Fiumi paralleli
di Donatello Cirone

Dal fondo del corridoio un suono arrivava ovattato, si infiltrava fra le pareti sottili, avanzava con forza, superava agilmente le porte tagliafuoco, invadeva la sala d’attesa nel corridoio parallelo, zittiva le geremiadi di Lisa, le angosce di Leonardo, potenziava le speranze di Maria arrivata viva al settimo controllo dopo aver scoperto di avere un linfoma, la TC era fredda, la sonda dell’ecografia incredibilmente fastidiosa, il gel appiccicoso.
Il sorriso di Luca illuminava le pareti pulite, gli anfratti sporchi, gli angoli bui di quel sottosuolo che abbondava di ambiguità . Un sorriso toccato dalla mano di un Dio distratto, sorrideva Luca e piangeva, quel suono lo incatenava al suolo, al pianto e al riso, quel cuore che batteva forte, molto forte, con un’ intensità a lui sconosciuta, era suo figlio che urlava al mondo la sua esistenza, che si annunciava da quel lettino attraverso un sottile strato di pelle, cantava al mondo che la sua anima era pronta a sbocciare come margherite di campo in un mese clemente. Azzurra, sua moglie, con il pancione bardato di fasce, lo guardava teneramente. Quel suono si espandeva e colorava tutti, li rianimava, arrivava sulla fronte di tutti e distendeva i loro muscoli, li rilassava. Luca era fermo. Seduto accanto ad Azzurra, con una mano gli accarezzava il piede sinistro, lo sguardo fisso verso la porta aperta, verso un corridoio percorso dalla distrazione, dalla felicità dei futuri padri, dal dolore delle contrazioni delle future madri, dai tanti che invasi dalle preoccupazione correvano verso l’altro corridoio, verso altre macchine, verso altri verdetti, con il cuore colmo di paura attendevano di essere chiamati, chi per una TC total body, chi per un’ecografia, chi per una risonanza. Una sala d’aspetto dove aleggiavano sentimenti opposti, dove i brividi erano percepibili da fuori, dove tutto era cristallizzato in attesa di nuovi raggi, di tornare fuori al caldo della vita. Tornare liberi in volo come gabbiani prima dell’inverno.
Mattia era partito presto da casa, si era lavato per bene, aveva indossato la sua camicia preferita, quella che aveva usato il giorno della laurea, aveva calzato le scarpe nuove, si era perfino fatto la barba per l’occasione del secondo controllo. L’oncologo gli aveva prescritto una tomografia computerizzata, non ne sapeva nulla di tomografie, ospedali, medicine, accettazioni e consensi, Mattia aveva vissuto fino a poco tempo prima annusando i fiori con semplicità , aveva sempre fatto il bagno la domenica e si era sempre innamorato di lunedì, non sapeva nulla di mezzi di contrasto e dottori distratti. Mattia era in quel corridoio e camminava verso quel suono ovattato, verso la stanza dove Luca piangeva, verso quel battito, verso il viso di Azzurra, verso gli occhi di Luca che si incrociarono con i suoi per un momento. Un lungo rivolo di lacrime segnava i volti di quei due giovani uomini, lacrime diverse che alla fine, però, si sarebbero congiunte tutte nello stesso mare  poi, per togliersi dall’imbarazzo, si sorrisero. Luca rimase lì in compagnia di Azzurra e di quel battito profumato, Mattia fece l’accettazione, firmò i consensi e si sdraiò sul lettino, si rivestì e non tornò mai più fra quelle mura pulite, non tornò mai più dall’oncologo, non si innamorò mai più di lunedì e la vasca, di domenica,  rimase per sempre vuota.
Un paio di mesi dopo, al piano superiore di quel corridoio lungo, lontano dal freddo della TC e dal gel appiccicoso, Azzurra accarezzava la manina calda del suo Mattia.
Luca sorrideva.