Monocromie
di Donatello Cirone
La città si era svegliata il 4 dicembre 1989 dopo un lungo e tranquillo sonno, tutti i suoi felici abitanti camminavano spensierati. I bambini giocavano ai bordi delle strade, tutti passeggiavano dalla mattina alla sera sempre sorridenti, le donne si davano la cipria e gli uomini si sentivano forti e belli, i vecchi si godevano la pensione in compagnia. Il sindaco, con la sua fascia monocolore, passava e ripassava dal centro, Verducola era magnifica. Il vice sindaco invece si metteva le dita nel naso e poi le leccava. Verducola era magnifica. Tutto andava bene, il monocromo regnava egemonico sul suo suolo. Verducola era magnifica. Si respirava un’aria di pace e tranquillità . Verducola era magnifica. Il verde era ovunque dagli alberi in fiori alle pareti delle case, dai cessi ai tetti, dal vomito ai peli delle ascelle delle verducoline, belle, giovani e serie. Verducola era magnifica. Le nuvole erano perfette e la pioggia non era più violenta, dopo che il vigile Alberto aveva multato il Buon Dio per aver fatto straripare il Giussanino, un affluente del Tò. Verducola era magnifica. Tutti i suoi abitati erano tranquilli, pacifici tranne uno, Teo Salvinghio, lui era inquieto, non capiva come si potesse essere così tranquilli, troppa monotonia, lui era fatto per altre cose, doveva sperimentare, voleva uscire fuori dalla sua cittadina. Desiderava viaggiare per il mondo, amare altre strade, altre culture, lui voleva mangiare con le bacchette, con le mani. Voleva sporcarsi la camicia, e voleva cavalcare le pantegane in fondo allo stivale dove mangiavano tutti nudi intorno al fuoco, non era felice a Verducola. Sperava di tuffarsi nelle acque nere fra l’isola Afiosi e la costa dei veli, nuotare vestito in quell’acqua nera e puzzolente. Era coraggioso, voleva viaggiare per tre anni come nomade e accamparsi sui monti, accendere il fuoco con i rami verdi e bagnati. Teo piangeva tutte le notti e si addormentava sperando di sognare di essere nella giungla a saltare fra un ramo e l’altro con gli zebedei al vento e il petto forte, tutte le mattine però, per sua disgrazia, si rialzava in un letto che profumava, le lenzuola di seta gli accarezzavano le natiche, il cornetto, il caffè, il latte appena munto, la pastorella che gli massaggiava il collo. Lui odiava Verducula, sognava di trovarsi a bere tè nel deserto. Odiava Verducola e in fondo odiava un po’ se stesso, perché sapeva in cuor suo di essere suo figlio, il figlio prediletto, il futuro sindaco. Teo voleva scappare, dove? Dove avrebbe errato l’anima di Teo? Scappare? Dove? Con chi? Tutte quelle domande gli annebbiarono il cervello e paralizzarono il neurone zoppo che rimbalzava nella sua delicata testolina. Odiava Verducola, Lui non era nato per quello. Chi poteva portare fuori da Verducola il messaggio di pace e serenità che incubava fra le sue mura, Lui odiava Verducola? Chi sarebbe andato oltralpe a portare la buona novella, chi avrebbe incontrato Le Matit, chi? Era destinato a grandi cose, era confuso Teo. Chi era Teo? Lui amava Verducola. Cosa avrebbe fatto Teo? Lui odiava Verducola, un flusso di domande gli spaccarono il neurone che dopo tanto rimbalzare si fermò sul dente sinistro. Perché? Verducola era la sua sposa, come era bella Verducola, era magnifica Verducola.
Per oltre sette secondi Teo si pose tutte quelle complicate domande, poi esausto, scappò da Mamma Romina, tra le sue braccia trovò il conforto del quale aveva bisogno, i giusti consigli, appoggio e anche la sua paghetta mensile. Il ragazzo corse a nasconderla fra un fetta di Gruviera e un quadratino di cioccolato.
Gli anni passarono, le paghette aumentarono e con esse le fette di Gruviera, i quadratini di cioccolato e le sue proprietĂ . Mamma Romina, con le sue grandi braccia, era sempre pronta a confortare il giovane che cresceva felice e che passeggiava, da sindaco, fra le vie della sua meravigliosa Verducola. Le mura della sua cittĂ erano intrise di pace, tutto cantava e gorgheggia amore, il fiume scorreva lieto, si accarezzava le sponde, il vento non scompigliava i capelli delle signore, il sole non era accecante ma gentile, le strade erano pulite, e le anime trapassate proteggevano i vivi.
Tutte le mattine Teo si svegliava, metteva le sue ciabattine verdi, la sua vestaglietta verde sopra il suo pigiamino verde e si affacciava alla finestra, guardava oltre il prato verde, oltre le siepi verdi, oltre gli alberi verdi, oltre i monti verdi e sorridendo fissava l’orizzonte lontano, una linea deforme, sgraziata e nera terrore si apriva davanti ai suoi occhi verdi che brillavano al sole del mattino verde, era un oltre lontano e Teo sorrideva, il vento gli pettinava i capelli e passerotti dalle verdi ali gli cantavano il buongiorno.
Teo era meraviglioso, Verducola era meravigliosa.