Numero 4

È il mare che decide

di Donatello Cirone

 

boccacucita
Boccacucita di Giacamo Braccialarghe

Il mare si muoveva come doveva e i serra sbrindellavano qualche cefalo uscito dal branco, la canna era ferma. Il cimino leggermente curvo e il filo teso. La polpetta di sarda profumava l’acqua ed eccitava i predatori.
Le pietre si rincorrevano sulla battigia come bimbi all’uscita da scuola. Il vento spirava verso il profondo blu del mare e tutto giaceva stranamente silente. Matteo fissava le capre che leccavano il sale sulle pietre arroventate dal sole. Erminia cercava di sorridere. Magda sofferente per il post-operazione si lagnava mentre un gabbiano senza ali volava cieco verso la discarica.
E In quel preciso momento, il mare aveva deciso. Il mio momento era arrivato.

Quando il cimino inizia a curvarsi e impercettibilmente senti il nylon che si stende, si tende quasi a voler tagliare l’aria in due grandi blocchi pesanti, l’adrenalina sale e il corpo è investito da un continuo tremolio, le gambe diventano grossi travi di legno, le braccia pesanti, la lucidità corre sul filo teso e recuperare la lenza diventa l’unico obiettivo della tua vita, della tua intera esistenza. Il recupero di quei scarsi cinquanta metri di filo dello 0,35 è l’unico vitale ed essenziale motivo per il quale vivere, è un atto liberatorio, è buttare via tutti i soprusi ricevuti, tutte le lamentele dei vicini, i rimproveri, le insensate obiezioni, le sopportazioni di una vita, tutto concentrato in pochi minuti, le mille volte che hai preso il torto pur avendo ragione, dimentichi le volte che hai pianto e non dovevi.
È il mare che decide.
Non è più la lotta fra te e il pesce, ignaro d’esser diventato il capro espiatorio di tutto quello che hai subito negl’anni addietro, di tutte quelle volte che non hai aperto la portiera della tua macchina, che non sei sceso per frantumare il tipo che t’ha suonato 1200 volte, prendere il suo cranio e sbatterlo delicatamente sulla punta di un coltello piantato per l’occasione a centro strada, quelle volte che non sei scappato per sempre da tutto e da tutti.
Il recupero è lento, forse veloce, il cuore pompa e va, tutti i capillari diventano aorte.
È il mare che decide.
Lo senti che è stanco, l’hai sfiancato, non è un serra ti sarebbe venuto incontro. Il serra è un bullo stupido e sfrontato e arrogante, con questo invece hai giocato di frizione. È una vita che hai ingabbiato, che tieni all’amo come fanno con te politici e banchieri, sei diventato uno di loro. Da vittima a carnefice, la storia millenaria dell’uomo. Lo senti che tocca con la pinna anale quasi sul fondo, è stremato, sei sicuro ormai di spiaggiarlo ma le tue certezze iniziano a sgretolarsi, il filo è sempre meno teso, riprende un paio di metri, si ossigena nella schiuma, si riprende altra lenza, il cimino non è più ormai una grande curva che si staglia meravigliosa nel cielo, altra lenza, il battito si regolarizza, i capillari ritornano ad essere capelli d’angelo, le mani sono ferme, il mare si ingrossa, la luna reagisce, il cuore è pieno di vita, pieno di una sensazione puerile. Di vergogna.
Lui si riprende altra lenza, io acconsento. Apro la frizione, è un rumore sordo, un rumore di libertà. La chiudo. La canna torna ritta, il cimino si rilassa, il filo gioca nell’aria. I due blocchi d’aria ritornano ad esserne uno. Compatto e pesante. Ripongo la canna, il filo danza come una principessa vergine al suo matrimonio. Mi siedo. L’aria profuma. Affondo le mani nella sabbia.
È il mare che decide.


freccia sinistrafreccia

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