E noi che vogliamo far sparire i nomi
di Luigi Balice

Il corpo ha questa magica capacitĂ di piantare tende nel nostro kibbutz del desiderio.
Approfitta dei momenti sottratti alla realtà per rivendicare l’appartenenza a luoghi nascosti dal tempo.
E così ha occupato seppur per qualche istante tutti gli spazi della felicità . Ha disarmanto il battaglione disordinato che è partito anni fa per assecondare lo slancio curioso di una volontà che ora non fa più quadrare i conti: l’illusione di poter colmare le proprie mancanze finisce sempre per sottrarre voci.. Continue reading
i melograni
rubrica di Luca Saracino
Phil Collins
Al campino del paese era il 1993 e fissi a giocare nei pomeriggi di giugno eravamo in quattro: il Pera, Sardaro Luigi, il figlio del postino e io. A quel tempo mia madre mi portava a farmi i capelli da Rosario, un uomo con la lisca che parlava senza sosta e aveva le meches rosa. Facciamo i capelli all’ometto
Inevitabile
Il primo passo fu quello di comprare il nuovo surgelatore poi si fece crescere una barba scura e cominciò a piazzare le trappole nel bosco..Continue reading
Feuilleton Il passaggio in macchina – parte prima
di Alessandro Xenos

Incuranti della canicola, centinaia di turisti si ammassavano in cerchio intorno agli artisti di strada sulla piazza della Comédie. Gli indigeni osservavano la scena scambiandosi sguardi a metà tra l’ammirazione per i saltimbanchi e la pena per quei tonti di parigini, come venivano definiti tutti i vacanzieri in ciabatte e abbronzatura da insalata, dalle risate troppo entusiaste per sembrare vere. Proprio davanti a un capannello di inciabattati con la visiera, un gruppo di vecchietti approfittava del fresco dei nebulizzatori del Grand Café ingurgitando pastis a 40° e scommettendo su quanto tempo ci avrebbero messo le belle parigine a liberarsi di quelle facce da lumaca..Continue reading
Vimini e castagno
di Donatello Cirone

Una cicala si era spenta, svuotata dal cantare e dai raggi prepotenti. Il suo canto, a pochi giorni dalla sua morte, si era sporcato di fango come il canto di sirene tristi e asciutte, crocifisse vive e con la pinna mozzata da vedove dolenti. Sotto l’ulivo che aveva ospitato la cicale, era stesa, su una sdraio di vimini e castagno, Giannina: le due braccia penzolavano, la bocca aperta come le gambe, respirava delicatamente, il suo corpo molle e burroso si scioglieva al sole, uno strato di sudore la impacchettava come la pellicola fa con un cosciotto di tacchino. Un impercettibile..Continue reading