Feuilleton Il passaggio in macchina – parte quarta
di Alessandro Xenos

Nel frattempo in rue de la Merci i passanti si erano fermati a guardare una scena piuttosto insolita. Una ragazza esile con i capelli scuri come il Vantablack stava prendendo a calci un portone talmente mal ridotto che sembrava dover venire giù da un momento all’altro.
«Aprite coglioni o vi spacco questo pezzo di legno che chiamate porta! Tu puta madre!! ». Era Estelle, in tutto il suo splendore. Il portone apparteneva alla casa in cui vivevano Sebastian e i suoi cinque coinquilini. Il campanello era sempre stato rotto e il telefono di Estelle non aveva più batteria. Data la sua collera, quello le era sembrato il modo più gentile per comunicare la sua presenza. Dall’altra parte del marciapiede un’anziana signora dal viso avvizzito e la schiena ricurva la fissava con un’espressione di disgusto riflettendo all’ipotesi di chiamare la polizia. La “Rabbina”, come l’avevano amicalmente soprannominata i giovani del quartiere a causa dei suoi ricciolini lunghi ai lati e ormai invisibili al centro, abitava due porte più in giù e nonostante la sua quasi completa sordità vigilava senza sosta alla quiete della rue de la Merci. « Le sembra questo il modo di fare signorina? ». Lo sguardo infuocato di Estelle la fece tremare a tal punto che il sacchetto della spesa le cadde in terra. Una dozzina di pomodorini rotolarono giù per la discesa fino all’entrata del negozio dov’erano stati comprati. La Rabbina riparti’ borbottando imprechi d’altri tempi seguita dallo sguardo discreto di alcune coetanee nascoste dietro le persiane. Estelle aveva già ripreso a gridare:
– Aprite cazzo!
– Piano, oh!! Arrivo, arrivo!
Finalmente la porta si aprì. Ne usci’ fuori un viso da sparring partner, gli occhi stretti e le occhiaie da programmatore informatico. La visiera del cappellino del Montpellier Hérault gli copriva la fronte e quel poco di capelli che gli restavano. L’espressione di Estelle si addolcì tutto d’un tratto.
– Momo!
– Se non sei venuta per dirmi che ho vinto un milione di euro, puoi anche smetterla di tirare calci alla porta.
– Scusa Momo, ma non ho più batteria e sono qui fuori da più di dieci minuti. Com’è che non rispondeva nessuno?
– Siamo tutti su in balcone. Se cerchi Sebastian sappi che è partito ieri e non so quando tornerà.
– Non ti ha detto dove andava?
– No, non l’ha detto. Dai entra, ti offro una birra.
Varcò la soglia a passo di carica convinta di riuscire a fargli confessare qualcosa. Non sarebbe stato facile, ma era necessario insistere perché Momo in quanto unico parrucchiere per uomo del quartiere sapeva sempre tutto di tutti. Era considerato come una sorta di giudice di pace per tutte le questioni « delicate ». Fu lui a nascondere Sebastian quando i gitani gli davano la caccia per via di due motorini rubati. Fu ancora lui a trattare con la Brigata anti criminalità quando volevano portarlo in centrale perché si rifiutava di condividere con loro i ricavi dello spaccio.
Aveva salvato il culo a Sebastian e a molti altri giovani del quartiere in diverse occasioni. Se ne fregava delle questioni etniche e territoriali, quello che più gli teneva a cuore era la propria tranquillità e quella dei suoi cari.
Momo non era di Montpellier, era cresciuto nella periferia nord di Marsiglia, dove l’uso di armi da fuoco era consueto almeno quanto le strisce di cocaina nelle serate dello show business parigino. Era arrivato a Figuerolles dieci anni prima, quando ne aveva diciotto, sperando di poter uscire per sempre da quel mondo di violenza quotidiana. In un certo senso ci era riuscito, perché a Figuerolles si sentiva soltanto l’eco del gran banditismo e a parte qualche episodio sporadico tutti i problemi si risolvevano con un fascio di banconote stretto in mano. In poco tempo aveva raccimolato i soldi per comprare un fondo e diventare parrucchiere. Da allora gli affari gli andavano alla grande. Quando era in forma riusciva a tagliare i capelli a sette clienti in un’ora. Rasava ai lati, tagliava al centro, piccola rasatura sul collo e spennellata finale con la spazzola.
Tutti volevano lo stesso taglio, non c’era bisogno di chiedere. Nonostante la praticità della cosa, Momo cominciava a stancarsi di ripetere costantemente gli stessi movimenti e quando un cliente pretendeva un taglio diverso un piccolo sorriso gli spuntava sull’angolo sinistro della bocca. Fu così che prese in simpatia Sebastian. Il vezzo di quel giovane spagnolo squattrinato che chiedeva i capelli corti davanti e lunghi sulla nuca lo faceva divertire, gli sembrava di fare un tuffo negli anni ’90. Diventarono amici e quando ci fu la possibilità lo fece venire a vivere nella casa di rue de la Merci. Estelle era arrivata qualche anno dopo, ma era riuscita a integrarsi rapidamente al gruppo, anche se in un certo senso si sentiva ancora esclusa.
– Non ne posso più Momo, non mi dice mai niente. Mi chiama per dirmi che parte, ma non mi dice dove va. Affari, affari e sempre affari, ma sono sicura che ha un’altra.
– Ti assicuro che è innamorato perso di te, non ha nessun’altra. Lavora, tutto qui.
– Eh, lavora… lo chiami lavoro? Spaccia, ecco cosa fa, e tu lo copri.
– Stammi bene a sentire, a me non interessa come si guadagna da vivere, sono fatti suoi e non dovresti preoccupartene nemmeno te.
– Chi è Miguel Negredo?
Momo la guardò intensamente negli occhi. La sua espressione si era imbrunita.
– Non lo conosco.
– E questo come me lo spieghi? Era nello zaino di Sebastian.
Tiro’ fuori un passaporto colombiano con la foto di un uomo calvo sulla cinquantina e un timbro con il visto francese. Momo lo prese tra le mani, lo guardo’ di sfuggita e lo ripose sul tavolo.
– Non so chi sia, ma fossi in te lo ridarei a Sebastian.
Estelle riprese il passaporto e fece per uscire.
– Ok ho capito, non mi vuoi dire niente. Andate a fanculo te e quello stronzo del tuo amico.
Momo non ebbe il tempo di replicare, Estelle era già uscita sbattendo la porta. Tiro’ fuori il telefono e cerco’ il numero di Sebastian.
– Oh, dove cazzo sei? E’ venuta Estelle a chiedere di te, aveva il passaporto del tipo.
– Cazzo! La deve smettere di frugare nelle mie cose! Che le hai detto?
– Niente, le ho detto di restituirtelo.
– Grazie Momo, torno stasera, ci vediamo a casa.
– Ok, ciao.
– Ciao.
(continua sul prossimo numero)