Numero 25

Aquiloni a Roma

di Fiorella Malchiodi Albedi

 

Spicchi di colore in cittĂ  di Andrea Butera
Spicchi di colore in cittĂ  di Andrea Butera

Ieri, passeggiando lungo via Nomentana, cosa che non facevo da anni, mi sono ricordata improvvisamente degli aquiloni. Erano anni che non ci pensavo. Mi sono tornati in mente perché è stato proprio tra i rami di uno dei maestosi platani della strada che ne ho visto uno per la prima volta. Ricordo ancora l’emozione per quella visione inaspettata. Era di carta, colorato con toni pastello e sembrava un grosso uccello tropicale, arrivato chissà come su un albero di quella strada trafficata. Ero nei paraggi di villa Torlonia, e pensai che l’aquilone fosse sfuggito dalle mani di un bambino, che magari lo stava facendo volare nel parco vicino. Mi ero guardata intorno, per condividere con qualcuno la gioia di quella scoperta, e avevo incrociato lo sguardo di un signore anziano, che aveva scoperto anche lui l’insolito oggetto. Ci eravamo stretti nella spalle, sorridendo.

               Quella sera avevo raccontato a Marco dell’inaspettato ritrovamento, ci avevamo scherzato sopra per un po’ e poi avevamo dimenticato l’episodio. Finché non fu proprio Marco ad avvistarne un altro, qualche giorno dopo, mentre passava in viale Regina Elena in tram. Questa volta era su una magnolia, nel giardino di una villa che ospitava un’ambasciata. Tre uomini, probabilmente dipendenti dell’ambasciata, stavano tentando di tirarlo giù, ma l’aquilone era molto in alto, e non avevano attrezzi per poterlo raggiungere. Un altro uomo, magari proprio l’ambasciatore, pensò Marco, osservava i tentativi inconcludenti degli uomini, con un’aria molto stizzita. La scena, disse, era esilarante. Mi descrisse l’aquilone, che sembrava molto simile a quello che avevo visto io, ma non identico. A quel punto la cosa cominciò a sembrarci strana. Ci chiedemmo se ce n’erano altri in giro per Roma e la domenica dopo uscimmo di buonora, armati di binocolo. Nel giro di un paio d’ore ne avvistammo altri tre, due a Villa Borghese, e uno su un cedro del Libano, in piazza Galeno. Era incredibile. Quel giorno incontrammo altre persone, che come noi avevano notato gli aquiloni. Un signore ci disse che ne aveva scoperti alcuni in un’altra zona della città. Aveva cercato di capire come arrivavano, senza successo. Si era perfino appostato una notte per sorvegliare una zona molto alberata dove non ne erano ancora stati scoperti, ma a nulla era servito. Quando era tornato a casa, all’alba, stanchissimo, aveva trovato un aquilone proprio sull’albero sotto casa sua. “Sarà un buontempone”, disse Marco. L’uomo aveva assentito, ma sembrava poco convinto.

               In breve la notizia si diffuse in città e cominciarono a scriverne le cronache locali e a parlarne i telegiornali regionali. Gli aquiloni erano spesso molto in alto e quindi collocarli sui rami richiedeva l’uso di scale o bracci meccanici. Com’era possibile che nessuno avesse colto sul fatto gli autori del gesto? Cominciò a uscire una rubrica, sulla cronaca di Roma di un quotidiano, in cui i cittadini segnalavano i nuovi avvistamenti. Addirittura pubblicavano una cartina su cui piccole bandierine ne marcavano la presenza. A quel punto, quando ormai si era diffusa l’abitudine di sorvegliare gli alberi, gli aquiloni smisero di comparire. Certo, con la popolarità che ormai il fenomeno aveva raggiunto, era sempre più difficile riuscire a mantenere l’anonimato e la burla, se di burla si trattava, cessò. Con i primi temporali autunnali, gli aquiloni cominciarono a rovinarsi, con i bei colori che stingevano sotto la pioggia, e presero a cadere. Gli articoli sparirono dalle cronache, la rubrica chiuse, e presto l’episodio fu archiviato, nei mezzi di comunicazione, come nella memoria delle persone. Io stessa non ci avevo più pensato da anni.

