E noi che vogliamo far sparire i nomi
di Luigi Balice

Il corpo ha questa magica capacità di piantare tende nel nostro kibbutz del desiderio.
Approfitta dei momenti sottratti alla realtà per rivendicare l’appartenenza a luoghi nascosti dal tempo.
E così ha occupato seppur per qualche istante tutti gli spazi della felicità. Ha disarmanto il battaglione disordinato che è partito anni fa per assecondare lo slancio curioso di una volontà che ora non fa più quadrare i conti: l’illusione di poter colmare le proprie mancanze finisce sempre per sottrarre voci.
La felicità ha il volto che non vedo. Il desiderio di qualcosa di supremamente ultimo che ho già baciato.
Rituali da istruito burattinaio di ombre avrebbero forse evitato il movimento continuo del desiderio da inizio a inizio. Perlomeno lo avrebbero definito, lo avrebbero scritto come una parte. Invece il continuo lanciarmi la palla più là, mi ha fatto diventare semplice segugio di novità.
Per fortuna però i maghi non vanno mai a letto con le cartomanti. Il mistero del non vissuto resta al sicuro, anche se ha il volto di una carta. Resta accessibile alla notte, che spalanca le porte.
Noi mettiamo serrature, catene e chiodi per far sparire i nomi, ma i desideri hanno chiavi di nuvole.