Feuilleton Il passaggio in macchina – parte settima
di Alessandro Xenos

Aprendo lo sportello della macchina Nicolas fece cadere le chiavi sotto il sedile, nel rialzarsi batté la testa contro il volante e infine urtò il cambio con il gomito. A Claire sfuggì un sorriso malizioso.
– Nervoso?
Nicolas non rispose, stava seguendo con lo sguardo i movimenti dei poliziotti, voleva accertartarsi che non tornassero indietro a distrurbarlo ulteriormente. L’inquietudine traspariva dai suoi occhi, ma per sua fortuna i due giovani agenti si erano già scordati delle due bare e con un incesso reale si erano avviati verso le macchinette per gustarsi il loro sesto caffé acquoso della giornata. Mise in moto. Claire notò che le sue mani tremavano e intuì che la situazione stava volgendo a suo vantaggio, ma fece finta di niente. Per qualche minuto il silenzio tornò a regnare nell’abitacolo, poi d’improvviso, come se un pensiero fuori posto avesse rotto l’equilibrio dello stormo che affollava la sua mente, Nicolas sterzò violentemente verso la corsia di emergenza e si fermò sulla prima piazzola di sosta che trovò. Si prese la testa tra le mani e iniziò a elencare tutte le imprecazioni che conosceva, che a dire il vero non erano molte. Claire lo guardò con aria sorpresa.
– Che succede?
Nicolas fece un gesto con la mano come per allontanare quella domanda a cui non poteva dare risposta.
– Qual è il problema? Forse ti posso aiutare.
– Stai fuori da questa storia, non ti voglio creare problemi. Sai già troppe cose.
– (con aria ingenua) Di cosa stai parlando?
– Sto parlando della ragazza di Sebastian, non eri forse al telefono con lei prima?
– Sì, è vero parlavo con Estelle, ma che c’entra, la conosci?
– No, ma conosco Sebastian.
– Ah, davvero?
– Ti ho vista mentre guardavi il mio cellulare, non prendermi per un idiota. Stanne fuori ti dico.
Claire si sentì come quella volta che il suo istruttore di atletica la sorprese mentre gli guardava il fondoschiena. Stupida. Non sapeva più che dire. Nicolas prese un’aria pensierosa, poi con un fare paternalistico aggiunse:
– È meglio se dimentichi tutto.
Nonostante l’imbarazzo, c’erano troppe questioni che giravano nella testa di Claire, aveva il dovere di continuare a chiedere, anche se in fondo già conosceva le risposte.
– Spiegami almeno di che si tratta, cosa devi consegnare per Sebastian? E chi è Miguel Negredo?
Nicolas la guardò per un attimo, poi il suo viso si distese.
– Miguel Negredo è ciò che devo consegnare.
– Lo sapevo! Scusa, ma quindi cosa c’è nell’altra bara?
– Nell’altra bara c’è la signora Jacqueline Noiret, nata a Parigi il 12 ottobre di 93 anni fa e morta a Montpellier sabato scorso. Aveva espresso il desiderio di essere seppellita al Père Lachaise accanto ai suoi genitori e io ce la sto portando. Nel cruscotto ci sono i documenti che lo provano, puoi verificare.
– Quindi ti stai servendo di un trasporto ufficiale per farne uno illecito, ma perché, chi è Miguel Negredo?
– Non lo so, Sebastian non mi ha detto niente, prima che tu ne parlassi con la tua coinquilina non sapevo neanche come si chiamasse. Quando ho sentito quel nome ho capito che stavate parlando del tipo nella bara.
– Quindi non sai nemmeno perché lo stai portando a Montreuil?
– No, non so niente. (prendendosi di nuovo la testa tra le mani) Sono uno stupido, non avrei dovuto accettare, prendere tutti rischi per un po’ d’erba.
– Che c’entra l’erba?
– Sì, Sebastian mi ha promesso che se avessi trasportato il tipo senza fare domande mi avrebbe fornito duecentocinquanta grammi di erba. Con questa quantità ci vado avanti minimo sei mesi, mi sono lasciato convincere. E poi è difficile dire di no a dei tipi come Sebastian e i suoi amici.
– Momo?
– No, Momo non c’entra, non è nel suo giro, anzi penso che fosse contro il trasporto. Gli amici di Sebastian sono dei veri banditi, spagnoli e sudamericani.
– Mmm, c’è una cosa che non mi torna però, perché hai preso il rischio di portarmi con te sapendo che avrei potuto scoprirti?
– Non potevo immaginare che tu fossi un’amica di Sebastian, e se tu non avessi guardato il mio cellulare non te ne avrei di certo parlato. Ti ho dato un passaggio perché non mi piace viaggiare da solo con un cadavere nel bagagliaio, tantomeno con due.
– Capisco…
– Prima ti ho mentito, non sono fatto per questo mestiere, anzi lo odio, lo faccio solo per far piacere a mio padre, che è il proprietario dell’attività. Fu mio nonno a fondarla negli anni ‘40, figurati che lavoriamo con i morti da quattro generazioni.
Claire sorrise, provava un po’ di pena per quel ragazzone, ma allo stesso tempo riusciva a capire la sua infelicità. Anche suo padre avrebbe voluto che riprendesse l’attività di famiglia, ma a lei di lavorare in macelleria proprio non interessava. Quando gli disse che sarebbe diventata una professoressa di storia vegetariana lui non si arrabbiò, ma sapeva di averlo deluso. Claire era la più piccola delle sue tre figlie, la sua ultima speranza per poter trasmettere il mestiere a qualcuno di famiglia. Annabelle, la primogenita, aveva scelto di fare la dentista e si era sposata con un poeta pallido che portava sempre maglioni a collo alto di cachemire, poco adatti al lavoro di macelleria. Aveva sperato che un giorno avrebbero cambiato idea, ma da qualche anno ormai si era dovuto rassegnare all’idea di non poter fare affidamento su di loro. Per quanto riguarda la secondogenita invece, non si era mai fatto illusioni, sapeva che era una battaglia persa in partenza. Lucille viveva all’estero da quando aveva vent’anni e da due aveva deciso di trasferirsi in Sud America per salvare i giaguari dall’estinzione. Come se non bastasse, era fortemente convinta dell’inutilità delle unioni legali o religiose, non si sarebbe mai sposata, diceva. Insomma, Claire provava rammarico per la propria decisione e sapeva di aver causato una grande amarezza al padre.
– Ti capisco sai, anche mio babbo avrebbe voluto che riprendessi la sua attività.
– Però non l’hai fatto.
– No, ho scelto un’altra strada e sono sicura che in fondo è contento. Magari anche tuo…
– (interrompendola) Non conosci mio padre, non capirebbe.
– Non puoi saperlo se non provi.
Pronunciò quest’ultima frase con un’espressione di complicità e per un istante i loro sguardi si incollarono. Gli occhi che prima le erano sembrati vitrei si mostrarono in tutto il loro splendore blu fiordaliso. Cambiò discorso:
– Forse dovremmo andare prima che la polizia ci fermi di nuovo.
– Hai ragione, andiamo.
(continua sul prossimo numero)
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¹ “ma | re” è una serie fotografica dedicata al Poetto, la spiaggia cittadina di Cagliari, passata da essere il fiore all’occhiello della città a un vergogna per i cagliaritani. Nell’attesa che il piano di recupero del Comune prenda fine, Roberto Pireddu ha deciso di raccontare la storia del Poetto con i suoi scatti in bianco e nero.