La materia del respiro
di Giuseppe Semeraro

Dare un bacio al sogno al mattino prima di togliersi la notte dalla pelle e tutto quello sbuffo d’anima che svola incerto se restare negli occhi o andarsene col sangue a bagnare altri sogni e creare ancora intrecci d’ombre e cose che non si sanno dire come una spina sulle labbra o come un dente che rimane nel suo dolore segreto. Dare un bacio soffiando anima e bevendo anima che nel millimetro vicino sembra sogno fatto vero dall’amore.
Il sole una palude che saccheggia carne e ne fa splendore biancore innocenza per un fiore rovente, incallito demone, bocca preziosa, pomeriggio d’un immenso frutto, nascosto sotto pietre che sono mani d’acqua e paziente castigo per questo sciame del cuore che desidera la pelle bruciata, la Venere della litoranea, il culo denso di preistoria. Resta la birra lasciata sola a scaldarsi, le nuvole ammaccate dai tagli del sole, affogato il respiro che dice una parola sola per l’addio, per tutto, per il sangue sul tronco, per questo tramonto messo sulla bocca di un fauno che guarda il sole e sorride e beve sui denti un sole di febbre.
La notte spada infilata dal vento verso l’ombra che non trattiene la ferita ma sparge il suo sangue nero sul muro che niente trattiene nel suo ripudiare le speranze e solo un chiodo consente di essere precisi con la morte con le parole che nessuno sente come tutto si bagna di stelle e tutto appartiene a me che sto scivolando via in qualche bucato regno infame della vita per tornare a vivere idiota ombra.
L’estate in braccio un figlio pieno di sete e le fontane fredde immobili agli angoli misurando il secco delle ossa sperando un bacio fatto d’acqua camminando nel deserto con qualche straccio di maglia misurando la sabbia del deserto contando i granelli che separano dalla civiltà dal pane velenoso dell’occidente sputando nel mare della mano che non tiene neanche un fratello sorella stella lacrima di pietra attaccata ancora agli occhi per tutto il viaggio della morte.