Le biglie di vetro
di Mara Abbafati

Uscito da scuola non tornai subito a casa, quel giorno mamma non c’era e nemmeno la mamma di Michele, così ce ne andammo sotto al ponte della ferrovia dove ci passa il Fiumescuro, che è un grosso ruscello con il letto stretto e profondo che fa sembrare l’acqua quasi nera. Io avevo portato le biglie di vetro colorate e iniziammo subito a fare una pista sul lato sinistro del ruscello dove c’è la sabbia. Dopo un po’ che giocavamo Michele stava vincendo, allora io feci un tiro fortissimo e la mia biglia con la venatura rossa che era la mia preferita se ne rotolò via, giù per la discesa, io iniziai a correrle dietro, inciampai in un cavo di ferro e caddi a faccia avanti. Il naso iniziò a sanguinarmi, così mi tolsi il grembiule per asciugare il sangue e andammo via. Quando mamma tornò a casa mi mise in punizione e disse che non sarei ma più dovuto andare al Fiumescuro per nessuna ragione al mondo. Ma io volevo indietro la mia biglia preferita e questa cosa che non potevo tornare là per cercarla mi faceva diventare matto, ci pensavo tutti i giorni anche a scuola e anche la notte sognavo di andare a cercare la mia biglia ma poi non la trovavo mai. Quando lo raccontai a mio nonno che stava nella casa di riposo perché è malato lui mi rispose che gli era successa la stessa identica cosa proprio quando aveva la mia età. «E tu poi l’hai ritrovata la biglia?» gli chiesi.
«No. So dove si trova, ma non si può andare a riprenderla».
«Perché?»
«Perché nessuno ci può arrivare laggiù, è un posto irraggiungibile».
«E dove sta questo posto?»
«Sta nell’angolo più lontano del mondo, un buco buio e profondo dove le palline, le biglie, i bottoni, i tappi, le macchinine, i palloni e tutte le altre cose perdute vanno a finire».
Forse, se mi perdo, ci vado a finire anch’io.