Numero 20

Gravità zero

di Donatello Cirone

A Mawue

 

But still breathing di Lina Liebe
But still breathing di Lina Liebe

Mi torna sempre alla mente Ungaretti, non so perché. Sono un uomo ferito / E me ne vorrei andare/ E finalmente giungere, / Pietà, dove si ascolta/ L’uomo che è solo con sé. [1] Non la conosco tutta questa poesia, troppo lunga per i miei due neuroni, troppo lunga per Ungaretti, forse. Troppo lungo il tratto che mi separa dalle altalene, troppo lungo il silenzio degli amici, troppo lungo il salmodiare dei sicuri, troppo corto il fiato, troppo lunga l’attesa. Troppe occasioni perse. Troppo indaffarati, tutti, a portarsi croci, a nascondere bestemmie. Troppo lungo il tratto che mi separa dal mare.
– A Gravità zero frate’ – così mi ripete Jer ogni volta che mi intravede. – A gravità zero frate’. Hai capito?
– Sì! Gli rispondo Sì, conscio del fatto che non lo capirò mai, e mi sta bene.
Chi ha detto che dobbiamo capire tutto della vita. Tutti vogliono la verità, Thoreau anche la voleva, io alla fine preferisco la verità che si svela sugli occhi dei bugiardi. Ha ragione Jer, credo. A gravità zero, oh sì mi piacerebbe viaggiare a gravità zero. Siamo costretti a cadere? Jer? Jer ha capito tutto. Esce tutte le mattine alle 3 – a gravità 7 – dice lui – si spacca la schiena – aggiunge. Non so cosa faccia, porta a casa quello che deve, mangiano lui, sua figlia e sua madre. Alle tre di pomeriggio torna, si sdraia accanto alla sua principessina bionda e si addormenta, forse è in quel momento che Jer va a gravità zero.
Ungaretti ancora, oddio stamani sembra voglia farmi compagnia per tutto il tragitto casa–scrivania: Su alla volta lieve / l’incanto s’è troncato / E piombo in me / E m’oscuro in un mio nido [2]. Mi piacerebbe adesso togliermi questo cappotto, questo maglione, i pantaloni stretti, i calzini colorati, i boxer, e nudo addormentarmi come un pulcino senza piume, al caldo di un nido di paglia pronto a bruciare sotto un cielo senza neve.
Mi liscio la barba, che bella barba che aveva Ungaretti!
Gravito a forza 12, forse, non so niente di gravità, di forze, di fisica. Non so niente di quasi tutto. Jer invece sa qualcosa, Ungaretti almeno aveva avuto il coraggio di sopravvivere alla trincea, Io? Io niente, ho solo un po’ di barba, a cavallo fra un finto hipster e un coglione in cerca di approvazione. Jer non chiede approvazione, se la prende. Jer non chiede nulla a nessuno. Jer è coraggioso. Anche Ungaretti lo era: Il groviglio dei sentieri / possiede la mia cecità [3]. Siamo tutti ciechi, inutili e privi di quella grazia per vivere in pace, per non essere violenti, per non accanirci contro i deboli. Siamo tutti forti quando si tratta di urlare a pieni polmoni, in gruppo, contro un manichino a pezzi. Una generazione di angosciati che strappano paghette più o meno ricche.
Vado a lavoro, o chiamatelo come volete, dovrei scappare, forse. Prima dei sessanta il mio C.V. sarà completo. Non è proprio come Karate Kid, “metti la cera-togli la cera” ma si avvicina: alzati-dormi, sali sul bus-scendi dal bus, badgia-sbadgia.
Ho fatto tardi stamani, gravità 78, forse. Corri, corri, ma per andare dove? Per fare cosa? Jer ha veramente capito tutto.

Ogni tanto, però, una fessura nel creato lascia libera un’anima leggera destinata a toccarci, un viso dolce, le mani delicate, un sorriso stampato che ci ricorda la bellezza di questo andare e ritornare, del trovarsi, dello scoprirsi. Il desiderio e la malinconia, l’attesa. Jer va in trincea, io invece mi dipingo il volto e conto i respiri delle mie emozioni, cerco di sorridere, di improvvisarmi felice, di stringere la mano a uno sconosciuto di passaggio, di accarezzare, nei miei sogni, i capelli di chi passeggia, saltellando, sulle onde liete del mare.

Il sole tramonta: Il carnato del cielo / sveglia oasi / al nomade d’amore. [4]

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[1] Giuseppe Ungaretti, La pietà, 1928, Inni.

[2] Giuseppe Ungaretti, A riposo, 1916, Il porto sepolto.

[3] Giuseppe Ungaretti, Monotonia, 1916, Il porto sepolto.

[4] Giuseppe Ungaretti, Tramonto, 1916, Il porto sepolto.


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