Numero 13

Mimì non raccoglieva calle

di Donatello Cirone

 

Coffee meeting di Elisa Saracino
“Coffee meeting” di Elisa Saracino

Si erano appassite le calle e la terra sotto di loro urlava la sua voglia d’acqua, un vaso di  plastica imprigionava tutt’e due come una poesia dentro una bottiglia di rum, il fiume a pochi metri da  loro scorreva piano.  Serena si bagnava i piedi bianchi, lunghi e affusolati, le unghie curate come del resto tutto il corpo, i capelli lunghi mossi dal vento si perdevano nell’aria come i tentacoli di una medusa in un mare pulito, senza rumori e senza trivelle, scosso da correnti e vortici, stracolmo di vita, cristallino come l’anima di Giovanna che a valle si lavava i capelli, si massaggiava il capo delicatamente, le ginocchia sopra le pietre le facevano male, il sole batteva forte sul suo collo, lo riscaldava e splendeva come i pochi anni che portava addosso e come la sua bellezza, una bellezza naturale, straordinaria. Veloce come una capra saltava sui massi, i capelli bagnati e pesanti battevano sulla schiena e le bagnavano il vestito a fiori, gli occhi vispi come quelli di una lupa si illuminavano non appena entrava in contatto con qualcosa di interessante, le gote rosse e labbra forti finivano il suo disegno che diventava un capolavoro da corridoio Vasariano.  Ogni tanto qualche masso si staccava e finiva nel fiume,  i cavedani  spaventanti si rintanavano sotto i massi, le trote eroiche si tenevano per la pinna, la maggior parte dei vaironi moriva d’infarto, quella mattina un masso sfiorò  l’orecchio sinistro di Bianca che urlò con tutta la forza che aveva in corpo, tremò  per la paura e per il pericolo scampato poi corse verso casa e lì rimase tutto il giorno. Fuori dalla sua porta Michele sdraiato sul suo lettino da mare sonnecchiava con uno stuzzicadenti poggiato sul labbro inferiore, Elena lo guardava.
Si stava consumando quell’estate proprio come si consumava il corpo malato di Zio Fiano, la processione agli inizi del mese, le due serate danzanti, poi il matrimonio del figlio del sindaco, poi il funerale di Don Domenico Tenenti, pluridecorato Cav. del Lavoro in nero e del Caporalato, poi i fuochi d’artificio che chiudevano l’estate e i sogni per qualcuno di trovare moglie. Tutto finiva nel silenzio delle luci rosse e verdi  che in lontananza, fuori al paese, Mimì ù trovapècur, ammirava.  Seduto in mezzo al niente con il suo fedele amico Bisonte, un terranova enorme, masticava un pezzo di liquirizia e si godeva i fuochi. Strofinava le mani,  il viso al cielo e il sorriso stampato sul volto. Era felice, una felicità semplice e mentre i fuochi si perdevano nel cielo lo raggiunse silenziosamente Giovanna che gli sedette a fianco, si sorrisero, poi si presero la mano, i capelli si erano asciugati, erano morbidi e lisci. Mimì glieli accarezzò, il cielo ritornò a essere scuro, la luna era assente, le stelle spente, i tre respiri vivi e le calle appassite.



Fondatore de L’Irrequieto, nato nella valle del Sauro, in Lucania,  nel 1986.
Ha pubblicato due silloge poetiche: La vita di una morte, LibroItaliano, Ragusa 2005 e Gl’oratori del nulla, Amorsog et Oream, Il filo, Roma 2007.
Scritti pubblicati su L’Irrequieto.

Donatello Cirone: donatellocirone@irrequieto.eu



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