Feuilleton Il passaggio in macchina – parte undicesima
di Alessandro Xenos

L’orologio segnava le 20 e 10 quando ricevette il messaggio di conferma. « È lui ». In quell’istante una piccola insignificante nuvola coprì la lenta discesa del sole distraendo Estelle dai suoi pensieri e come un neo che magnifica la bellezza di un viso, la spinse a contemplare la limpidezza del cielo. Un’immagine ordinaria e pertanto infinitamente mutabile che solamente un dettaglio permette di rivalutare attraverso un nuovo sguardo. Ecco la direzione verso la quale dirigere le sue ricerche. Doveva capire cosa era cambiato nella sua relazione con Sebastian. L’abitudine aveva accecato il suo senso dell’osservazione e nessuna metodica costruzione investigativa le avrebbe permesso di rimediarvi. Iniziò a ripensare alle settimane precedenti, quando d’un colpo una mano toccò la sua spalla.
– Adrien! Accidenti a te, mi hai spaventato!
– Sapevo che ti avrei trovato qui, il tuo posto per riflettere. (risatina) Solo una matta come te può venire in un parco pieno zeppo di gente per trovare la concentrazione. Ho dovuto scansare almeno due palloni, un frisbee e qualche cane per raggiungerti. Puoi guardarmi sotto le scarpe e dirmi se ho pestato qualcosa?
– No, non c’è niente.
– Allora c’è qualcuno che puzza, ti sei lavata stamattina?
– Senti, Adrien, cosa vuoi? Perché mi sei venuto a cercare?
– Scherzo, non ti arrabbiare. Sei troppo nervosa, dovresti farti una risata ogni tanto! Ti ho già raccontato la barzelletta su Adamo ed Eva?
– Non mi sembra il momento di scherzare, la situazione è molto seria.
– Va bene, ho capito, vieni con me allora, ho scoperto dove abita Jérôme.
I due si incamminarono verso il Corso Gambetta e da lì imboccarono la salita dell’Avenue de Lodève.
Qualche attimo dopo una Yamaha R6 entrò in contromano in rue de la Merci e fatta una ventina di metri si fermò davanti alla casa dove abitavano Sebastian, Momo e i loro coinquilini. Il pilota smontò di sella e senza togliersi il casco si avviò verso il portone. Dalla cucina Rebecca, l’affascinante coinquilina veneta di cui Momo era segretamente innamorato, vide entrare un trentenne rinsecchito con i pantaloni strappati, una camicia a quadri troppo larga per le sue spalle a forma di gruccia e uno zaino da motociclista.
– Sebastian, che piacere vederti!
– Ciao Rebecca, che buon odore! Pizza stasera? (scimmiottando l’accento italiano)
– Sì, señor, ma non sapevo che saresti tornato, spero che basti per tutti.
– Non ti preoccupare, tanto non credo di fermarmi molto.
– Riparti subito? Dai, potresti passare una serata con noi ogni tanto.
– Hai ragione, scusa, ma ho molto da fare ultimamente. Hai visto Momo?
– Sì, è su in balcone con gli altri, vai pure, io vi raggiungo tra un po’.
– Va bene, grazie.
Salì le scale e come prima cosa entrò nella sua camera. Da qualche tempo aveva deciso di chiuderla a chiave per evitare che qualche curioso si mettesse a frugare tra le sue cose. Si era giustificato dicendo che non voleva che gli ospiti vedessero le piantine di cannabis che coltivava nello sgabuzzino, ma Momo aveva capito che stava nascondendo qualcos’altro. Aprì l’armadio e ripose una decina di fasci di banconote in un sacchetto della spazzatura, poi si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Quando qualcuno bussando alla porta lo svegliò, gli sembrò di aver dormito una notte intera, eppure erano passati solamente dieci minuti. Ancora mezzo intontito andò ad aprire.
– Guarda che è pronto.
– Oh, ciao Momo, sì, arrivo tra un minuto.
– Beh?
– Beh cosa?
– A che punto è l’affare?
– Tutto a posto, il becchino è in viaggio, dovrebbe arrivare prima di mezzanotte, perché ti preoccupi?
– Mi preoccupo perché non hai idea del casino in cui ti sei messo, quelli ti squartano se qualcosa va storto. Ti rendi conto del rischio che corri? Lo sai che Estelle sta interrogando tutto il quartiere per sapere dove sei, non vorrai che le facciano del male?
– Estelle, cosa? Quella è matta, la devo fermare prima che faccia cazzate.
– Se lei è matta tu sei il re dei matti, devi imparare a riflettere amico mio. La tua fame insaziabile di nemmeno sai cosa ti porta a compiere delle azioni stupide, a prendere strade buie e desolate da cui la tua simpatia non ti permetterà di uscire.
– Non mi fare la morale Momo.
– Non vuoi parlare di morale? Va bene, parliamo della tua collera allora. Dammi una spiegazione a questa reazione smisurata di rigetto della società da parte di un giovane istruito e di buona famiglia che decide di abbandonare gli studi per dedicarsi a una vita da gangster. I soldi? Non credo. Penso piuttosto che tu stia fuggendo la tranquillità per disprezzo degli altri, di coloro che conducono un vita « normale », banale e senza rischi, e che tu non abbia la minima idea di come gestirtela. Non è per anticonformismo, perché, guardati, tu stesso ti lasci portare dal vento, non hai idea di dove stai andando, e io non sarò sempre qui a salvarti il culo.
– Certo, io non so e non posso capire, solo tu che sei nato a Marsiglia in mezzo alla merda puoi saperlo. (spintonandolo per uscire)
Momo lo colpì con un sinistro sulla guancia, lo afferrò per il codino e schiacciò la sua testa contro la porta.
– Vai a prendere un po’ d’aria e a cercare la tua ragazza, poi torna quando sarai più lucido.
(continua sul prossimo numero)