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di Donatello Cirone

La corrente la spingeva in avanti, dove? Dove stavano andando tutti? Verso chi? Verso cosa? Un gomito in bocca, una manata in faccia. Tanti corpi stretti, troppo vicini per non annusarli. Una ginocchiata, ancora un’altra. Avanzavano come un branco di foche rincorso da un’orca ferita. Giulia era stravolta, si trascinava. Era come se tutte quelle persone riuscissero a tenerla in piedi.
Era terrorizzata.
– E se cadessi adesso? Sarei distrutta. Annientata, di me non rimarrebbero che i vestiti impastati con il sangue e le ossa tritate come sale grosso in un mortaio di ghisa, dove finirebbe la mia anima? Il ricordo di me?
Avanzava ma non marciava, barcollava ma non cadeva, in perfetto equilibrio. Due piatti di una bilancia, un kilo d’odio su di uno e un kilo d’amore sull’altro. La folla proseguiva e la trascinava come una canna di bambù sull’Arno del ’66. Il suo viso era sporcato dallo sconforto, dalla paura, poi una mano che le afferra il braccio, un viso conosciuto, un tocco amato. Damiano, il suo Damiano era lì e le teneva il braccio, la proteggeva.
– Damiano? Qui? Di nuovo la sua mano?
Adesso erano in due, trasportati dalla corrente come due ninfee recise, due fiori sbocciati il primo giorno del creato, si tenevano per mano adesso, si guardavano come se si fossero conosciuti da poco e si sentissero pronti per unirsi in volo come gabbiani neri. Il flusso diventava sempre più caotico, qualcuno ai lati cadeva giù in un burrone lastricato di oblio e ogni tonfo era per quella masnada come sangue per un grande bianco. Damiano aveva il viso rilassato, Giulia invece era preoccupata, tutti gli altri volti erano sfocati, riusciva a vedere, perfettamente, solo quello di Damiano che con le labbra serrate si faceva largo e avanzava con una fierezza d’altri tempi, terribilmente sicuro.
Giulia iniziava ad avere qualche dubbio, le incertezze la assalivano come un nugolo di zanzare in una notte di gennaio. Era assente il suo Damiano, forse non era lui. Forse non era Lei. Non poteva essere lei, non voleva crederci, anni frantumati come lo schermo fragile dell’ultimo Mela fra un post e una coccola a una tastiera sporca, accecata da uno schermo macchiato, si era persa fra un commento e un troll, dentro il cerchio di una emoticon.
Dove erano finite le carezze? Le labbra umide? La passione di un bacio strappato all’ansia? Le mani una dentro l’altra? L’attesa per un appuntamento? La rabbia per averne perso un altro? Le macchie del caffè? Il freddo pungente? La noia delle file? L’acquolina prima di un’ordinazione? I denti stretti prima di un orgasmo?
– Dove stiamo andando tutti? Perché sono qui?
Non lo ricordava Giulia, eppure era dimagrita per essere lì, si era truccata proprio come le aveva detto Bliko sul suo tutorial, si era depilata ascelle, pancia, schiena e inguine proprio come aveva fatto vedere su YT Cirasa. Era andata a Praga solo perché dopo avrebbe postato le foto. Aveva letto il nuovo libro di Fabietto Atterrato, Il water di Zia Lidia solo per scrivere qualcosa sul blog di Trullo. Aveva preso la trippa al grasso di muflone solo per farci una foto e hastaggare #FoodPorn.
– Perché sono qui? Dove mi trovo?
Non lo ricordava. Forse l’oblio. Avanzava Giulia in cerca di un Like.