Tutta roba sottobanco
di Luigi Balice

La franchezza della parola è un grido smorzato, da chi ci riconosce sin troppo bene, dal travaglio che ne ottura la cadenza, come una pentola a pressione, e smussa menti col dubbio della stupidità retroattiva.
Sale d’attesa in cui proiettare decisioni future. Avanscoperta ad altezza di talpa, senza strisciare, senza approvare per sentito dire.
Prendere lo scambio di battute per i capelli, come se si potesse tornare indietro, e non fare incontrare la memoria col presentimento di dover badare ai mille e un dovere annotati sulla lista della spesa. Domani cinquanta percento di sconto sul sogno che avevo da tempo.
Gli scagnozzi ce li ho tutti dentro, li sto addestrando a chiedermi il pizzo. Ordini distratti: doverosi collari iniziatici per parole mai complete quanto un gesto che cerca il padrone.
Ma non basta masturbarsi con domande incaute. Le parole sono clausole da inserire a fondo pagina solo per farci dare torto, domestiche a cui tremano le mani prima di servire a tavola.
Infondo lo sappiamo che l’affidabilità è aggettivo da auto tedesche. Quando rincasiamo allora rubiamogli almeno le ruote, fracassiamo gli specchietti, pisciamo sui finestrini. Assecondare il desiderio incestuoso di far accoppiare le parole con i silenzi. Tutta roba sottobanco.