Numero 15

i melograni

rubrica di Luca Saracino

 

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Ho strappato le foglie dagli alberi del parco e i rami secchi, quelli della siepe lungo la via che percorro ogni sera di ritorno da lavoro. Rientrato in casa ho subito messo a bruciare l’incenso, ripiegato i pantaloni seguendo con precisione la riga e ho gettato la camicia e i calzini nella cesta dei panni sporchi. Col nastro adesivo mi sono a ttaccato le foglie sul petto, la pancia e le spalle. Ho attaccato  i rami secchi alle braccia, alle gambe e il più lungo attorno al collo a sovrastare la testa. Davanti alla finestra della cucina con una lacrima a solleticarmi il labbro ho gracchiato: l’autunno.

Un domani

Una spiga di lavanda, le persiane socchiuse per il sole dell’87.
Poi cambiare casa, avere una stanza in più per la sorellina, un domani vedrai, un domani faremo.
Stavo seduto in cima al frigo indossando un gilet verde e i capelli di John Lennon. Impugnavo succhi di frutta e girelle e il telecomando come fosse una pistola.
All’epoca non potevo conoscere tutte le cose che non sarei riuscito a vivere e non potevo rimpiangere la persona che non avrei saputo essere.
Quando la mamma faceva il turno di notte il babbo apriva il divano letto per poter vedere la tv fino a tardi e ci addormentavamo con il Tenente Colombo.
Ho da poco scattato foto a mio padre ormai in pensione e neo cowboy del campo di girasoli.
L’ho immortalato nell’atto di fare linguacce affiorando fra i grossi fiori arancio, oppure nel gesto di sparare dalle dita.
Tornando a casa prima che facesse buio mi ha raccontato alcune storie sul bosco circostante e sul canto delle civette che rende matti.
Un domani mi ha detto potremmo trasformare il vecchio mulino in un ristorante.
Un domani.


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