i melograni
rubrica di Luca Saracino
Phil Collins
Al campino del paese era il 1993 e fissi a giocare nei pomeriggi di giugno eravamo in quattro: il Pera, Sardaro Luigi, il figlio del postino e io. A quel tempo mia madre mi portava a farmi i capelli da Rosario, un uomo con la lisca che parlava senza sosta e aveva le meches rosa. Facciamo i capelli all’ometto diceva e mi praticava una precisa divisa nel mezzo prima di cospargermi la testa di brillantina. Al campino si giocava per ore, fino a quando i raggi arancio del tramonto non indicavano che era arrivata l’ora di rientrare per cena. Le partite terminavano con risultati eclatanti: diciasette a undici oppure venti a venti con pareggio all’ultimo secondo. Una volta Sardaro Luigi che era il più grande si presentò al campino con il walkman e alla domanda del Pera rispose: è Phil Collins. Io d’istinto dissi che anche mio padre ascoltava Phil Collins. Sardaro mi guardò, sputò per terra e disse che a lui però di mio padre non gliene fregava niente.
A settembre vidi mio padre per l’ultima volta: stava seduto sopra un letto rifatto con lenzuola celesti e indossava un lungo camice bianco. Aveva gli stessi occhi di Scarabocchio, il gatto che due estati prima avevamo trovato davanti al cancello di casa dentro una scatola di cartone di una marca di liquori. Quando rividi gli altri al campino non dissi niente di quello che era successo al babbo ma quel giorno segnai un gol di tacco che non servì comunque a pareggiare.
Inevitabile
Il primo passo fu quello di comprare il nuovo surgelatore poi si fece crescere una barba scura e cominciò a piazzare le trappole nel bosco.
Da ovest giunse un vento improvviso che spazzò la città per settimane, scoperchiò tetti, sradicò alberi e segnavento.
Lei se ne andò di casa una mattina prima del sole, non sopportava più che lui si nutrisse di scoiattoli e che al buio la fissasse la notte mentre dormiva. Ha una spiccata passione per la natura dicevano di lui i vicini quando lo vedevano inerpicato sopra le querce e gli altri alberi del bosco blu.
Lui allora svuotò gli armadi dai propri vestiti, dai libri, da tutte le cose accumulate negli anni e le abbandonò in strada in mezzo a cumuli di neve tardiva. Gli esercizi per la respirazione. Contare i passi: da casa alla chiesa, da casa al minimarket, dalla chiesa alla scuola, dal fiume al camposanto. Ci provò con tutte le forze, così si disse una sera fissando un punto incerto fra il muro e una finestra.
L’ultimo passo si svolse, è inevitabile si disse, una mattina di fine maggio presso l’ufficio postale e come è andata a finire è cosa nota.