchi. Non piĂą di una ventina di fattorie ed una dozzina di abitazioni compongono il villaggio dai tetti ambrati ed impreziosito da coloriti vasi di gerani esposti sui davanzali. Dietro alla macelleria vi è una grande sala per le feste, adibita per lo piĂą a consiglio locale del Partito, ma anche a centro per l’estrazione settimanale del lotto. Al giovedì sera, qui, nel piccolo villaggio dei Lemchi, è festa grande. Esiste il panettiere, il meccanico e forse l’ultimo dei maniscalchi. Con gran fragore, una carovana di zigani, traffichini di cavalli e giovenche, si è venuta ad accampare a ridosso della polverosa strada provinciale. A sera, donne dalle gonne merlettate e colorate e uomini dai folti baffi cantano e danzano con grande brio. I Lemchi, al contrario, se ne stanno per lo piĂą tra loro. Dediti all’agricoltura e alla lavorazione del legno, dal secondo dopoguerra in poi, sono particolarmente attivi in azioni di contrabbando che qui, con eloquenti ed educati sorris…Continue reading
Il rito del materassino secondo J.
di Marco Brion

Se qualcuno gliene chiedesse oggi, J. di quel posticino direbbe che era un po’ come se l’avesse chiamata a sé così, di sua spontanea volontà . Un mattino d’agosto, andandosene a lavoro, le capitò di notare un barlume perso fra i campi che si srotolano oltre il guard-rail della tangenziale grigia e assolata.
Tornata a casa la sera – inforcata la bici, seguì quel luccichio lungo un sentiero che tirava dritto sotto un filare di pini marittimi umidi e stanchi, giungendo alla volta di una piccola cava allagata – l’acqua color carta da zucchero, di quelle sparpagliate lì a vanvera, ad un paio di chilometri dalla laguna.
Vacci e rivacci, J. dopo un po’ ci prese gusto – le piaceva, e così quella divenne una specie di abitudine: giusto qualche ora prima del tramonto, armata di una borsa frigo con due 50cl e un pacchetto da dieci, se ne stava con i piedi ammollo, ascoltando il parliccìo vernacolare delle vecchiette lì abituĂ©, accampate all’ombra degli alberi che s’ergevano tutt’intorno la riva.
Successe poi che un giorno, passando accanto ad un’edicoletta-bazar stile litoraleggiante vicino casa, notò un materassino gonfiabile gargantuesco, in fantasia tappeto volante, e lo comprò così, d’istinto.
Tanto per provare eh – puntualizzerebbe lei.
Giunta a destinazione, l’aveva immerso in acqua con cautela, lasciando a riva telefono cuffie e tutto, assopendosi poi in uno sbadiglio o due…Continue reading
Aquiloni a Roma
di Fiorella Malchiodi Albedi

Ieri, passeggiando lungo via Nomentana, cosa che non facevo da anni, mi sono ricordata improvvisamente degli aquiloni. Erano anni che non ci pensavo. Mi sono tornati in mente perché è stato proprio tra i rami di uno dei maestosi platani della strada che ne ho visto uno per la prima volta. Ricordo ancora l’emozione per quella visione inaspettata. Era di carta, colorato con toni pastello e sembrava un grosso uccello tropicale, arrivato chissà come su un albero di quella strada trafficata. Ero nei paraggi di villa Torlonia, e pensai che l’aquilone fosse sfuggito dalle mani di un bambino, che magari lo stava facendo volare nel parco vicino. Mi ero guardata intorno, per condividere con qualcuno la gioia di quella scoperta, e avevo incrociato lo sguardo di un signore anziano, che aveva scoperto anche lui l’insolito oggetto. Ci eravamo stretti nella spalle, sorridendo.
Quella sera avevo raccontato a Marco dell’inaspettato ritrovamento, ci avevamo scherzato sopra per un po’ e poi avevamo dimenticato l’episodio. FinchĂ© non fu proprio Marco ad avvistarne un altro, qualche giorno dopo, mentre passava in viale Regina Elena in tram. …Continue reading