               Adesso che l’avevo ricordato, mi era venuta una gran voglia di parlarne con qualcuno. Così sono entrata in un bar proprio lì vicino, dove all’epoca ogni tanto mi capitava di prendere il cappuccino. C’era un cameriere che non riconobbi.

– Salve. Mi scusi, ma lei si ricorda degli aquiloni sugli alberi?

L’uomo mi ha guardato basito.

– Quali aquiloni?

               Gli ho raccontato la storia, e alcuni altri avventori si sono messi ad ascoltare. Con mio grande stupore, nessuno se ne ricordava. Non potevo crederci.

– Ma come, ne hanno parlato i giornali, e anche la televisione.

Niente, nessuno ne aveva sentito parlare.

– Adesso vi faccio vedere, sicuramente su internet trovo qualcosa.

C’era un signore, seduto a un tavolo, con il tablet aperto.

– Mi scusi, mi può fare una ricerca su google?

               L’uomo si è guardato intorno, imbarazzato, poi ha acconsentito, ma per quanto mi sbizzarrissi suggerendogli parole chiavi fantasiose, non è uscito niente sull’argomento. Trovava molti siti attuali che parlavano dei Pokèmon, ma del ritrovamento degli aquiloni nessuna traccia. Ero perplessa. Forse, pensai, internet era ancora agli albori, all’epoca, e non aveva registrato il fenomeno. Anche se i mancati riscontri cominciavano a crearmi un sottile fastidio. Allora ho pensato a Marco. Certo, ne parlo con lui, lui non può averli dimenticati, mi sono detta. Così sono uscita e l’ho chiamato sul cellulare.

– Ciao Marco, sono Fiorella. Senti, tu certo ti ricordi la storia degli aquiloni!

Marco è stato un attimo in silenzio; poi ha detto con un tono un po’ incerto:

– Ciao Fiorella, come stai? Mi fa piacere sentirti. Di quali aquiloni stai parlando?
– Di quelli che mettevano sugli alberi la notte e che si scoprivano la mattina. Non è possibile che non te li ricordi, siamo andati insieme a cercarli, non puoi averli dimenticati!

Marco è stato ancora in silenzio, poi alla fine ha detto:

– No, mi spiace, non me ne ricordo.

A quel punto sono andata su tutte le furie.

– Beh, davvero una bella presa in giro! Senti, non saprò stare allo scherzo, ma mi hai fatto veramente arrabbiare.

               Gli ho chiuso il telefono in faccia, con quel senso di malessere indefinibile che si acuiva. “Ora mi richiama per scusarsi” mi sono detta e mentre aspettavo che il cellulare suonasse, per cercare di sopire il disagio che via via cresceva, ho ricominciato a pensare a tutti gli aquiloni che avevamo scoperto, passandoli in rassegna uno a uno, cercando di rievocarne la forma e il colore, per imprimerli bene nella memoria. Ma poco a poco, quei ricordi hanno cominciato a sbiadire, e per quanto mi sforzassi, e cercassi di fissarli nella mente, le immagini degli aquiloni hanno cominciato a rarefarsi, fino a scomparire, una dopo l’altra. Prima erano lì, leggeri e colorati, che si muovevano appena tra le foglie, mossi dal vento, e poi più niente, solo un vuoto. Allora mi sono concentrata sul primo che avevo scoperto, quello lo ricordavo proprio bene, con le sue tinte pastello, e la sua forma elegante, ma più ci pensavo, più i colori illanguidivano, poi le ali hanno cominciato a sfrangiarsi, fino a dissolversi, finché alla fine non è rimasto che lo spago a cui era attaccato. Pendeva da un ramo, oscillando leggermente al vento, e finiva con un piccolo gomitolo stropicciato, quello stesso che forse era sfuggito dal palmo sudato di un bambino.


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